Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText |
Giordano Bruno Cavagna (n. 1921 - m.1966) Metaf. class. e metaf. cristiana IntraText CT - Lettura del testo |
|
|
[pag 79 F1] dualismo e con un pluralismo, b) che all’indubbia verità che la formalità del riflettere intelligente consiste in comportamenti generalissimi fa ((fan??))riscontro le verità altrettanto indubitabili che tali comportamenti, molteplici come sono, non si danno con evidenza immediata né riducibili ad uno solo tra essi né sussumibili l’uno sotto l’altro secondo un ordine di derivazione apoditticamente uno, e che più comportamenti particolari possono discendere da un solo comportamento generalissimo andando ad occupare contemporaneamente il medesimo livello di specialità e il medesimo sito fissato su questo livello da un medesimo punto di vista. Di qui risulta che un esame puramente formale del pensiero riflettente ed intelligente in sé, ammesso e non concesso che sia di diritto e di fatto possibile, procurerebbe una serie di nozioni la quale non sarebbe mai univoca, ma almeno ambigua se non equivoca, e sarebbe capace di porsi come una alla sola condizione che il pensiero riflettesse sui suoi modi formali quali si danno entro una certa zona materiale, entro una certa classe di conoscenze materiali. L’analisi, allora, consegue risultati diversi a seconda che, applicandosi al concetto di esistenza che è concetto formale e rivela la sua formalità con l’identificarsi con un possibile modo di conoscere proprio della materia affermata esistente, ricerchi le denotazioni dell’esistere o nella connotazione dell’ontico che è il concetto fatto soggetto del giudizio primo, o nella connotazione di quella materia nota che, presente nel pensiero riflettente e intelligente e assunta a noto privilegiato in quanto unica rappresentazione simmetrica ed equivalente dell’ontico in sé, gode della natura formale della riflessione intelligente per la sua immanenza in questa e della capacità di rivelare la formalità dell’ontico per la sua simmetria con questo: le due strade, infatti, non sono né unidirezionali né biffate da nozioni identiche; lo potrebbero essere solo nel caso che il concetto dell’ontico, posto a soggetto del giudizio, coincidesse col concetto del conosciuto cui è riservato il compito di rivelare la denotazione dell’esistere; ma questo in un eleatismo e in un hegelismo non si verifica, giacché il pensato che il primo assume a principio del discorso sull’esistere è in generale il geometrico con la conseguenza che l’ontico in sé dovrà identificarsi con ciò che accoglie le generalissime modalità formali di un geometrico ed escludere il fenomenico sensoriale, mentre il secondo, proprio perché esercita la ricerca del’intelligibilità sul fenomenico sensoriale, conclude in una denotazione dell’esistere che è quanto qui ci interessa:La formalità del fenomenico è tale che, considerata in sé, [pag 79 F 2] accoglie la denotazione della successione e della giustapposizione di eterogenei, e, confrontata con la legalità geometrica, manifesta la contraddizione come suo attributo fondamentale: la totalità del fenomenico, che almeno l’immaginazione può offrire in atto al pensiero, è un quadro in cui incessantemente si accendono e si spengono luci di colori diversi e in cui, quindi, entrano nel conoscere ed escono dal conoscere qualità materiali, in quanto sentite dal pensiero altre dai modi secondo cui essa riflette e capisce; la stessa totalità è un quadro in cui molti materiali eterogenei si danno a conoscere, entrando e rimanendo nella conoscenza tutti, alcuni senza mai venir meno, altri senza sottrarsi allo scomparire dalla conoscenza: l’unicità di almeno un modo presente in tutti gli eterogenei, ossia l’unicità della loro caratteristica di essere conosciuti all’improvviso fuori dalla necessità di conoscere qualcosa d’altro per poter conoscere ciascuno di essi, induce il pensiero intelligente a supporre una relazione sotterranea, celata sotto quel loro manifestarsi immediata, la quale potrebbe farsi ragione dell’unicità stessa, una tale relazione sotterranea non compare o almeno non si ha il diritto di giudicare conoscibile se per conoscenza si deve intendere quel modo di darsi al pensiero che è esclusivo dei sensoriali; dunque, i molteplici sentiti sono degli eterogenei irrelati. E’ questo l’aspetto del sensoriale in sé e tale aspetto il pensiero chiama tempo quando si rifà a quell’apparire e scomparire dei sentiti, chiama spazio quando si rifà al permanere dei sentiti in quanto eterogenei; perché il tempo divenga un concetto e possa essere denotato o come l’aristotelica misura del movimento o come il kantiano schema assoluto e immutabile di una successione per eterogenei o come il bergsoniano complicarsi per creatività limitata e condizionata o come l’einsteniana determinazione quantitativa in rapporto funzionale con altre determinazioni quantitative, occorre sostituire al sensoriale una elaborazione del sensoriale stesso, la quale potrà essere variabile a piacimento, ma avrà sempre il carattere costante di mettere una unicità permanente qualsivoglia al posto di ciò in cui non c’è unicità e di valersi di una certa relazione fra molteplici eterogenei per molteplici eterogenei, che sono relazionabili solo per un pensiero che li conservi non per una conoscenza sensoriale che apoditticamente li deve eliminare via via che di per sé scompaiono da essa; a livello del sensoriale puro il tempo [pag. 79 F 3] è il segno da un lato del tipo di conoscibilità del sensoriale, costituito da un rappresentare che si lascia costantemente distruggere da un altro eterogeneo, secondo un modo che chiamiamo successione o mutamento, dall’altro di un modo di esistere in generale che può essere ricavato dal modo del conoscere, stante l’identità o dipendenza funzionale dell’esistere dall’esser conosciuto, e che può essere identificato con un esserci che si lascia costantemente distruggere ed annullare da un esserci eterogeneo, in quanto esserci ed esser conosciuto sono qui la stessa cosa e l’uno si fa condizionatore funzionale dell’altro a seconda che l’attenzione del pensiero si porti sull’uno o sull’altro. Altrettanto può dirsi dello spazio che non è se non l’aspetto del sensoriale cui si rifa il pensiero quando rileva l’eterogeneità di più sentiti nessuno dei quali venga sostituito nella conoscenza da un sentito eterogeneo - e questo rilievo può divenire relativo al pensiero grazie alla facoltà che il pensiero ha di conservare il sentito nell’immaginazione anche quando cessi di essere conosciuto all’improvviso e quindi di mantenerlo negli stessi rapporti di eterogeneità con altri sentiti anche quando la conoscenza immediata non verifica l’eterogeneità, facoltà questa che annulla il tempo -; qualunque altra denotazione dello spazio, o quella geometrica di una certa misura che sarebbe l’ontico in sé sotteso all’ontico per il pensiero del mero rapporto di eterogeneità fra sentiti conosciuti immediatamente, o quella aristotelica di una qualificazione in sé posseduta da un estremo di una certa misurazione geometrica e destinata non solo a porsi in funzione di tale misura ma anche a permanere quando venga meno l’eterogeneo sentito che consenta il misurare, o quella newtoniano-kantiana di un’ assolutezza di simultaneità che esclude il condizionamento da qualsiasi determinazione quantitativa e insieme da qualsiasi determinazione qualitativa, essendo il simultaneo indipendente dalla misura e dal modo di esistere dei coesistenti, o quella einsteniana di una certa diacronia instaurata non tra eterogenei ma tra quegli omogenei che sono certi modi del pensiero ripetuti identici entro la sostituzione di un eterogeneo ad un altro, ogni altra denotazione dello spazio, ripetiamo, si dà alla condizione che alla relazione di eterogeneità tra sentiti eterogenei si sostituisca una relazione di omogeneità, alla condizione cioè che i due eterogenei, che il pensiero nella sfera del sensoriale spazializza col solo rilevare la loro eterogeneità [pag.79 F 4] unitamente all’assenza di sostituzione di un terzo eterogeneo a uno dei due, vengano sussunti sotto un’identica nozione con un atto di generalizzazione indebito come quello che si rifà a una loro qualsivoglia omogeneizzabilità che è per il pensiero e non a quella loro assoluta eterogeneità che è per il sentito; lo spazio non è che il segno della mera eterogeneità in quanto liberata dal tempo, o meglio, come vedremo in seguito, in quanto lasciata nel tempo del pensiero e astrattamente avulsa dal tempo del fenomenico sensoriale, come quella che investe due sentiti di cui s’ignora di fatto e si vuole ignorare di diritto la necessità della loro sostituzione da parte di due altri eterogenei. Ora, su questa effettiva formalità del fenomenico sensoriale, avente a sue categorie il conoscere istantaneo e libero da mediazioni, il tempo come conoscenza e ignoranza secondo istantaneità e immediatezza senza ragion sufficiente dell’ignorare e del conoscere, lo spazio come eterogeneità in un conoscere non affetto da ignoranza, il pensiero deve lavorare per ritrovarvi ulteriori denotazioni formali che la rendano congruente con la sua propria formalità, proprio per la ragione che nessuna delle modalità generalissime del pensiero in sé, indipendentemente da qualsivoglia dei loro possibili ordinamenti logici e da questa o da quella delle molte determinazioni in cui l’uno o altro loro ordine logico si particolarizza, ritrova se stessa nelle denotazioni formali del fenomenico sensoriale, tranne che nell’istantaneità e immediatezza, la quale però, affetta com’è da attitudine a passare dalla conoscenza all’ignoranza e da eterogeneità, si rende estranea al pari della temporalità e della spazialità alle leggi di ragione: questa ricerca di una intelligibilità del fenomenico in sé è il contenuto del discorso di un hegelismo. E’ da dirsi dubito che l’analisi hegeliana non è né un’operazione arbitraria in quanto trova le sue ragioni sia nel giudizio da cui prende le mosse - il giudizio in quanto predicazione di un certo modo all’ontico fenomenico assume a suo presupposto la delimitazione entro i connotanti di questo di un’area di intelligibilità; lo stesso giudizio, in quanto predicazione di una intelligibilità meramente formale, presuppone una congruenza tra la formalità del fenomenico e la formalità dell’intelligenza - né un’elaborazione che possa prescindere da uno dei due termini del giudizio per applicarsi esclusivamente all’altro, così come si dà in un eleatismo - il giudizio, infatti, nell’atto in cui ha fatto suo il predicato dell’esistenza, ha affermato indeterminatamente
|
Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText |
Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on Tablet PC IntraText® (V89) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2007. Content in this page is licensed under a Creative Commons License |