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Giordano Bruno Cavagna (n. 1921 - m.1966) Metaf. class. e metaf. cristiana IntraText CT - Lettura del testo |
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[pag.67 F1] nesso qualitativo dev’essere pensato come un reticolato in cui ogni eterogeneo solo se astrattamente considerato può essere affermato tale, ma dev’essere ricondotto a tutti gli altri per sotterranei vincoli quando lo si consideri immerso nell’universale relazionalità qualitativa; per siffatta condizione la categoria suprema dell’essere si manifesta come l’unità di tutti gli intelligibili che in essa non si unificano per identificazione omogenea, e neppure per subordinazione a causalità esistenziale o funzionale, ma per una ignota equivalenza che consente all’essere di trascorrere da intelligibile ad intelligibile realizzandoli tutti, non già perché tutti vengano all’esistere non appena toccati o determinati dall’essere, bensì perché in tutti deve darsi un qualcosa di qualitativo comune ed identico che impone alla dialettica di restare transizione da eterogeneo ad eterogeneo nel suo aspetto epidermico o di farsi passaggio da omogeneo ad omogeneo nel suo essenziale profondo - l’essere trapassa dal sostanziale al sostanziale vivente, di qui al sostanziale vivente animale, da questo al sostanziale vivente animale vertebrato ecc., perché nel sostanziale nel vivente nell’animale nel vertebrato c’è una omogeneità che ha a suo principio una partecipazione di tutti a un comune qualitativo e non la mera identità di tutto limitatamente all’identico generico che si ripete immutato in tutti: se così si deve intelligere l’ontologico nella gerarchia concettuale simmetrica dell’ontologico, anche nell’aristotelismo in generale la negazione si fa un relativo al pensiero di condizione umana, allo stesso modo che nel platonismo e, come in questo, resta valida per la gerarchia degli intelligibili in quanto pensati, per la gerarchia primaria ed originale. E allora poiché tutte le interpretazioni dell’universo sono modi dell’aristotelismo o del platonismo, per tutti i concetti deve presupporsi un’unità che impedisce la negazione come fatto legittimo e relega la negazione al livello del fenomenico: e la nostra posizione che pretende di sostenere la negazione e di attribuirle un valore ignora l’effettiva unità dei concetti e si ostina ad estendere indebitamente un fatto valido nel fenomenico a tutto il reale, scatenando in tal modo una contraddizione tra le condizioni che consentono la negazione e le condizioni effettuali del reale che espellono la negazione. Ma noi crediamo che valga la pena di riprendere ad esaminare sia un aristotelismo che un platonismo, in quel che hanno di precipuo e di individuante, precisamente nella gerarchia scalare del primo, affetta da potenzialità o indeterminatezza e insieme autonoma e irrelata con la struttura intelligibile di fatto pensata dal pensiero, nel binomio di strutture intelligibili del secondo, affette da perenne rinvio [pag. 67 F2] reciproco e costituenti, sia pure nella loro complementarità, l’immagine riflessa dell’ontologico. Si tratta di vedere quanta effettiva intelligibilità offra il moto pendolare che in un platonismo darebbe completezza alla coppia di strutture scalari: se dall’unità monadica propria di un livello dell’ordine rappresentazione dell’ontologico l’attenzione del pensiero si trasporta alla molteplicità eterogenea vincolata per mera suturazione del livello simmetrico dell’opposto ordine, la simmetria che è segno di identità impone l’equazione tra l’unità monadica e semplice e la suturazione dei molteplici; se da un livello dell’ordine degli intelligibili in quanto meri pensati e, come tali, rappresentati per la giustapposizione addizionale di tutti gli eterogenei subordinati, la medesima attenzione rimbalza al simmetrico livello dell’ordine opposto, quell’indice d’identità che è la simmetria impone al pensiero una identica equazione a termini scambiati, dandosi tuttavia ancora l’identità di un molteplice di eterogenei suturati con una identità monadica; ma le due equazioni, da ricondursi per i presupposti matematici da cui son nate le numerose operazioni dialettiche che in esse si son concluse, non sono sussumibili sotto il principio formale dell’equazione matematica, e con ciò sono inintelligibili: in parole più semplici, che quella pluralità di qualitativi eterogenei che è un genere riesca ad essere pensata come un’unità semplice ed indifferenziata non appare al pensiero cosa fattibile, e neppure il pensiero riesce a rappresentarsi un uno semplice ed indifferenziato come un qualitativo e tanto meno come un qualitativo ricco di eterogeneità; l’unico monadico che il pensiero riesce a pensare cioè l’essere in quanto mero esistere è anche di fatto l’unica nozione irriducibile alla categoria della qualità, l’unica nozione inqualificabile, mentre invece dovrebbe essere la più ricca di qualità; d’altra parte lo stesso concetto di essere -esserci deve essere pensata come l’intelligibile pervaso da tutti i possibili modi qualitativi, al che il pensiero non arriva se non elencando come addendi entro di esso tutti quei tali modi qualitativi e, con ciò, riducendo l’uno per eccellenza al più pluralizzato di tutti i molteplici pensabili. In un platonismo, di fatto il pensiero resta escluso o dall’unità se persegue la cognizione qualitativa o dalla qualità se tende a realizzare l’ideale intelligibile dell’unità; ma poiché non si dà [pag 67 F3] conoscenza senza qualità, il pensiero deve rinunciare all’unità o ridurre questa a un substrato la cui esistenza è da postularsi, la cui modalità è da affermarsi inattingibile; perciò, lo stato in cui un pensiero di condizione umana deve porsi quando voglia tentare di costruire dentro di sé una rappresentazione del mondo di tipo platonico, è per tale pensiero un contraddittorio e un assurdo impensabile, quello appunto di porre un postulato senza determinarlo, o meglio di erigere a postulato una proposizione matematica i cui concetti devono ricevere una denotazione matematica e insieme devono essere pensati come contrari a qualsiasi denotazione matematica - il postulato potrebbe suonare così: nella qualità ontologica o intellegibile il molteplice è tale da essere irriducibile ad un’unità numerica in generale ed esiste in quanto sempre riduce se stesso all’unità numerica per eccellenza -. Tutto ciò null’altro significa che il pensiero di condizione umana o riconosce a se stesso l’impossiblità di trattare i suoi concetti come degli enti matematici o piuttosto numerici e li lascia nella dispersione inaritmetica della loro insuperabile eterogeneità, limitando siffatta dispersione a tutto il territorio di intelligibilità che si stende fuori dei confini entro cui l’aritmetica si applica di diritto, confini che null’altro circoscrivono se non quell’uno che è tale pei suoi diritti matematici di assoluta identità con se stesso e che viene a coincidere con ciò che di identico si dà in tutti gli intelligibili; in questo caso enuncia un mero ideale che tradotto in atto trasforma il conosciuto razionale da intelligibile in inintelligibile o in assurdo; nel primo caso lascia le cose per dir così come si danno nel suo stato diciamo così fenomenico e si dà il permesso di capire e conoscere qualcosa delle cose; ora, se è vero che con l’abbattimento dei confini separatori di una sfera di intelligibile dal resto si elide la negazione, è altrettanto vero che l’elisione ha a suo fondamento o un’inintelligibilità o un assurdo, e, se è vero che con la conservazione delle paratie stagne dividenti l’eterogeneo dall’omogeneo la negazione diviene un ineluttabile fenomenico, è altrettanto vero che la fenomenicità di questo ineluttabile ha a suo fondamento ragioni pensabili di diritto e di fatto; il che null’altro significa che anche un platonismo riconduce il pensiero a quella disorganicità fenomenica dei concetti che è principio della negazione. Anche la struttura che Hegel dà sulla scorta dei principi [pag.67 F4] dell’intelligibilità platonica alle nozioni interpretative delle cose non va esente dallo stesso difetto ((Nota a matita dell’autore: “qui nota su Hegel”)) Anche partendo dal punto di vista di un aristotelismo la situazione non cambia, e resta la medesima inintelligibilità dell’unità di tutti gli intellegibili. L’ordine fattizio, che si è inferito dal sistema degli intelligibili pensati sulla scorta del principio della razionalità dell’ontico e in vista dell’eliminazione dal sistema del pensato delle insufficienze a rappresentare l’ontico in quanto razionale, pone, come in sostanza si è già detto, un indeterminato che è assoluto per definizione, ma che deve porsi come percorso da correnti di intelligibilità e di determinatezza se si vuol rendere intelligibile l’azione dell’atto sul potenziale, sia l’atto il generico o la specie; con la conseguenza che più che di un’indeterminatezza assoluta si dovrebbe parlare di una contingenza nella successione delle determinazioni reciprocamente subordinate, contingenza che sarà o dallo specifico al generico nel caso che la priorità dell’antecedente determinato e determinatore sia dalla specie al genere - in questo caso una nota specifica troverà la contingenza di una sua azione determinatrice sul generico, che potrà ad esempio essere o il mammifero o il linguaggio o il pensiero, ecc. nei rapporti con lo specifico della razionalità - o dal generico allo specifico nel caso contrario - qui un generico già determinato verrà a trovarsi in una situazione di contingenza quando dovrà trarre alla determinatezza il suo significante che potrebbe essere l’eguaglianza dei lati, un certo numero di lati, una certa legge di rapporto tra un lato e gli altri, ecc. in rapporto, ad esempio, del generico della poligonalità di una figura piana -; non è sufficiente postulare una pluralità di canali o correnti lungo cui possa salire o scendere l’azione determinatrice: occorre anche disegnare tali direttive non secondo un rapporto di parallelismo, ma secondo un sistema di segmenti a raggera, ciascuno dei quali trova al capo terminale un ulteriore raggera i cui segmenti sfociano ognuno in un altro ventaglio di direttive e così via; sicché il sistema dei concetti che siano rappresentazione di ontologici e che con ciò vengano pensati come denotati da una certa zona di potenza, guardato dal punto di vista della sua indeterminatezza complessiva, si presenta con gli stessi intelligibili che lo compongono, ridotti però tutti a una sola nota denotante e insieme collegati da condotti ciascuno dei quali s’apre entro un genere e fuoriesce da questo in tanti condotti divaricati e portanti ognuno entro uno degli specifici che si subordinano esistenzialmente al genere; ora, siffatta teoria non tollera l’eterogeneità qualitativa dei generici e degli specifici, e impone di supporre al di sotto di tutti un substrato connettivo
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