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Giordano Bruno Cavagna
(n. 1921 - m.1966)
Metaf. class. e metaf. cristiana

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  • Prot. 51 - 101
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quel modo della subordinazione causale dell’effetto alla causa che è proprio del fenomenico e che pare consistere nella successione temporale - si dirà che siffatta estensione del diacronismo fenomenico all’ontologico s’impone solo quando si dia di questo interpretazione qualitativa e non quantitativa, nel senso che un diacronismo ontologico insorge solo quando l’ontologico venga a coincidere con l’universalizzazione delle qualità sensoriale, e quindi nel pensiero greco; siffatta estensione non sarebbe affatto necessaria in un universo ad ontologico di tipo quantitativo matematico, in un universo la cui razionalità dipenderebbe dall’inserirsi entro le sensazioni di rapporti che sono relazioni funzionali quantitative, nelle quali non si dà diacronia, ma la più assoluta delle acronie, avendosi con esse che fare con degli identici che si pongono in rapporto con identici, sicché da Cartesio in poi si avrebbe avuto per dir così un errore o di ambiguità o di surrezione nel negare il sensoriale per affermare l’ontologico o nel togliere ontità a questo per lasciarla solo al primo, in funzione di un’eterogeneità tra i due che di diritto non avrebbe dovuto inferirsi dall’essenza quantitata dell’ontologico; ma, a ben guardare, si vedrà che l’intelligibile a base quantitativa della scienza naturale matematizzante cristiana, se è vero che astrattamente preso nel suo assoluto ed atomistico isolamento spoglia se stesso di un rapporto di subordinazione per causatività che verrebbe a cadere in seno alla sua connotazione, in quanto fra l’un membro dell’equazione e l’altro corre un rapporto che è acronico non per simultaneità di conoscenza ma per assoluta identità delle due rispettive connotazioni, è altrettanto vero che conserva all’intera sfera degli intelligibili una tonalità che esige la connotazione della subordinazione per causalità esistenziale ossia per funzionalità esistenziale, e, con, ciò, fonda la propria legittimità sulla simultaneità della contemplazione del pensiero intelligente; e ciò per due motivi: in primo luogo la quantificazione secondo determinazioni di tipo matematico dell’intelligibile non toglie ai vari intelligibili la necessità di ordinarsi dialetticamente in generi e specie, il che non significa altro se non che alcuni intelligibili debbono essere pensati come rapporti equazionali e insieme come specie infime, la cui unità, se non vuol essere di tipo platonico, e qui non lo può essere in assoluto, deve porsi come risultato di un vincolo subordinativo tra un rapporto equazionale generico e un identico rapporto specifico, che veda la propria esistenza apoditticamente discendere dall’esistenza del primo, sicché essendo i due due eterogenei, dal punto di vista quantitativo, si riporrà quell’impossibilità sul piano ontologico di conversione della dialettica funzionale tra i due dalla dialettica

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esistenziale che già aveva conosciuto il pensiero greco con la sua intelligibilità qualitativa, in secondo luogo, si pone per la razionalità matematizzante cristiana una aporia che la razionalità qualitativa greca non aveva conosciuto: ogni intelligibile che sia equazione matematica non è solo una generica identità di due ontici quantitativamente determinati, ma è anche una loro rapportazione quantitativa funzionale, nel senso che stabilisce non già la perenne identità delle due quantità in quanto determinate secondo questa o quella fra tutte le possibili quantità determinate, ma la loro immutabile identità quantitativa indipendentemente dalla particolare determinazione che i due membri possono assumere entro l’infinita gamma delle determinazioni quantitative possibili, e insieme indipendentemente da una priorità cronologica di una delle due quantità rispetto all’altro e quindi senza alcun rapporto di azione dell’una quantità sull’altra, essendo in tal modo eliminato qualunque intervento causale di tipo qualitativo, ed essendo quindi indifferente che l’equazione s’instauri tra la quantità determinabile di un certo qualitativo ontologico e la quantità determinabile di un certo altro qualitativo ontologico eterogeneo dal precedente; consideriamo ora quel che una siffatta intelligibilità incontra quando viene a trovarsi di fronte a un fenomenico sensoriale: in primo luogo, anche qui il generico, ad esempio la legge di Newton, non è sempre in univoco rapporto con un solo specifico, ad esempio con la sola prima legge di Keplero, sicché, se è indifferente che si dia o non si dia una subordinazione causativa univoca entro la percezione intuita, non altrettanto indifferente è che il rapporto causativo possa instaurarsi sia con un certo specifico, la legge di cui sopra, sia con un altro specifico, la legge di attrazione molecolare dei gas, in quanto viene a mancare quell’universalità di causalità che fa della funzione causativa del generico un denotante apodittico del generico indipendente dall’eterogeneità tra generico e specifico, sicché non sarà più lecito passare dalla dialettica esistenziale tra generico e specifico, in quanto simultaneamente pensati, alla dialettica funzionale tra specifico, in quanto causa, e generico, in quanto effetto; e già qui si ripropone per l’ontologico quantitativo la medesima problematica tra l’acronia dell’ontologico e la diacronia del fenomenico sensoriale che l’ontologico qualitativo aveva conosciuto; in secondo luogo,

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nel fenomenico la funzionalità tipica del rapporto equazionali tra due quantità la cui determinazione è indifferente si pone in termini che non possono ignorare il tempo perché nel fenomenico si verificano mutamenti quantitativi: e se è vero che dal punto di vista dell’intelligibilità del fenomenico il mutamento quantitativo non ha alcun peso, in quanto l’intelligibilità sta appunto in questo che al mutare dell’una quantità considerata corrisponde il mutare dell’altra quantità considerata simultaneamente e insieme acronicamente e cioè in indipendenza di una pianta cronologica dell’un mutamento sull’altro, è altrettanto vero che dal punto di vista ontico il mutamento quantitativo del fenomenico ha un valore ineliminabile da un lato perché instaura una priorità cronologica di una delle due quantità, dall’altro perché siffatta priorità, che è appunto uno dei fondamentali naturali che permette alla contemplazione intelligibile del fenomenico di farsi tecnica ossia modificazione del fenomenico stesso, instaura un rapporto di diacronicità di cui la legge matematica dà l’intelligenza per ciò che riguarda il rapporto funzionale non per ciò che riguarda il rapporto cronologico; infatti, è vero che qui, sul piano matematico, qualcosa è mutato dal precedente piano qualitativo, nel quale l’insorgere con precedenza cronologica in un ontico significava comparsa apodittica nell’essere di un susseguente che veniva ((??))dal nulla, mentre ora l’esistenza di una modificazione quantitativa si pone come un antecedente la cui esistenza provoca necessariamente una susseguente modificazione quantitativa che è non già apparente insorgere dal nulla ma semplice trasferimento di una quantità da un ontico ad un altro, ma è altrettanto vero che questo trasferimento, che lascia inalterata la quantità totale dell’ontico universale, trova nell’antecedente cronologico la ragion sufficiente dell’esistere dei suoi risultati, non della necessità del trasferimento: è questa apodittica traslazione che è il reale effetto dell’ipotetica immanenza dell’ontico ontologico nell’ontico fenomenico che è venire dal nulla e che è il vero effetto dell’ontologico; sicché la legge o concetto naturale in quanto rapporto equazionale e funzionale è solo un aspetto dell’intero intelligibile ontologico il quale di fatto è da pensarsi come una certa quantità al cui variare corrispondono necessariamente una variazione proporzionale in un’altra quantità e contemporaneamente un trasferimento da un ontico a un altro della quantità che

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viene ad aggiungersi alla quantità in dipendenza funzionale; chiedo perdono se per semplificare l’intero discorso ho ridotto l’intelligibile quantitativo in generale a un rapporto funzionale di proporzionalità diretta fra due quantità e ho considerato di siffatto intelligibile solo la variazione quantitativa crescente; è logico allora che a chi confronti l’ontico ontologico e l’ontico fenomenico appaia evidente, anche nel caso della quantificazione dell’ontologico e della sua riduzione al rapporto equazionale, la disparità che li divide, dandosi nel primo la conversione legittima tra la dialettica esistenziale e la dialettica funzionale o sulla base della acronicità del generico o dello specifico a ragione della indeterminatezza della loro connotazione quantitativa o sulla base della simultaneità, ancora acronica, tra i due, in quanto l’una equazione e l’altro trasferimento di quantità; non essendo invece nel secondo legittima la conversione in quanto nessuna necessità lega la connotazione dell’effetto che è il trasferimento di quantità alla connotazione della causa che è un certo rapporto tra due quantità; i due sono eterogenei; e allora delle due l’una o si lasciano eterogenei e allora la deficiente apoditticità del rapporto tra effetto e causa trascina seco o l’ontità dell’ontologico e l’irrealtà del fenomenico, o l’ontità del fenomenico e la costante ipoteticità dell’ontologico oppure si rendono omogenei e allora bisogna che quel trasferimento di quantità non venga dal nulla, ma da qualcosa che esiste e su cui l’ontologico può agire necessariamente, riaprendosi quella strada alla potenza che la scienza cristiana aveva trovato inutile; la reale differenza fra l’aporia in cui viene a trovarsi l’intelligibilità a tono matematico e l’aporia in cui viene ((venne??)) a trovarsi l’intelligibilità a base qualitativa non sta quindi nella superabilità della prima e nell’insuperabilità della seconda, bensì nel fatto che la prima ricorre per la propria soluzione alla modalità contraria a quella cui ricorre la seconda per dare a sé una soluzione; ma l’aporia è identica per entrambe le intelligibilità che poi i filosofi dell’illuminismo cartesiano ed empirista e kantiano non abbiano ben tenuto presente la netta distinzione tra intelligibile qualitativo ed intelligibile quantitativo, parlando ad esempio di una causalità di modalità aristotelica, che nulla ha che fare con la simultaneità del rapporto funzionale quantitativo o con la diacronia tra un mutamento di una quantità e il trasferimento apodittico di un’altra quantità, questo è certo; ma dovrebbe trattarsi in un discorso ad orientamento storico, che qui non ci riguarda -. Dunque, il presupposto razionalista impone a un aristotelismo di omogeneizzare fenomenico ed ontologico e di estendere a questo la diacronia, che nulla è di altro se non una subordinazione causale che è insieme




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