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Giordano Bruno Cavagna (n. 1921 - m.1966) Metaf. class. e metaf. cristiana IntraText CT - Lettura del testo |
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[pag 39 F1] che le nozioni di morire e di non vivere, di esser fatto e di non poter non essere non fatto, ecc., siano non già perfettamente identiche in una connotazione data nella forma e nella materia, ma equivalenti e nell’incompiutezza materiale e formale delle rispettive connotazioni e nell’impasse in cui si è messo il pensiero di pretendere di riempire ciò che manca all’una con dati tratti da ciò che l’altra non fa conoscere; in caso diverso i turismi ((???tunismi??purismi??))divengono giudizi cognitivamente validi al pari di un qualsiasi altro in cui parole diverse stian lì a garantire l’apparente non tautologia, oppure ancora questi stessi giudizi in cui la diversità verbale sembrerebbe garantire una non-tautologia, sono nulla più che tunismi ((??)) nel caso che le differenti parole rimandino a due concetti egualmente noti solo in parte; è facile osservare che in identica situazione vengono a trovarsi i circoli viziosi, le petizioni di principio, le surrezioni, le definizioni verbali le quali sono tutte unità cognitive di due rappresentati ciascuno dei quali rimanda all’altro o per l’esistenza e pensabilità generiche o apodittiche o per l’evidenza o per la determinatezza o per la soluzione di aporeticità, a causa della loro rispettiva connotazione insufficiente; è facile, infine, osservare che si avranno situazioni tautologiche apodittiche, come nel caso delle petizioni di principio, quando i due rappresentati siano inidentificabili per deficienza di connotazione e insieme necessariamente unificandi in un rapporto dialettico a finalità cognitiva, o si avranno situazioni tautologiche apodittiche arbitrarie, come nelle definizioni o verbali o insufficienti o contraddittorie, quando nulla imponga di relazionare i due rappresentati a connotazione inidentificabile per deficienza in un rapporto dialettico con finalità cognitiva. Ora, possiamo inferire da questo lungo discorso che la nostra originaria definizione della negazione era tautologica, per deficienza e non per verbalità. Abbiamo cominciato col definire la negazione come affermazione di assenza di un fenomenico in un fenomenico e abbiamo determinato il concetto di assenza come separazione del rapporto di inerenza tra i due fenomenici in quanto posto di fatto dal medesimo rapporto in rapporto in quanto posto di fatto dal medesimo rapporto in rapporto in quanto posto di diritto. La definizione tuttavia è tautologica in quanto il predicato, anche determinato continua a presentare un [pag.39 F2] concetto povero e insufficiente quanto lo è quello del soggetto, tant’è vero che i due termini equiparati danno vita a un palleggio di attenzione, riportandosi il pensiero dal soggetto al predicato per attingere da questo l’intelligibilità che per ipotesi non ha ed essendo poi costretto a ritornare al soggetto per ricavare da questo quella conoscenza totale che nel predicato è monca; che vi sia una parziale ignoranza della connotazione del predicato sì che esso non ha significato fuor dalla proposizione, nel senso che solo legato al concetto di negazione acquista una completezza cognitiva almeno potenziale, è dimostrato anche da questo che il medesimo predicato può benissimo qualificare un altro concetto, quale quello di differenza ad esempio o di disuguaglianza, che nulla ha che fare con la negazione; e se un carattere della validità non tautologica di un predicato definitorio o descrittivo di un concetto reso suo soggetto è quello di porsi a predicato di una sottoclasse denotata dal concetto-soggetto, la presenza di invalidità per tautologia del concetto determinato di assenza in quanto predicato del concetto di negazione è attestata da questo che la determinazione di assenza nell’essere del rapporto di inerenza legittimo nel rapporto di inerenza effettuale non rende intelligibile nessuna sottoclasse della negazione, quale può essere la nozione designata da un aggettivo qualificativo indefinito o la nozione designata da un termine negativo per composizione con un suffisso privativo: infatti, la pienezza cognitiva della qualificazione di un concetto altrimenti inintelligibile è argomentata aposteriori dalla sua attitudine a sostituire la connotazione del concetto qualificato qualunque sia la nuova e differente situazione formale in cui la connotazione è posta dalla dialettica del pensiero, il che è tra l’altro argomento della necessaria equivalenza ed omogeneità totali come ideale di un rapporto predicativo tra due concetti l’uno dei quali attende conoscenza dalla connessione predicativa con cui lo si vincola all’altro; l’impossibilità di siffatta sostituzione, comprovata con tanto maggior forza quanto più la sottoclasse tende ad avvicinarsi all’intuizione fenomenica e a porsi come intellezione immediata di questa, in quanto l’intuizione fenomenica è chiamata tanto più facilmente in campo a verificare la presenza in se stessa dell’intelligibile che come predicato pretende di inerire in tutte le classi che la denotano e quindi nella stessa intuizione che vede la denotazione [pag.39 F 3] trasfigurarsi in connotazione essenziale, può manifestare a propria ragion sufficiente la sostanziale eterogeneità intercorrente fra tutte le note denotanti l’intuizione e quindi le classi generiche sovraordinate e ciascuna nota denotante il concetto del predicato qualificatore, e in questo caso ci troviamo di fronte ad una serie di giudizi falsi, ma può anche manifestare a propria ragione quella stessa parzialità di conoscenza intrinseca nel predicato la quale provoca un disagio gnoseologico motore di un immediato moto dialettico dal predicato al soggetto, che riproduce a livello della sottoclasse la polarità dialettica che già si era data a livello della classe. Se è vero che un sillogismo di per sé, avulso dall’intero quadro dialettico-processuale del pensiero che lo costruisce e lo giustifica, non ha nessuna validità ai fini del conoscere, è pure vero che l’usufrutto di un sillogismo ha sempre una funzione verificativa della verità della premessa maggiore, in quanto, rimandando esso o immediatamente o per medi prosillogistici a una specie infima che è nozione intelligibile simmetrica di una intuizione percettiva impone al pensiero di riscontrare in atto o di attendere dalle modificazioni future della percezione che sia riscontrata l’immanenza di quelle componenti fenomenico-sensoriali che hanno a loro intelligibile simmetrico il predicato della conclusione del sillogismo stesso o dell’ultimo dei prosillogismi cui il sillogismo rimanda per portarsi al livello intellettivo complanare al livello sensoriale; è vero che il sillogismo o il polisillogismo dovrebbero proprio risparmiare al pensiero siffatto riscontro, tanto più se la premessa maggiore da cui si è partiti abbia la fortuna di essere conclusione di un episillogismo a premessa maggiore più universale o di un polisillogismo l’ultimo prosillogismo del quale sia il sillogismo che ha la premessa maggiore nostro principio e conclusione; ma è altrettanto vero che basta abbandonare la sfera delle rappresentazioni intellettive, fossero pur anche queste fatte di immagini individuale-fenomeniche “supposte” da meri sostantivi comuni, per portarsi entro la sfera delle rappresentazioni sensoriali e intuitivi per fare del sillogismo o del polisillogismo non più un argomentante, ma un argomentato, e un argomentato in quella sua premessa maggiore che pretende di porsi a principio di argomentazione; in fondo [pag.39 F 4] il concetto di induzione limitata e insieme costantemente correggibile non è soltanto un canone metodico della scienza o un principio della canonica newtoniana, ma è la norma che la ragione automaticamente e irriflessivamente accetta nella sua operosità giornaliera. Ma il salto dialettico dall’intellettivo al sensoriale è puramente verificativo, ossia si limita a riconoscere che alcuni dei modi componenti la percezione, o sensazioni o rapporti tra sensazioni che siano, si danno con quel primato logico, quella costanza ed uniformità, che sono simmetriche fenomeniche delle note intelligibili predicate alla specie infima della classe indicata dalla premessa maggiore del sillogismo o del polisillogismo, alla sola condizione che le note del predicato siano fonte di conoscenza reale e non apparente del soggetto e quindi della percezione sensoriale stessa, la quale si limiterà a fissare la loro verità o falsità in quanto qualificazioni predicative e, per ciò, ad argomentare la verità o falsità della premessa maggiore, divenendo tuttavia fonte di conoscenza intelligibile sia per la specie infima sua corrispondente simmetrica sia per tutte le sottoclassi che a questo si sovraordinano fino alla classe che è suo genere prossimo, solo nel caso che, riscontrata la falsità della conclusione del sillogismo o dell’ultimo prosillogismo dell’episillogismo e quindi la falsità della premessa maggiore originaria, il pensiero promuova un processo induttivo con un atto che è però volontario libero e contingente, almeno per ciò che riguarda il nesso che lo relaziona al risultato negativo del controllo del sillogismo o del polisillogismo entro il sensoriale. Ma nel caso delle specie tautologiche non insuperabilmente e assolutamente sofistiche, nel caso ad esempio delle definizioni e descrizioni parziali e insufficienti, il passaggio dialettico dall’intellettivo al sensoriale non soltanto diviene esso stesso necessario dal momento che la polarità del moto dialettico, dimostrando l’insufficienza correlativa di entrambi i concetti identificati, ed esigendo un superamento dell’inutile perpetuità dell’oscillazione, non può trovare altra via d’uscita che la discesa all’analisi diretta e immediata della situazione percettiva corrispondente alla specie infima raggiunta o raggiungibile dal sillogismo o dal polisillogismo, ma anche impone come
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