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Giordano Bruno Cavagna (n. 1921 - m.1966) Metaf. class. e metaf. cristiana IntraText CT - Lettura del testo |
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[pag.71 F1] che per fare della scienza deve non solo sdoppiare il reale, ma anche definire i due monconi in modo tale che la definizione dell’uno, il fenomenico, condiziona la definizione dell’altro, l’intelligibile,-infatti l’intelligibile pone la sua unità e unicità e la sua immutabilità in funzione della molteplicità e divenienza del fenomenico, e ((o??)) la particolarità e contingenza di questo son principi dell’universalità e necessità dell’altro - e insieme che le due definizioni dipendono dalla necessità di evitare le aporie insorgenti all’introduzione di concetti cui l’intelligibile e la scienza debbono pure appellarsi per interpretare il fenomenico - se si pone la sostanza come fattore e motore di intelligibilità delle cose la contrarietà del fenomenico e dell’intelligibile si traduce in opposizione di molteplice e diveniente da un lato e di uno e immutabile dall’altro, ma insieme si pongono tra l’altro le aporie dell’insolubilità del problema degli universali e dell’irrealtà della concreta distinzione tra noto, in quanto fenomenico sensoriale, e noto, in quanto intelligibile ideale; se si pone la funzione come fattore e motore di intelligibilità i reali si riducono a irrepetibili enti vincolati da rapporti eternamente ripetuti, e con ciò si identifica la contrarietà di fenomenico e di intelligibile con l’opposizione di particolare e contingente da un lato e di universale e necessario dall’altro, ma al tempo stesso si pongono altre aporie che non son più certo quelle di prima, anche se il concetto di sostanza solo in apparenza è stato estromesso, e anche se solo in apparenza il problema degli universali è diventato uno pseudoproblema o irreale razionale, ma che continuano ad incarnarsi, nell’inconcepibilità di un irrepetibile che divenga membro vivo e vitale di un ripetuto, e di un ripetuto, universale e necessario, che per esistere s’appoggi e faccia leva con le sue due branche su due ontici che nulla hanno che fare tra loro e che non possono essere pensati eternamente identici a sé e quindi necessari nell’essere e nel modo di essere, ma mutevoli e divenienti -, che sotto le difficoltà della definizione del particolare si celino, dunque altre, difficoltà ben più profonde sarà oggetto del discorso che dovrà essere intrapreso quando si dovranno considerare le condizioni effettive su cui un pensiero può costruire una metafisica; qui basti dire che queste difficoltà esistono e che non si limitano a una descrizione di che cosa debba intendersi in genere per particolare, ma si fanno ancor più grandi quando si tratti [pag 71 F 2] di stabilire perché mai gli intuiti sensoriali debbano essere posti nella classe del particolare ossia dell’irrepetibile transeunte e diveniente. Di fronte alle sensazioni ci si può accontentare di dichiarare particolari o dogmaticamente - si può dire che un infinito numero di coscienze in cui insorga la sensazione di un colore immanente in un’intuizione percettiva vedranno tutte siffatto colore in modo differente l’una dall’altra - o dialetticamente per una deduzione dalle conseguenze - si può dimostrare che la sensazione di un colore, componente parziale di un’intuixione percettiva, si dà in tanti modi differenti quante sono le coscienze che l’intuiscono, affermando o provando che mai due coscienze sceglieranno in una tavola in cui si diano loro tutte le sfumature e tonalità differenti di tutti i colori possibili la medesima tonalità dello stesso colore come immagine identica all’intuizione colorata che han colto nella percezione -; ma in tali due modi è presente qualcosa di coatto di aprioristico di sofistico che non convince, non c’è la dimostrazione che le sensazioni siano particolari quanto piuttosto c’è l’affermazione che le sensazioni sono tali perché non possono non essere tali, affermazione che non convince nessuno neppure chi la pronuncia; d’altra parte, chi afferma le sensazioni particolari, si trova poi costretto, se vuole evitare lo scetticismo, a dire che esse in un modo o in un altro hanno che fare con dell’universale che le ordina in questo o in quel modo, il che non risulta per nulla intelligibile, a meno di non complicare notevolmente l’intera descrizione dell’ontico come sintesi di due eterogenei; si può allora tentare di argomentare la particolarità di alcune intuizioni dalla loro mutevolezza, inferendo dal fatto che ogni intuizione sensoriale è un ontico che prima di un certo istante non c’è, ma esiste allo scoccare di quel certo istante, per poi cessare di esistere in un istante successivo, la conseguenza che più coscienze poste di fronte in momenti differenti a tale sensazione o una stessa coscienza che l’intuisca in momenti diversi non possono conoscerla nello stesso modo, il che è vero solo in parte, in primo luogo perché la dimostrazione nulla ci dice di quel che avviene in più coscienze che intuiscano tale sensazione nel medesimo istante, lasciando incerto e inspiegato il fatto della diversità dell’intuito simultaneo in coscienze diverse che è essenziale per la particolarità e insieme indeducibile dalla mutevolezza, in secondo luogo perché, anche ammesso che la particolarità venga inferita totalmente [pag.71 F 3] dalla mutevolezza, si tratta di dimostrare non solo che certe intuizioni sono mutevoli, il che è abbastanza facile data l’evidenza della mutevolezza, dato cioè che, mentre la particolarità non è fatto evidente, evidente è invece il divenire di una zona del fenomenico, ma anche come mai questa zona sia mutevole e diveniente e come possa articolarsi con l’altra sfera del fenomenico che si dà indiveniente, in terzo luogo perché l’inferenza del particolare dal mutevole non risolve tutte le difficoltà del particolare, come vedremo fra poco; è possibile, allora, inferire la particolarità di alcune intuizioni da certi modi propri del principio della loro esistenza, cioè da certi stati del fattore alla cui esistenza le intuizioni debbono rifarsi per giustificare la propria: a tal fine, è lecito muovere dal soggetto e pensare questo come una sorta di ontico in perpetuo mutamento, entro il quale ogniqualvolta si danno delle modificazioni, queste, mente sono avvertite come sensazioni e come modi appartenenti al soggetto stesso, debbono esser affette da una diversità assoluta e da una irrepetibilità, che non è se non l’effetto dell’indefinita variazione qualitativa del terreno in cui fioriscono; ma questa dimostrazione, a parte le difficoltà cui dà luogo, in particolare quella di armonizzare nel soggetto la zona cognitiva a tapis-roulant e la sfera razionale perennemente immobile, e l’altra di concepire chiaramente un perenne divenire qualitativo che conserva immutata l’autocoscienza, se spiega la particolarità degli intuiti sensoriali entro una medesima coscienza, non giustifica la medesima particolarità in coscienze diverse colte nel medesimo istante, per le quali l’intuito sensoriale si fa particolare alla condizione che vengano descritte come dei mobili qualitativi completamente eterogenei l’uno dall’altro e insieme limitatamente eterogenei l’uno dall’altro; si può poi pensare di raggiungere quel medesimo fine di cui sopra inferendo la particolarità dalle variazioni di relazioni spaziali e temporali tra l’oggetto intuito e altri oggetti cointuibili, o rifacendosi al rapporto simultaneo e spaziale che insorge tra più coscienze differenti e un unico oggetto intuito, rapporto la cui molteplicità trascina seco una molteplicità numericamente eguale dei modi di intuizione - un oggetto verde sarà intuito secondo tante tonalità quanti sono gli angoli di visuale sotto cui è riguardato da coscienze diverse occupanti differenti siti spaziali e aventi quindi differenti angoli, ciascuno dei quali ha a suo vertice l’oggetto intuito e a suoi lati le semirette muoventi dal vertice e passanti l’una per uno degli occhi dei veggenti e l’altra per il centro [pag 71 F 4] della fonte luminosa - o risalendo alle variazioni di luminosità che si verificano in funzione o del mutare d’intensità della sorgente luminosa o del mutare di punto di vista da cui l’oggetto è intuito - il verde dell’oggetto intuito muta nel tempo di continuo perché nel tempo l’intensità della sorgente luminosa non permane costante, sicché una coscienza non intuirà mai in momenti diversi il verde nella stessa tonalità, oppure il medesimo verde dovrà essere intuito in tante tonalità da tante coscienze diverse in funzione delle differenti intensità di luce che son tante quanti i punti spaziali occupati dalle differenti coscienze -; sembra in tal modo che il particolare sia fondato su condizioni universali e necessarie del nostro conoscere, costituite dai modi geometrico-spaziali in funzione dei quali un’intuizione diviene possibile; ora, a parte la critica berkeleyana, la quale non regge a guardare le cose sin in fondo, questa dimostrazione fonda notevolmente la particolarità delle intuizioni sensoriali, sia pure soltanto di quelle esterne, ma, mentre da un lato presuppone un ordinamento universale e necessario sotteso alla grande sfera del particolare e con ciò si preclude la liceità di argomentare alcunché dalla particolarità del sensoriale, dall’altro ignora uno dei principi della particolarità, dal momento che, se è vero che il particolare può essere pensato in funzione della costanza delle modalità dei rapporti spaziali-geometrici, è altrettanto vero che tali rapporti giustificano solo in parte la particolarità, e appunto in ciò in cui questa non è in funzione del mutamento qualitativo di uno dei termini della relazione geometrica. Ora, questa catena di aporie diventa in sé intelligibile quando si tenga presente che la particolarità è di per sé confusa e contraddittoria: se per particolarità intendiamo l’illiceità di pensare due ontici in un qualsivoglia grado di omogeneità e quindi l’impensabilità di ritrovare nei due ontici un qualsivoglia fattore di identità, sicché ciascuno dei due ontici può entrare in una relazione qualitativa soltanto con se stesso, è difficile se non impossibile per il pensiero sussumere sotto la classe della particolarità le intuizioni in generale e in particolare le intuizioni sensoriali, le lockiane idee semplici, in quanto la predicazione a loro spettante per analisi di semplicità e la predicazione a loro spettante per formalità di particolarità appaiono contraddittorie con l’atto di sussunzione, che di fatto il pensiero esercita su di esse, sotto generi nascenti da un punto di vista non soltanto formale e funzionale, ma anche qualificativo: l’intelligibilità delle predicazioni di semplicità, di particolarità, dipende dal
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