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Giordano Bruno Cavagna
(n. 1921 - m.1966)
Metaf. class. e metaf. cristiana

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  • Prot. 51 - 101
    • 78
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che “il fenomenico sensoriale è esistere “, di fatto si ha il diritto di ricondurli entrambi all’unica affermazione che legittimamente si sovraordina loro, che “ l’ontico è esistere”: infatti, l’esistere che Parmenide erige a soggetto è, anteriormente allo svolgimento del discorso, un concetto cui nulla si oppone di accogliere determinazioni ben più vaste di quelle del suo predicato se non altro sulla base del criterio logico che un giudizio, che per presupposto non sia stato enunciato nella veste e nelle condizioni gnoseologiche di una tautologia, anche se i segni che lo compongono  ne abbiano tutto l’aspetto epidermico, deve porre il soggetto con una connotazione con cui le note denotanti il predicato coincidono solo in parte, così come d’altra ((parte??)) si accetta al termine dell’intero discorso quando, identificata la connotazione del predicato con l’intera connotazione del soggetto, una nota denotante questa resta esclusa dalla sua connotazione in quanto non denotante il predicato, la nota dell’in sé; ora, in siffatta anteriorità assoluta, in cui l’esistere del predicato non è ancora stato sottoposto all’analisi riduttiva delle sue note alle note dell’esistere dell’ontologia geometrico - matematica, l’esistere del predicato deve essere pensato come l’unità possibile o classe possibile di tutti i possibili ontici che siano denotati dall’unica nota che per immediata evidenza denota il predicato; per tale nota, che non può essere altro dalla conoscibilità in genere, tutto il noto rientra nell’esistere in quanto concetto soggetto del giudizio, ed anche il noto fenomenico e sensoriale  non ne resta escluso; che poi questa primordiale sussunzione sia la condizione principale della cecità umana, il buio che abbacina il pensiero quando ancora il carro della ragione non lo ha smosso e avviato verso la soglia al di là della quale, liberato dal peccato dell’originale violenza e rigenerato nella giustizia, sarà capace di escludere dalla sussunzione sotto il soggetto la parte del conosciuto non denotata dell’esistere del predicato, è conquista ulteriore; così, anche un hegelismo di fatto deduce la sua primordiale enunciazione che “il fenomenico è esistere” dall’affermazione che “l’ontico è esistere “, perché il presupposto, da cui muove per superare la soglia dell’accettazione immediata del sensoriale destinata a privare questa di qualsiasi intellezione, è di ritrovarvi la liceità della sussunzione univoca e quindi la facoltà di un giudizio primo che trasporti il sensoriale dalla sfera immediata alla sfera riflessa; ora, tale liceità non può nascere se non dall’assumere una certa

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nota che sia comune a tutto il sensoriale, nota che per la sua genericità non potrà essere tale da escludere dalla sua classe tutto ciò che non sia sensazione, come quella che una volta colta nella sua immediatezza attende analisi condotta su di esso ((??essa??)) nel suo isolamento; tale nota è segnata dalla parola “esistere”, ma questa rimanda a un concetto che, anteriormente a qualunque ulteriore processo, non può essere denotato se non dalla mera conoscibilità che si pone come attributo puramente di qualsivoglia contenuto di coscienza  il quale appunto c’è perché può essere conosciuto; per questo, tutti i contenuti di coscienza godono del predicato dell’esistere  che perciò vale per l’ontico in generale, in forza del principio che l’ontico che non possa essere conosciuto non è ontico; che se è lecito predicare al sensoriale l’esistere, la liceità deriva  dalla conoscibilità dell’ontico in genere e dal fatto che il sensoriale  è un ontico in quanto conoscibile, il che, tradotto in termini di intellezione, si manifesta come l’antecedenza del giudizio predicante l’esistere all’ontico rispetto al giudizio affermante l’identico predicato per il sensoriale -; e tale operazione conduce secondo le modalità di un’analisi volta ad approfondire il predicato in vista di una conoscenza del soggetto che si porti sotto la costa dell’apparente, in quanto in un giudizio quel che in realtà si fa è di rilevare una certa area della connotazione del soggetto, di delimitarla per dir così con uno steccato, onde superare l’indeterminatezza del concetto del soggetto pel medio di un’analisi che non sarà più abbandonata al caso e al disorientamento provocanti una ricerca che or parte di lì or di qua perché di fatto non sa donde partire, ma sarà facilitata nelle sue operazioni che han visto ridotto in buona parte il terreno di scavo e sarà dotato di un orientamento nei confronti della totalità del concetto perché la delimitazione fissata dal predicato ha fatto dell’area circoscritta il principio, l’essenza, l’intelligibile di tutto il resto; sembrerebbe, quindi, che l’analisi dovesse essere unidirezionale come quella che in teoria è condotta su due concetti, ossia sul predicato in sé e sul predicato in quanto immanente nel soggetto, ma di fatto deve introdursi su di un unico ed univoco ontico intelligibile che è la porzione della connotazione del soggetto di cui il predicato in sé non ha se non delimitato il perimetro; ora, questo è vero quando

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il predicato è materiale, ossia quando le denotazioni che risultano dalla rottura della sua unità sintetica coincidono con modi di essere del concetto del soggetto i quali il pensiero umano non può ritrovare in nessuno dei modi con cui esso esiste in quanto ontico riflettente e intelligente: quando le note connotanti i concetti del soggetto e del predicato sono o totalmente o parzialmente eterogenee dalle note proprie della connotazione del pensiero  riflettente ed intelligente, il conosciuto offerto dalle note, che non può essere identificato in alcun modo, da parte del pensiero stesso, con se stesso, né nella sua totalità né nelle sue componenti costitutive, può essere chiamato materia, al fine di rilevare la sua contraddittorietà, almeno parziale, con il pensiero che lo conosce, e, inoltre, al fine di non confondere siffatta modalità di conosciuto con l’oggetto che non è se non il conosciuto in generale, nella cui classe può iscriversi non solo lo stesso pensiero, come tutto e come modi costitutivi di esso, che può porsi a conosciuto di un atto di conoscenza del pensiero stesso senza mai divenire materia, ossia oggetto eterogeneo dal soggetto, ma anche quell’ontico che il pensiero conoscente avverte non coincidente con se stesso e quindi materiale, benché ricco di una materialità particolare, come quello che si attua in una zona di ontico ricca di quella peculiare autocoscienza individua e determinata che il pensiero ritrova nella propria riflessione e nella propria intelligenza; è logico, allora, che dinanzi a un predicato materiale, a un predicato cioè che è la mera circoscrizione entro l’area connotante il soggetto di una porzione qualitativa parzialmente o totalmente eterogenea dalle denotazioni della riflessione intelligente, il pensiero di condizione umana non abbia diritto di inserire tra il conosciuto assunto come soggetto e il noto assunto come predicato una differenza la cui classe abbraccia tutte le eterogeneità che distinguono un unico irripetibile da un unico ripetibile, ossia, in termini più semplici, di diversificare la connotazione del predicato dalla porzione che questo delimita nel soggetto  nello stesso modo  con cui un noto che è lecito aspettarsi di ritrovare in sintesi altre da quella sotto cui si dà nella connotazione del soggetto si differenzia da se stesso, in quanto connesso con altri noti in una sintesi che non si  ha diritto di pensare tale da poter essere ritrovata identica con altri noti utilizzati in altri momenti di questo e di qualsiasi altro discorso; ora, in tale situazione, il pensiero ritrova, nella permanenza e costanza in nome delle

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quali ha circoscritto nel soggetto una certa ((??terza??)) area della connotazione e in nome delle quali ha disinnescato l’area erigendola a ((??o??)) noto a sé stante in quanto appunto permanente e costante, la liceità o di analizzare la connotazione del predicato in sé o di analizzarla entro il soggetto o di analizzarla in qualsivoglia altra sintesi si ripresenti, nel caso che il predicato si dia parzialmente ignoto, o di ripetere per il predicato tutte le conoscenze che della sua connotazione si sono ottenute grazie a precedenti analisi, e di immetterle nella connotazione del soggetto sotto forma di determinazioni da sostituirsi a quanto di indeterminato l’area rilevata in tale connotazione presenta. Ma la condizione in cui il pensiero umano viene a trovarsi dinanzi a un giudizio cambia quando il concetto del predicato o l’area rilevata entro il concetto del soggetto non risultino costituiti da conosciuti materiali, non si rivelino ciò((??cioè??)) o totalmente o parzialmente eterogenei da ciò che il pensiero riflettente e intelligente è nel suo tutto o in alcuni suoi modi; se chiamiamo formale un concetto che sia nozione di un modo di essere generale o particolare della riflessione e della intelligenza, la predicazione di un concetto formale ad una qualsiasi rappresentazione esige un’analisi che determini la connotazione della forma considerata nel caso che questa sia stata assunta indeterminatamente, e l’analisi può essere condotta sia nell’area che il predicato circoscrive entro l’ambito del concetto del soggetto sia sia nella sfera del pensiero riflettente ed intelligente appunto perché il concetto del predicato  null’altro fa che indicare un modo di questo: si dovrebbe ammettere che, trattandosi di un modo di essere che apriori è assunto identico se concepito per sé e se concepito per altro, se non altro per il fatto che la predicazione è sempre un indice di identità, nessuna differenza di conoscenza può risultare dalla dissimiglianza dei termini su cui l’analisi è condotta, e l’ammissione sarebbe legittima se i modi costitutivi della riflessione e dell’intelligenza fossero unici ed univoci, ma sull’unicità e univocità della formalità del pensiero di condizione umana si deve a giusta ragione dubitare come dimostrano le considerazioni a) che le strutture costanti ed uniformi attribuibili all’ontico in sé sono molte ed eterogenee non solo nella materia alla cui elaborazione si sovraordinano ma soprattutto nelle loro modalità relazionali, ossia nella loro forma, potendosi caratterizzare l’ontico in sé con un determinismo meccanico o con un determinismo teleologico, con una legalità matematica o con una legalità biologica, con un monismo o con un




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