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Giordano Bruno Cavagna
(n. 1921 - m.1966)
Metaf. class. e metaf. cristiana

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  • Prot. 51 - 101
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o piuttosto la sostituzione dell’intuitivo razionale all’intuitivo sensoriale avviene secondo direzioni divaricantesi: o il pensiero attua la sostituzione in assoluto  e in questo caso il fenomenico  vien ricondotto sotto tutti gli aspetti all’elaborazione razionale acquistando gli attributi della contraddittorietà e della negazione, ed è questa la strada battuta da un hegelismo, o il pensiero limita la sostituzione ad alcuni aspetti essenziali, in particolare all’unicità razionale, e in questo caso il fenomenico essenziale vien descritto come una sorta di contaminazione per la quale l’intuizione sensoriale pura conserva la sua struttura pura da contraddizione e da negazione e l’estende al pensiero di condizione umana in quanto rappresentativo dell’essenziale e libero da intrusioni  sue proprie, soggettive tanto per intenderci, mentre la stessa intuizione accoglie in sé quel tanto di elaborazione ad opera del pensiero che non contraddice e non ripugna all’essenza assoluta di contraddizione e di negazione, ed è questa la strada che un aristotelismo batte. Ma quel che qui interessa è che sia nell’uno che nell’altro caso il fenomenico di pura intuizione sensoriale è assunto dopo una sua traduzione da parte del pensiero in alcune o in tutte le condizioni che lo caratterizzano, e quindi dopo la sua introduzione  nell’area della razionalità riflessa, nella quale al puro intuito sensoriale saranno tolti in tutto e solo in parte i suoi attributi, ma in tutti i modi tale intuito verrà colto entro il pensiero e tale da poter accettare i modi del pensiero. Ora, tra questi c’è proprio e tipico della condizione umana del pensiero anche il modo della possibilità, che il fenomenico in sé ignora e il cui intervento nel fenomenico amplia la liceità della negazione. Se per possibilità s’intende la nozione della simultaneità contraddittoria o eterogenea rispetto all’esistenza, ossia la consistenza ((di)) nel pensiero di due rappresentazioni omogenee nella materia, ma eterogenee nella forma, in quanto l’una pensata come esistente, ossia come data alla conoscenza fuor di tutte le condizioni soggettive del conoscere, l’altra pensata come non esistente, ossia come data alla conoscenza ma nelle condizioni soggettive del conoscere, tale coesistenza trova il suo simmetrico in due giudizi che hanno a soggetto comune la materia delle due rappresentazioni, e a predicato l’uno il concetto di esistente, l’altro il concetto di non esistente; l’assenza, o la volontaria rinuncia a ricercarle e a trovarle, delle ragioni sufficienti a porre come apodittico l’uno o l’altro dei due giudizi, porta il pensiero

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a conservarli entrambi e insieme a mantenere la materia della rappresentazione, nonostante la contraddittorietà che la pervade, in uno stato di conoscenza che non garantisce la liceità del suo pensamento e nemmeno la invalida; in siffatto caso la materia della rappresentazione viene utilizzata, a volontà del pensiero, in qualsiasi discorso e porta con ciò a conseguenze le quali però patiscono  al pari del loro principio di quella duplice predicabilità; quando una materia rappresentata è pensata in tal modo, diciamo che è possibile e con tale attributo  indichiamo la sua  capacità a conservare valore e vitalità come pensato e conosciuto, non garantita però dall’intervento di ostacoli che costringano ad espellerla dal pensiero. Per questo, diciamo che la possibilità alberga solo in un pensiero di condizione umana, perché la contraddittorietà che affetta il suo sottofondo, ossia la contraddizione tipica dell’esistenza nel pensiero del pensato possibile si traduce nell’oggetto nella contraddizione propria dell’esistenza attribuita all’oggetto; ma questa è esistenza in sé non soggetta ad alcuna condizione che non sia dell’oggetto stesso; e poiché tra le condizioni dell’esistere nel e pel soggetto c’è il conoscere in atto, un’esistenza che possa essere e non essere conoscenza in atto  non può essere dell’oggetto: la possibilità non è dell’oggetto, o può esserlo secondo modi che della possibilità del pensiero hanno solo i modi, non l’essenza e la struttura. Poiché il principio della possibilità può essere anche un atto di volontà, nel senso che un qualunque pensato a qualsivoglia classe appartenga può esser posto dal pensiero in una situazione di simultaneità contraddittoria  con se stesso dal punto di vista del suo esistere, e con ciò può esser posto a soggetto di due giudizi il cui predicato sia rispettivamente l’esistere e il non esistere, con la conseguenza che al pensiero è lecito chiamare al non esistere di diritto il pensato che esiste di fatto e di diritto e rappresentarsi come esistente qualunque pensato che di fatto e di diritto debba essere affermato inesistente, la facoltà del possibile amplia indefinitamente l’area del pensiero non solo relativamente alla rappresentazione ma anche rispetto a tutti quei modi cui la rappresentazione si adatta nell’atto stesso  in cui accede al pensiero razionale, e quindi rispetto alla contraddizione e alla negazione. Infatti, l’intervento della possibilità scinde il pensato in due grandi classi, la classe dell’apoditticità e la classe della problematicità, nella prima delle quali entrano tutte le rappresentazioni che al pensiero non è dato rappresentarsi in altro

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modo da quello con cui se le rappresenta, mentre nella seconda rientrano tutte le rappresentazioni in generale, comprese le rappresentazioni apodittiche, in forza della liceità che il pensiero ha di rappresentarsele  in altro modo come quelle che possono essere pensate esistenti nel modo in cui esistono e non esistenti secondo questo, e quindi, eventualmente, secondo altro modo il quale, a sua volta, può essere pensato non esistente in quanto contraddetto nell’esistenza o dal primo modo o da un terzo modo: le rappresentazioni apodittiche, dunque, grazie alla volontarietà della possibilità si offrono al pensiero anche come problematiche non solo nell’esistenza, ma anche, indirettamente, nella qualità secondo  cui esistono, essendo sempre lecito  dedurre dall’inesistenza di questa qualità l’esistenza di un’altra che le affetti in altro modo, e riducendosi, in questo caso, la sfera del lecito alla scelta del nuovo  modo esistenziale entro tutte le possibili rappresentazioni di cui il pensiero di fatto è capace. Che se poi si tratta di stabilire l’apoditticità di certe rappresentazioni non già nella sua natura formale di necessità di essere rappresentate nel modo in cui sono rappresentate e nell’illiceità di venir rappresentate in modo altro da questo, ma nelle ragioni sufficienti che la pongono, una delle possibili vie secondo cui l’apoditticità può essere stabilita rispetto alle sue ragioni è quella della fenomenicità per intuizione sensoriale, al di là della quale un discorso a base fenomenica com’è quello che stiamo svolgendo  non può, d’altra parte, portarsi; una volta posta l’apoditticità come derivata dai modi  del fenomenico quale si dà nella pura intuizione sensoriale, si deve riconoscere che la predicazione della nozione di apodittico spetta a quelle rappresentazioni che corrispondono a un dato del fenomenico di intuizione sensoriale o a quelle rappresentazioni con cui si determinano i rapporti invisibili  che intrecciano in unità i dati sensoriali dispersi: potrà sembrare strano che qui si pongano sullo stesso piano di necessità le sensazioni di colore e i concetti matematici, ma a guardar bene sul piano del fenomenico non si riproduce quella distinzione tra necessità razionale o di intelligibilità e ((o??)) necessità intuitiva o di fatto cui si arriva solo dopo aver assunto un particolare punto di vista, quello ontologico, che riempie di una certa connotazione il concetto di necessità; sul piano del fenomenico il rosso di una sensazione è altrettanto necessario dell’eguaglianza di due angoli alterni interni, tant’è vero che nell’esperimento ci si vale proprio della necessità di conoscenze del tipo di quella sensazione per garantire una necessità del tipo di quest’uguaglianza.

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Dalla facoltà del possibile il pensiero di condizione umana ricava un’ampiezza di orizzonte che supera di molto il perimetro dell’apoditticità fenomenica e una libertà di movimenti il cui effetto è, tra l’altro, di sottrarre la negazione alle condizioni cui deve sottostare nell’area del fenomenico: ed appunto il fatto che la negazione insorge in seguito al trasferimento del fenomenico dall’intuizione sensoriale all’interpretazione razionale, in seguito cioè all’arricchimento del fenomenico di modi peculiarmente soggettivi, dimostra che la negazione è un dato della razionalità soggettiva, conservabile anche nell’area dell’ontico in sé alla condizione di trasferire il soggettivo all’ontico in sé, alla condizione che il razionale  sia reale, e che quindi  la negazione è atta a patire tutti i modi propri del pensiero in sé, compreso quello della possibilità. Con ciò la negazione è un apodittico e un problematico, e solo muovendo da questa duplice natura è lecito darsi una comprensione totale della negazione, in particolare in quell’ultima sua denotazione che ancora resta da esaminare, la nota che la caratterizza di porsi in seguito a una certa sussunzione, in seguito  alla connessione a fini di intelligibilità tra due nozioni, ossia in seguito a ciò che abbiam chiamato l’appello a una denotazione particolare.

La negazione, in quanto appello a una denotazione particolare, riceve una prima luce di intelligibilità dall’esame che si può condurre entro i limiti delll’apoditticità fenomenica: qui il pensiero aduna in unità tutte le rappresentazioni passate e presenti, sensoriali e intelligibili, e grazie all’unità si pone in grado di connettere in rapporti di immanenza ogni rappresentazione sensoriale con il complesso unitario dei fenomeni, mentre grazie all’intelligibilità si dà la liceità di connettere in rapporti di immanenza sia uno fra un certo gruppo di rappresentazioni sensoriali con il gruppo stesso al quale la sostanzialità, conferitagli dalla natura intelligibile sua peculiare, dona quel certo modo di unità che chiamiamo percezione, sia una delle percezioni con l’unità globale del fenomenico, sia una delle nozioni concettuali, sotto cui una determinata area del fenomenico può essere ricondotta per derivarne intelligibilità, con un’altra tra le medesime nozioni  che sussume e con ciò rende intelligibile un’area più ristretta di fenomenico, sia una delle nozioni concettuali o con una certa area di fenomenico o con la totalità stessa del fenomenico; poiché abbiam già visto che a questa immagine intuitivo-spaziale di un rapporto di immanenza corrisponde un giudizio in cui il soggetto è costituito dal concetto




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