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Giordano Bruno Cavagna (n. 1921 - m.1966) Metaf. class. e metaf. cristiana IntraText CT - Lettura del testo |
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[pag.84 F1] ragion sufficiente costituita dall’ontità di un terzo momento contraddicente al primo o per contraddittorietà per divenire o per contraddittorietà per molteplicità: al pensiero, attuantesi in questa o in quella individuazione empirica, che afferma che A è B, si oppone vittoriosamente il pensiero, attuantesi o nella medesima o in altra individuazione empirica, che afferma che A non è B, perché A è C o in un tempo che è lo stesso in cui dovrebbe darsi la predicazione di A da parte di B pretesa dal primo pensiero, o sotto un punto di vista che è lo stesso di quello da cui si è posto il primo pensiero per predicare B ad A, essendo tale opposizione vittoriosa una vera e propria confutazione alla pretesa sotto cui si è presentato il giudizio A è B. Se l’agire cognitivo si esplicasse in un ambiente caratterizzato da un’esclusiva apoditticità, la negazione avrebbe esclusivamente tale schema con le sue determinazioni, e, con ciò, avrebbe ragione Bergson a definire la negazione come opposizione reale ad una precedente affermazione altrettanto reale; ma in tal caso non si spiegherebbero due modi del negativo, la negazione che si pone non come confutazione, ma come risposta data alla forma interrogativa-dubitativa, comunque indagativo-ipotetica, sotto cui si è presentato il giudizio A è B, e la negazione che rinuncia alla giustificazione del fatto e del diritto del contraddittorio contemplato nel fenomenico di intuizione sensoriale per adottare una differente ragion sufficiente della sua necessità e della sua legittimità: non sempre, infatti, la negazione è una risposta elenchistica del tipo: non è vero che A è B, bensì che A non è B, perché A, nello stesso momento in cui dovrebbe essere B o sotto il punto di vista da cui risulterebbe B, è C, perché talvolta la negazione è il risultato ultimo di un processo dialettico il cui principio è l’affermazione A è B, ma nella forma interrogativa A è B?, rispetto alla quale il giudizio A è B o A non è B è comunque verifica; e così non sempre la negazione A non è B, confutazione di un A è B o verifica di un A è B?, fonda se stessa su un giudizio A è C, potendo essere il giudizio, principio di validità del negativo, altro da questo, di un’alterità che assegna alla negazione un’ampiezza indefinita, tale da [pag. 84 F 2] abbracciare quel giudizio-limite, o, il che poi fa lo stesso, quel concetto-limite di cui ci parla Kant, che altrimenti sarebbe impensabile e impossibile per il pensiero. La facoltà della possibilità di cui il pensiero di condizione umana è dotato si traduce nella effettualità delle operazioni interne in una sussunzione di un particolare conosciuto sotto la categoria del possibile, come nozione della compresenza in genere dell’esserci e del non esserci di un qualsiasi pensato, sussunzione che è lecita solo in quanto il particolare conosciuto sia esso stesso denotato dal suo esserci e non esserci in simultaneità; poiché questa denotazione è legittima per tutti i pensati, ad ogni rappresentazione che sia data al pensiero con la connotazione parziale o totale il pensiero è in grado di sottrarre la sua connotazione escludendone l’esistenza dalla conoscenza, con la conseguenza che la rappresentazione, in quanto presente ed assente insieme, diviene un possibile - è quel che si verifica, tra l’altro, in tutte le posizioni di dubbio volontario e scientifico, allorché un certo noto, dotato di particolari attributi universali e necessari, viene privato di alcuni di questi attributi per un atto meditato ed esclusivamente soggettivo, sicché il noto, ridotto ai modi di un possibile, costringe l’indagine a ricercare ulteriori ragioni sufficienti a garantire l’esserci degli attributi sottratti -, allo stesso modo che dinanzi a una rappresentazione zero, la quale manchi di note denotanti o totalmente, essendo in tal caso un totalmente escluso dalla sfera del pensato, o parzialmente, essendo in questo caso un escluso dal pensato relativamente alle nozioni corrispondenti alle denotazioni assenti, il pensiero gode della liceità di lasciare le note denotanti assenti nella loro originaria inesistenza e insieme di dichiararle presenti alle cognizioni, e quindi di estendere il termine indicante la rappresentazione fino ad abbracciare le note denotanti ignorate che, pur mantenute in questo stato originario di insipienza, salgono a un esistere formale e non materiale-qualitativo o addirittura di adottare, nel caso di un’assenza totale di denotazione, un vocabolo ad indicare la nozione assente che è divenuta contemporaneamente nota nell’esistere in generale, ma non nel suo esistere qualificato- questo si dà, ad esempio, pei cosiddetti canali di Marte, per una nozione cioè che parzialmente connotante può essere mantenuta nella sua parziale ignoranza, ma può anche venir denotata dalle note ignorate e insieme affermate esistenti fuor da ogni qualificazione ipotetica, nel qual caso la locuzione “con ali marziani((??marziane??)) “ designa una nozione possibile limitatamente a una sua connotazione totalmente [pag. 84 F3] rappresentata; d’altra parte analogo stato si verifica nei confronti della nozione di pitecantropo, la cui connotazione, totalmente ignorata, vien lasciata nella sua assenza di qualificazione, che è inesistenza di pensato, e insieme affermata presente al pensiero anche se priva di qualificazione determinata, con la conseguenza che il termine pitecantropo passa a designare una rappresentazione possibile-. Data l’universalità di questo modo di operare cui nessuna rappresentazione si sottrae, un qualsivoglia rapporto di immanenza, che è una rappresentazione, viene dichiarato esistente dal pensiero anche nel caso che nulla di oggettivo muova il pensiero a porlo, e con ciò genera quel suo segno che è il giudizio categorico, A è B, in cui il predicato B, in quanto inerente ad A, di fatto è assente dal pensiero, ma da questo viene contemporaneamente affermato esistente, di un’esistenza tuttavia che non ha nessuna validità cognitiva ad escludere l’assenza; in tal caso, le conseguenze sono numerose: il rapporto di immanenza è accolto nel pensato come un possibile, e la sua possibilità si converte nella problematicità del giudizio A è B, la cui forma legittima diviene A può essere B; i due noti, rapporto e giudizio, nonostante la loro possibilità, anzi grazie alla loro stessa possibilità che li ha introdotti nella sfera dei pensati entro cui, stando alla loro legittimità primaria non dovevano comparire, assumono dentro il complesso delle rappresentazioni quella veste di ragioni sufficienti di una serie di operazioni successive, che tutti i rapporti di immanenza e tutti i giudizi categorici provocano, proprio per questo che, postisi come pensati in attesa di giustificazione legittimante, ossia datisi come pensati di fatto che esigono il riconoscimento di diritto, rimandano il pensiero a quell’oggettiva situazione di immanenza, costituita dalla connotazione del termine di immanenza, ossia a quella zona fenomenica di intuizione sensoriale entro cui deve essere dato l’immanente onde il rapporto divenga di diritto e di fatto; l’analisi del conosciuto il cui fatto è sorgente di pensiero legittimo, riscontra o non riscontra l’immanenza del termine immanente, e, con ciò, converte la possibilità in apoditticità facendo del rapporto di immanenza possibile un rapporto di diritto e del giudizio categorico problematico un apodittico, o annulla la possibilità escludendo dal pensato legittimo il rapporto di immanenza e imponendo al giudizio categorico la forma negativa - è questa la condizione sotto cui molte delle ipotesi si pongono e da cui molte delle ipotesi ritraggono utilità e [pag. 84 F 4] quindi ragion d’essere, e d’altra parte è questa condizione che rende lecita la serie delle negazioni che nell’ambito di una scienza in genere vengono annunciate intorno a un noto universale e necessario, al fine o di determinarlo in tutti i suoi modi o di ritrarre dalla sua qualificazione tutte le conseguenze lecite, come quando diciamo che un mammifero non è eterotermo, non è chitinoso, non è oviparo, non è anaerobio ecc., enunciando su di esso una serie di negazioni che non possono certo trovare la loro ragione in una precedente posizione apodittica, e contraddittoria per divenire o per molteplicità, in quanto nessun mammifero darà mai a conoscersi come eterotermo o come chitinoso ecc.- Ora, a guardar bene una negazione che scaturisce dalla posizione di un rapporto di immanenza meramente possibile, gli atti del pensiero sono gli stessi di quelli compiuti dinanzi a un rapporto di immanenza apodittico per il pensiero di condizione umana, in quanto solo grazie al riscontro nel fenomenico di intuizione sensoriale dell’assenza del dato immanente e della presenza di un dato differente nelle medesime situazioni di tempo e sotto lo stesso punto di vista, è lecito la transizione dialettica dal rapporto di immanenza posto alla sua contraddittorietà con altro rapporto e da questa contraddizione alla verità di questo e all’esclusione del primo; l’unica differenza che divide il principio apodittico della negazione dal principio problematico, è costituita dalla mera possibilità del primario rapporto di immanenza: perciò, Bergson quando definisce la negazione come l’opposizione a una posizione contraddittoria e falsa diacronicamente antecedente, pecca nella sua definizione per parzialità, in quanto ignora due aspetti della negazione, l’uno secondario, quello per cui la negazione non è opposizione, ma anche risposta, l’altro fondamentale, quello per cui la negazione è opposizione non solo a un apodittico ma anche a un problematico antecedente, e può divenire risposta ad un’ipotesi solo in quanto preceduta da una posizione meramente problematica. D’altra parte, se il pensiero fosse costretto a procedere dialetticamente da una posizione anteriore a una negazione successiva solo alla condizione che gli fossero offerte di fatto nel dato di riscontro immanenze qualificate e contraddittorie, un buon numero di negazioni di fatto presenti al pensiero e di fatto pensate e denominate, ossia indicate con un loro
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