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Giordano Bruno Cavagna (n. 1921 - m.1966) Metaf. class. e metaf. cristiana IntraText CT - Lettura del testo |
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[pag 80 F 1] una certa modalità del conoscere, la cui determinazione non può escludere dalle sue fonti né il pensiero riflettente e intelligente né la materia che vi penetra in forza di certe modalità che la caratterizzano, il primo perché è il dettatore delle condizioni che devono essere verificate dalla materia onde questa possa divenire oggetto di una conoscenza per intelligibili e non di una conoscenza qualsivoglia, la seconda perché è l’ontico che è tenuto a dimostrare la congruenza tra le condizioni e la totalità del suo essere. Che siffatta situazione sia legittima quando l’ontico sia il fenomenico sensoriale, che cioè il pensiero riscontri una liceità effettiva di equazionare la formalità del sensoriale con la formalità dell’intelligibile, che almeno in parte deve accogliere in sé del geometrico, se non altro quell’unità e unicità che un conosciuto deve avere per divenire intelligibile, è compito dell’hegelismo dimostrare, e dimostrare per tutta la sfera del sensoriale e non per una zona soltanto, con una limitazione del compito, tipica, ad esempio, di una scienza, come lo storicismo marxista, ma non di una metafisica. Ma non è nostro impegno qui di concedere o negare legittimità all’hegelismo e tanto meno di darne un’esposizione che tocchi solo quei vertici che hanno che fare con il concetto di negazione. Resta, perciò, che un hegelismo si dà il diritto di procedere con una dialettica pendolare che dall’ontico fenomenico in sé si porta alla struttura formale della riflessione intelligente per ritornare da questa al primo, e si trova nella necessità di assumere la forma della riflessione intelligente secondo alcune delle modalità che la geometria vi ha fissato, se non rinvenuto: anche per un hegelismo l’intelligibilità intenzionale è denotabilità della nozione da parte dell’unità e dell’identità, e quindi coincide con l’univocità e con l’immutabilità dei rapporti di immanenza tra vari pensati intelligibili e il pensato intelligibile che si pone a loro tutto comprensivo; per il primo carattere dell’intelligibilità il fenomenico sensoriale dev’essere uno e dev’essere pensato uno, donde deriva che, nonostante il tempo che infrange il sentito in una molteplicità di eterogenei ciascuno dei quali si sostituisce all’altro nel conoscere e nell’esistere, il sensoriale dev’essere definito come un ontico uno nel cui seno albergano le successioni, e che, nonostante lo spazio che disarticola il sentito in un’irrelata frangia di molteplici eterogenei e insussumibili sotto nessuna classe, tranne quella genericissima e qualitativamente irrilevante della formalità esistenziale e cognitiva, il sensoriale dev’essere definito come un unico tutto nel cui perimetro [pag. 80 F 2] gli eterogenei si giustappongono in una coesistenza che supera la mera spazialità per fondarsi sulla coessenzialità. E’ questo l’unico condizionamento positivo che un hegelismo deve accettare dal geometrismo formale dell’intelligibilità ed è l’unica risultante che un hegelismo non possa ripudiare dal moto pendolare che dal formalismo intenzionale in sé porta al formalismo dell’ontico in sé. Quando poi si passi all’altra condizione della permanenza o costante identità con se stesso dell’intelligibile, l’irriducibilità del fenomenico sensoriale a questa condizione si pone come l’effetto o il segno apparente di un’opposizione insuperabile della struttura formale dell’essenza profonda dell’uno che si squaderna nel sentito contro la struttura formale dell’essenza profonda dell’intelligibilità geometrica; e poiché identica opposizione è presente nel pensiero stesso e nell’area di questo prende corpo nella contraddizione e nella negazione, i poli che si oppongono all’univocità e costanza della relazione di immanenza di tipo geometrico, l’opposizione da relativa al pensiero si fa assoluta ossia relativa all’ontico, il quale divarica sé in un modo tipico del suo esistere in sé, che sarà contraddizione e negazione, e in un modo tipico del suo esistere per il pensiero, che sarà esclusione della contraddizione e della negazione, essendo tuttavia comuni ad entrambi l’universalità e la necessità che non possono non affettare ((??)) un ontico in quanto intelligibile. La conseguenza della temporalità o assoluta, che è divenire, o relativa, che è molteplicità eterogenea in simultaneità, è la contraddizione e la negazione reciproca dei molti eterogenei; la sua ineliminabilità dal fenomenico sensoriale si traduce nella forma intelligibile di questo e nella forma di tutti gli intelligibili sotto cui il fenomenico debba legittimamente essere sussunto. Che da siffatta prima determinazione dell’ontologico derivi una logica che a suo contenuto formale avrà il solo concetto della contraddittorietà, e che per il resto dovrà identificare la sua piramide formale con la materia sensoriale, intepretata in questo o in quel modo, che in un hegelismo la logica cessi di essere formale per farsi materiale, è considerazione che dobbiamo fare per intendere come al pensiero sia data la legittimità di costruire una serie di intelligibili a cui la legislazione [pag.80 F3] deriva dal fenomenico e che in alcun modo può pretendere di attingere la sua validità da una struttura estranea al fenomenico e sovraordinata al materiale intelligibile stesso; quel che interessa qui è però rilevare come dimostrato il fatto che, quando i confini dell’intelligibile sono estesi al di là del fenomenico, la via all’insù che mutua la legislazione formale dell’intelligibile dal sensibile trae da questo la contraddizione e la negazione, così come in fondo aveva fatto la via all’ingiù, ma con l’opposta valutazione dei due modi fenomenico-temporali, ossia con la loro erezione a norma dell’essere e non con la loro riduzione a inintelligibili e superflue entità la cui presenza nel fenomenico non intacca l’intelligibilità di questo e il cui residuo nell’intelligibile dev’essere annullato se non si vuole viziare questo di invalidità. Spetterà poi all’hegelismo descrivere l’ontico intelligibile in modo tale da giustificarne la struttura fondata sulla negazione, allo stesso modo che a un aristotelismo tocca aggiungere all’ontico intelligibile qualche aspetto che giustifichi l’esistenza, sia pur solo relativa o ipoontica, del negativo. Tuttavia con la distinzione tra un’intelligibilità ad imperio di identità che estende se stessa al fenomenico e un’intelligibilità a base sensoriale che fenomenizza l’intera classe degli intelligibili con l’identificare in essi la forma e la materia, si coglie soltanto la differenza superficiale e appariscente tra un hegelismo e un aristotelismo. Bisogna oltrepassare quella soglia per giungere all’anima o al genio delle due correnti. Che il fenomenico sensoriale appaia caratterizzato da certi modi di esistenza se considerato e descritto come si manifesta in sé, mentre risulta dotato di differenti modi di esistenza se lo si descrive nella struttura che acquista in seguito alla sua entrata nel pensiero, è cosa che può essere abbastanza evidente quando si tengan presenti alcune osservazioni: il sentito nella sua immediateza è preda totale del tempo e della pluralità irrelata, perché da un lato nella sfera sensoriale che di fatto è data le sensazioni insorgono all’improvviso sottentrando a sensazioni che d’improvviso scompaiono per lasciare posto ed esistenza alle nuove, dall’altro questa sensazione o questo gruppo di sensazioni che giacciono nell’esistenza a lato di quest’altra sensazione o di quest’altro gruppo di sensazioni non presentano nulla di comune e di identico, almeno in quell’immediatezza sotto cui si danno, e quindi non lasciano adito a rapporti, ad eccezione di quello di eterogeneità assoluta; la situazione del sentito cambia quando abbandona [pag. 80 F4] lo stato di immediatezza e si lascia elaborare dal pensiero, almeno fino a quelle forme che sono il presupposto dell’azione che una ragione esercita su un conosciuto; la prima di tali forme è l’unità di un molteplice in generale, un’unità che è qualcosa di più e di diverso dalla sintesi percettiva nel senso che, se è vero che un esame condotto sul sentito prima di ogni elaborazione di pensiero lascia a giusta ragione dubbiosi che quel sentito insorga veramente in quella spezzettatura assolutamente irrelata di sensazioni da cui noi stessi siam partiti e che non spiegherebbe i condizionamenti cognitivi in cui i vari sentiti si trovano sottoposti ad opera di altri sentiti coesistenti, è altrettanto vero che l’unità della percezione o unità del sensoriale in sé è un’unificazione qualitativa che anzitutto è al di fuori del tempo, nel senso che non riguarda in alcun modo la conservazione di qualcosa di immutato permanente al di sotto delle modificazioni diacroniche, e in secondo luogo investe l’intera sfera spaziale, nel senso che riguarda non questa o quella particolare unificazione di sentiti, ossia la percezione in funzione della sua intelligibilità, ma l’intera sfera del sentito qual è data nell’istante al di fuori e al di sopra delle suddivisioni che lo sforzo di intelligibilità vi introdurrà; l’unità del molteplice in generale prodotta dal pensiero o unità del sentito in quanto pensato coinvolge tempo e spazio, e non si arresta ai condizionamenti sensoriali che la compresenza provoca fra sentito e sentito: infatti, quando il pensiero fa sua la sfera sensoriale che gli si presenta nell’istante, ad esempio l’intero complesso delle sensazioni che a noi si offrono in questo istante in cui stiamo leggendo queste righe, prende ciascun sentito e lo connette con ogni altro compresente con relazioni che nulla hanno che fare con i condizionamenti funzionali per cui la qualità di questo sentito si subordina alla qualità di tutti o di alcuni altri modificando il proprio essere qualitativo in funzione della qualificazione dei condizionanti, in quanto le connessioni che esso pensiero immette non sono se non la rappresentazione o immagine di legami profondi e non sensoriali che sono affermati esistenti sotto la fenomenica apparenza dell’intero quadro e capaci di partire dall’essenza profonda rivelantesi con il qualitativo sentito per investire e legare a sé l’essenza profonda degli altri qualitativi sentiti; perciò tale unità generata dal pensiero non coincide per nulla con l’unità del molteplice in generale della kantiana appercezione trascendentale; questa, in realtà, nulla di più è che la nota comune a tutti i sentiti di essere dei conosciuti di una coscienza
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