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Giordano Bruno Cavagna (n. 1921 - m.1966) Metaf. class. e metaf. cristiana IntraText CT - Lettura del testo |
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[pag 54 F 1] qualitativamente determinata, e la simmetrica gerarchia dei razionali rappresentati, ritrova entro questa una proporzionalità diretta tra la dialettica dal genere alle specie come ragion sufficiente della concezione in genere delle specie e la discesa dialettica che nella piramide ontologica è ragion sufficiente dell’esserci degli intelligibili inferiori, ma deve pure rendersi conto che l’assenza di un’intuizione immediata dell’ontico ontologico lo costringe a qualificare i generi muovendo dalle specie e quindi a introdurre entro la sua rappresentazione intellettiva un processo dialettico a finalità determinatrice che sta in proporzione inversa con il processo ontico a identica finalità; c) la terza conseguenza, che, se al pensiero è concesso, muovendo dal postulato definente la modalità dell’ontologico, porre un’unica gerarchia di ontici intelligibili entro cui la dualità della dialettica discendente è per esso pensiero e non in sé, in quanto la determinazione dei sovraordinati nei subordinati, sia oppur no una degradazione e svalorizzazione nell’essere, è processo di calata dall’alto cui consegue l’universalità e necessità dei nuovi ontologici e insieme il loro porsi come tali, analoga liceità non gli è concessa nei confronti dell’ordine gerarchico degli intelligibili in quanto rappresentazioni il cui esistere in genere è per il pensiero e non per il razionale supremo, perché siffatto ordine deve venire sdoppiato in due gerarchie omologhe e insieme distinte nel loro essere, che poi altro non è se non il loro essere differentemente pensate, non in forza della contrarietà dei moti dialettici che son l’uno a senso generalizzatore e l’altro a senso specificatore a seconda della finalità perseguita o di intelligibilità o di giustificazione dell’esistenza, bensì per due altri motivi: in primo luogo, infatti, il pensiero di condizione umana si è dato il quadro complessivo - non chiediamoci in quali modi ben determinati e secondo quali diritti - dell’ordine concettuale muovendo dal livello infimo e risalendo ai piani generici mediante la giustapposizione delle connotazioni delle specie sussumibili sotto un genere entro la connotazione di questo, e, una volta che si sia reso conto che tale sua costruzione è artificiale e meramente fenomenica, come quella che pretende porre l’equazione tra l’uno semplice e il molteplice differenziato, deve pure procedere ad erigere di faccia al suo primo castello un secondo ogni piano del quale ripete puntualmente il piano dell’altro a medesima altezza ma lo svuota di qualsiasi eterogeneità qualitativa e lo riproduce in sé come un qualitativo omogeneo, sicché il nuovo edificio si fa, per dir così, riproduzione perfetta dell’ideale universo ontologico sia nell’unità che affetta ogni suo livello sia nell’eterogeneità che differenzia i diversi livelli per varietà qualitativa dialettica e per limitazione ontologica, sia infine nell’unidirezionalità dei processi dialettici; in secondo luogo, lo stesso pensiero, [pag 54 F2] resosi conto che l’omologia dell’ordine rappresentativo inferito dall’ordine a condizione umana con l’ordine ontologico è puramente formale in quanto l’unità e semplicità di ogni livello di questo è per dir così qualificata nel suo contenuto e nella sua comprensione mentre i livelli dell’altro hanno conseguito l’unità e semplicità dell’ontologico solo grazie allo svuotamento dell’intera qualificazione materializzante la comprensione dei livelli stessi, è costretto, se non vuole trovarsi di fronte un edificio di piena validità gnoseologica e insieme di totale inutilità cognitiva a ricondurre costantemente il gerarchico rappresentativo omologo dell’ontico al gerarchico rappresentativo immediato e a instaurare, per dir così, tra i due una dialettica a moto perpetuo che rimanda un intelligibile del primo al simmetrico del secondo per attingere da questo il contenuto concreto e qualificativo della nozione, e che riconduce l’intelligibile della costruzione immediata al simmetrico dell’altra onde l’unità di questo stenda il suo velo sul molteplice eterogeneo dell’altro; di conseguenza, il pensiero se interpreta se stesso da un punto di vista platonico deve concludere che l’immagine che esso si dà dell’ontico ontologico non solo è rappresentazione seconda, come quella che è derivata da una elaborazione di intelligibili immediati la quale, per quanto orientata a provocare siffatta immagine con la maggior aderenza possibile all’ontologico resta pur sempre asintotica rispetto a questo, ma è anche destinata a restare in costante dipendenza cognitiva dall’elaborazione immediata, sicché il pensato per il pensiero resterà sempre l’asintoto del pensato in sé; d) la quarta conseguenza è che il mondo intuitivo fenomenico come serie di sensazioni percettive è destinato a rimaner tagliato fuori dalla gerarchia degli intelligibili rappresentati da un canale di separazione che è eterogeneo da quello che distingue un livello generico da un livello speciale in forza dell’illiceità ad annullarlo con l’unico moto dialettico che il pensiero abbia diritto di utilizzare per trasferire la sua attenzione cognitiva da un diverso a un diverso: una volta posto per assioma che i pensati sono eterogenei e che l’unità viene ad essi da uno spostamento di attenzione cognitiva o di polarizzazione di energia di pensiero dall’uno all’altro, lo spostamento è intelligibile se ritrova la sua ragion sufficiente in una certa identità che, sottesa ai due eterogenei, consente per dir così all’attenzione cognitiva di riconoscere entro lo spostamento tra due eterogenei un’equivalenza con lo spostamento tra due identici, e quindi di ricondurre il movimento proprio a un moto per dir [pag. 54 F 3] così apparente, come apparente è quella traslazione di riflessione che si dà quando la conoscenza da un intelligibile ritorna all’intelligibile stesso; se questo spostamento sia legittimo appunto perché di fatto si riduce a un stasi e a una contemplazione di un immoto immutabile, oppure se sia la scelta di questo modo di conoscere che pone a principio di validità la buddica immobilità di un’intuizione soddisfatta solo quando il suo occhio s’affisa immoto sull’invariabilità dell’intuito e che ritiene lecito scostarsi dal principio solo nel caso che il necessario scorrimento del pensiero intuente da un’immagine ad un’altra sia un mero transitorio relativo che finisce per esaurirsi nella staticità tramata - e la scelta, s’intende, ha avuto che fare con certi risultati che in certe scienze ha dato siffatta immobilità -, a distinguere tra i vari spostamenti e a dichiarar legittimo solo quello che da un’invariabilità del contemplato fonte di immobilità per il contemplante conduce a identiche invariabilità e immobilità, è problema fondamentale che il platonismo ha risolto a favore del primo corno del dilemma, e che, a quanto mi è dato sapere, non è ancora riuscito a trovare una soluzione che deponga a favore del secondo senza introdurre surrettiziamente e con petizione di principio la legittimità in sé di una dialettica dell’identico; tuttavia per un platonismo la liceità che è offerta al pensiero di trascendere l’eterogeneità tra un genere e una specie o tra una specie e un genere fa tutt’uno col diritto di affermare l’identità di due identici ossia di porre un pensato e di conoscerlo come identico, il che può avvenire solo mediante una sua ripetizione e l’indifferenza della dialettica dal pensato al ripetuto e dal ripetuto al pensato, diritto che non osta al postulato della genesi ontologica ed esistenziale degli intelligibili in sé in quanto il moto ontico genetico è sempre da identico a identico; e poiché genere e specie sono rappresentazioni eterogenee nella quantità e non nella qualità, il diritto per cui al pensiero risulta legittimo muovere da un genere ad una specie o viceversa è rispettato, e lo è fino al livello delle specie infime, dalla cui serie non necessariamente un platonismo esclude gli individui fenomenici, in quanto intelligibili, come potrebbe pensarsi tendendo conto solo dell’opposizione diretta tra Platone ed Aristotele e del mito con cui Platone garantisce ontità ontologica all’individuo esistenziale, almeno della classe dell’uomo, senza derivarlo dialetticamente dal suo genere; ma quando dalla specie infima individuale scendiamo all’intuizione percettivo-sensoriale di essa, non è più dato porre l’eguaglianza tra il rapporto che connette genere con specie e il rapporto che consente di collegare la specie infima [pag 54 F 4] con l’immagine intuita: è vero che qui l’identità tra le due è epidermicamente ancor più vasta di quella che relaziona la specie al genere, perché riguarda il qualitativo e il quantitativo, ma è del pari vero che il sensoriale percettivo è un diveniente, con tutto quel che di conseguenze siffatto suo modo porta seco, pluralità di rapporti molto più numerosi di quelli secondo cui la specie si relaziona ad altro, un esserci che manca di alcuni degli attributi essenziali e delle condizioni ineluttabili per definire ontologico un essere, ecc. ecc., sicché se il pensiero vuole giustificare quel che di identico si dà tra la percezione intuita e la specie sussumente, non ha altra strada che di ricondurre siffatta identità a una immanenza, nel vero ed esatto significato del termine, della specie nel percepito, qualsivogliano poi siano le modalità e le ragioni sufficienti di siffatta immanenza; di qui deve venire che il moto dialettico dalla percezione sussunta all’intelligibile immediatamente sussumente o pretende di essere da un ontico non ontologico ad un ontologico e quindi di essere medio tra un’esigenza di identità, principio ideale del processo, a un risultato di eterogeneità, e allora di fatto si ha un semplice discorso di pensiero vuoto della legittimità presupposta, oppure si pone come medio dell’unico discorso possibile nella fattispecie da identico ideale ad identico effettuale, discorso in cui gli identici sono omologhi nella quantità o ((e??)) nella quantità, avendosi che fare con uno spostamento di attenzione dalla specie alla specie, ma allora la dialettica dalla percezione alla specie infima è della classe della dialettica diciam così equazionale o di riconoscimento dell’attributo di razionalità ad un ente in quanto permanentemente identico con se stesso, ed è esclusa dalla classe della dialettica dal genere alle specie o dalle specie al genere, che è riconoscimento della sottintesa omogeneità tra i due in nome di una loro identità parziale e che ha a conseguenza non l’affermazione di una legittima razionalità di entrambi, ma l’acquisizione dell’intelligibilità del rapporto genetico che li connette; una dialettica utilizzante il percepito nella prima modalità determina l’irrazionalità del percepito in quanto non ontologico, mentre la dialettica che accoglie il percepito nella seconda modalità esclude l’intelligibilità di una sua genesi dalla sua specie infima: entrambe concludono nell’esclusione del fenomenico sensoriale dalla gerarchia degli intelligibili in quanto rappresentati e, di conseguenza, dalla piramide degli ontologici. Ma siffatta esclusione non appare del tutto intelligibile ed evidente, se non si tien conto di un dato implicito nella terza delle conseguenze sopraelencate:
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