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Giordano Bruno Cavagna
(n. 1921 - m.1966)
Metaf. class. e metaf. cristiana

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  • Prot. 51 - 101
    • 76
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[pag. 76 F1]

due porzioni eterogenee di un’unica massa di intelligibilità e quindi entrare in due eterogenei rapporti di immanenza col tutto intelligibile ai quali proviene simultaneità dalla simultaneità secondo cui si dà l’esistenza delle specie stesse; di qui la loro contraddittorietà, di qui la negazione che dall’un rapporto di immanenza si sposta all’altro per ritornare da questo al primo; e questo si verifica perché in forza delle condizioni formali sotto cui deve pensare l’intelligibile in genere, e in particolare in forza dell’unicità ontologica in cui deve essere pensata l’esistenza di quell’intelligibile che si dia identico in differenti stati dialettici, il pensiero, scoprendo nelle due specie, una sfera di intellegibile identico alla quale s’agganciano come a determinando due qualificazioni eterogenee, riconduce il rapporto generico-specifico proprio di ciascuna specie a una relazione omologa di genere a specie entro la quale l’intelligibile è un unico pensato contemporaneamente come determinato da due qualità eterogenee, cogeneri se non altro per la comune funzione di essenziali determinatore di un’essenza medesima; al pensiero, allora, non resta se non circoscrivere i tre intelligibili con un unico confine dentro il quale l’unità e unicità del genere si connette apoditticamente e simultaneamente con una sola qualità determinatrice, con la conseguenza di vedersi costretto a pensare i due rapporti di determinazione come due rapporti di immanenza eterogenei entro una cogenerità e insieme coesistenti, e con ciò atti a ingenerare quella simultaneità che pone la negazione come esclusione dell’uno o dell’altro o di entrambi. Se questa fosse la reale struttura ontologica dell’ontico intelligibile, se cioè l’ontico intelligibile dovesse essere predicato  con l’unicità dell’intelligibile matematico, la modalità del pensiero di condizione umana dovrebbe essere attribuita anche all’intelligibile il quale si vedrebbe costretto ad albergare, sotto la forma del molteplice, quella contraddizione che ha escluso da sé nella forma del divenire: ma l’intelligibile in sé non riproduce, in una teoria aristotelica, la formalità matematica del pensiero sia perché ciascuna specie infima dev’essere pensata come la ricapitolazione di tutti i gradi di intelligibilità sovraordinata sia  perché il rapporto da genere a specie non è nesso fra tutto e parte ma fra tutto con indeterminazione e tutto determinato; poiché questo nesso diviene intelligibile alla condizione di instaurare tra un genere e le sue specie un’equazione fondata sul fatto che l’ontità del genere abbraccia la determinazione del generico in connessione con tutti i modi specifici di cui il generico è motore, ma sussistenti indeterminatamente,

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e sul fatto che l’ontità della specie coinvolge la determinatezza del generico e di quello specifico che in esso si dà in atto in connessione con l’indeterminazione di tutti gli specifici che si determinano nelle altre specie, sicché tra genere e complesso delle sue specie si dà un’identità quantitativa assoluta, al tempo stesso che, sempre sotto il punto di vista quantitativo, l’identità permane tra il genere e una specie isolata, il pensiero di diritto può attribuirsi la facoltà di identificare il pensamento di una sola specie infima come il pensamento dell’intera sfera di intelligibilità alla condizione di porre il postulato che sotto la determinazione che arricchisce le specie di fenomenicità, sia pensato esistente un substrato di indeterminatezza, in cui si danno tutti gli intelligibili che conseguono l’atto e la fenomenicità fuori della specie: per siffatto postulato, che aggiunge a sé come corollario l’altro postulato che l’unicità esistenziale non sia una forma apodittica  dell’ontologico in forza di una particolare estensione attribuita all’indeterminato della potenza che deve essere pensato dotato di indeterminatezza non solo rispetto alla qualità  ma anche rispetto all’esistenza, nel senso che deve pensarsi libero dal condizionamento di un esistere univoco ed unico, l’ontico ontologico in sé ripete tante volte se stesso quante sono le specie infime intelligibili, sicché, il pensiero, se deve uniforme la sua dialettica  non alle norme dialettiche della sua condizione ma alla struttura dialettica dell’oggetto considerato, è tenuto a instaurare una relazione di immanenza tra specie e totalità dell’intelligibile la quale è identità sotto il punto di vista meramente quantitativo, è immanenza sotto il punto di vista qualitativo, essendo inserzione di una sfera di determinatezza  entro un universo indeterminato; dal momento che questo tutto indeterminato  è indifferente al numero di determinazioni che in esso possono verificarsi, ogni rapporto di immanenza che abbia a suo termine una specie infima intelligibile deve pensarsi come avente a suo tutto una sfera propria di intelligibilità la cui ripetizione o identità non coinvolge l’unicità di esistenza, e che, perciò, è tale da essere di fatto eterogeneo da qualsiasi altra sfera dotate ((??totale??)) di intelligibilità, come quella che si dà in funzione dello specifico

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tipico della specie considerata e eterogeneamente dalle altre funzioni che può assumere  di fronte ad altri specifici propri delle altre specie; se, dopo ciò, si considerano due specie infime, è logico che per ciascuna deve pensarsi un rapporto di immanenza con il tutto intelligibile di cui essa non è che o la determinazione fenomenica o la perfezione di determinatezza; ma i due rapporti sono assolutamente eterogenei come quelli in cui il tutto di ciascuno è eterogeneo dal tutto dell’altro, sicché la loro simultaneità è per il pensiero che è portato dalla sua condizione umana  a porre in coesistenza i due rapporti per il mero fatto che li ritiene appercepibili in contemporaneità oppure ad attribuir loro coesistenza in nome della omogeneità di uno dei loro poli; ma nell’ontico ontologico, questo non si verifica sia perché tra la totalità intelligibile dell’una specie e la totalità intelligibile dell’altra non c’è nessuna rapportazione possibile, essendo due universi che esistono giustapposti e irrelati in assoluto, sia perché solo da un punto di vista quantitativo i due tutti di intelligibilità possono essere identificati, non però da un punto di vista esistenziali, avendo ciascuno il proprio essere, né da un punto di vista qualitativo, avendo ciascuno il proprio modo di determinazione e il proprio modo di indeterminatezza. Perciò l’ontologico esclude da sé il contraddittorio, non perché non tolleri la negazione, ma perché esclude le condizioni di esistenza del principio della negazione, vale a dire della contraddizione. E’ vero che il pensiero quando si trova di fonte ((fronte??)) a una contraddizione qualsivoglia, ossia a una simultaneità di rapporti di immanenza eterogenei, si vede costretto a rappresentare un tutto che in un certo suo modo di essere, se lo si assume nella sua purezza ontologica, o in una sua zona determinata da una certa latitudine e da una certa longitudine, se lo si considera sotto una metaforica trasposizione spaziale, è determinato da due enti eterogenei, sussumibili sotto uno stesso genere, ed è determinato da essi in un tempo che è uguale per entrambi, con la conseguenza che o esclude dalla sua azione legittima una delle determinazioni o si condanna a passare incessantemente dall’una all’altra per ritornare alla prima; ma è altrettanto

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vero che l’intelligibile di un aristotelismo ripudia il contraddittorio non già per adattarsi all’impossibilità del pensiero di stare nella contraddizione, ma perché il suo modo ontologico non concede alla contraddizione ragioni sufficienti  di esistenza; è vero che il pensiero  non riesce a procedere in una contraddizione, ma è pur vero che quando l’oggetto gli impone il contraddittorio, al pensiero non resta altro che accettarlo e cercare di adattarsi, il che, ad esempio, facciamo tutti giorno ((?? tutti i giorni??)) se non altro con noi stessi che buoni e cattivi come siamo ci sentiamo incapaci di compiere un’azione che attui in sé allo stato d assoluta purezza un’azione buona, ma erreremmo grandemente se per adattare siffatta inettitudine alle condizioni del contraddittorio finissimo per sospendere l’esecuzione dell’azione; in altri termini, le norme e i principi del contraddittorio sono quel che sono e, se il nostro pensiero vuole adattarsi ad esse, ci vediamo nella necessità di trarre da esse tante conseguenze tra le quali però possiamo scegliere, tra il radicalismo dell’unitarismo parmenideo e matematico e il radicalismo opposto del pluralismo sensoriale, ma non necessariamente, come dimostra  la stessa liceità della scelta, l’ontico, ontologico oppur no, vede le modalità della sua struttura condizionate in toto dai principi  e dalle norme della contraddizione, avendo, per dir così, la materia dell’ontico stesso una sua assolutezza e autonomia  che consente, sia pure entro certi limiti, al pensiero di definirlo in sé, indipendentemente dalla legislazione cui il pensiero stesso vede sé necessariamente subordinato; in forza appunto di questa, sia pur limitata autonomia, l’intelligibile aristotelico elude la negazione con parziale indipendenza dalle condizioni dal pensiero, grazie cioè a una sua interpretazione in virtù della quale si pone come libero da contraddizione: la negazione, è vero, resta un possibile per esso, per quel tanto di fenomenico sensoriale che è trapassato dentro la sfera dell’intelligibilità, ma è un possibile per il pensiero che contempla l’oggetto non per l’oggetto in sé fuori da qualunque rapporto con un pensiero che sia capace di rappresentarselo ma non di rifletterlo, per un pensiero cioè che non sia pensiero del pensiero. E’ logico




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