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Giordano Bruno Cavagna (n. 1921 - m.1966) Metaf. class. e metaf. cristiana IntraText CT - Lettura del testo |
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[pag.85 F1] segno, anche positivo, non troverebbero ragion sufficiente e potrebbero essere giustificate solo come altrettanti atti di creazione del pensiero di condizione umana: sia dato, ad esempio, il caso di un rapporto di immanenza, verificatosi in un tempo determinato e sotto il punto di vista di una sussunzione determinata; sarà lecito escluderlo dalla sfera del pensato legittimo e procedere alla formulazione negativa del giudizio categorico che lo indica solo quando nel termine di immanenza, ossia nel concetto che ha funzione di soggetto nel giudizio, in un differente tempo determinato o sotto il punto di vista della medesima sussunzione, sia((??si??)) dia un termine immanente, ossia un concetto destinato ad assumere nel giudizio funzioni di predicato, altro dal primo; quando mutando l’istante o permanendo la sussunzione, il termine immanente resti costantemente identico a se stesso, mancano le ragioni sufficienti dell’esclusione del rapporto e della negazione del giudizio, e quindi nel pensiero di condizione umana non devono esistere né la esclusione del rapporto né il termine negativo indicativo di tale escluso né la rappresentazione del noto sostitutivo dell’escluso né il termine negativo in quanto indicativo del noto sostituente l’escluso; ma, di fatto, questi quattro modi aventi a che fare con la conoscenza esistono proprio là dove non dovrebbero esserci - così, il concetto di immortalità di un vivente fenomenico, che equivale all’esclusione del rapporto di immanenza della cessazione della vita entro quel certo animale in quanto appunto la parola immortale ne è il segno, e che inoltre rimanda alla posizione del rapporto opposto di permanenza della vita entro l’animale considerato, rapporto di cui il vocabolo immortalità è il segno indiretto, non dovrebbe neppure esistere, in quanto l’immanenza di ciò che chiamiamo morte entro ciò che chiamiamo vivente, una volta verificatasi, non viene sostituita nel fenomenico vivente dal complesso sensoriale della vita in nessun altro istante successivo e permane costante sia che si sussuma il vivente morto sotto il genere della vita sia che lo si sussuma sotto il genere morte -.Eppure ciò si verifica, e non fuori da ogni ragion sufficiente, secondo modi che lo renderebbero affatto inintelligibile; infatti, poiché il rapporto di immanenza in genere è una rappresentazione, un qualsiasi rapporto siffatto entra di diritto sotto l’elaborazione della possibilità, e, come nel caso precedente in cui erano dati due termini, una totalità e un parziale, [pag. 85 F 2] di fatto non relazionati da alcun rapporto di immanenza, il rapporto di immanenza era stato affermato esistente e coesistente, in quanto esistente, al suo identico in quanto inesistente, così ora, essendo dati la totalità come termine di immanenza e il rapporto di immanenza, all’inesistenza dell’immanente viene giustapposta l’esistenza di questo immanente, sia pur non determinatamente qualificato; là la possibilità toccava al rapporto di immanenza di fatto, qui la possibilità è estesa al rapporto di immanenza di diritto, lasciato tuttavia indeterminato per ciò che riguarda la reale cognizione della qualità e del modo di essere dell’immanente; come nel caso precedente la possibilità dava esistenza a uno degli antecedenti necessari della negazione, al rapporto di immanenza la cui esclusione coincide con la negazione, così nel caso attuale dà esistenza al secondo degli antecedenti necessari della negazione, a quel rapporto di immanenza di diritto che per questo suo modo pone se stesso di fatto e insieme comporta l’esclusione del ((??nel??)) rapporto di immanenza eterogeneo che altrimenti sarebbe rimasto unico di diritto e di fatto. Ha, perciò, ragione Kant quando afferma che ad un qualsivoglia concetto si dà sempre in opposizione simmetrica il suo negativo, ossia la sua esclusione da un rapporto di immanenza in cui funga da totalità recettiva di certe sue note o da termine immanente in una totalità di cui esso sia nota costitutiva; ma la sua ragione è completa alla condizione che sia ben definito e delimitato questo carattere dell’universale negatività di qualunque positivo -di cui egli si vale per offrire ragion sufficiente pel concetto-limite in genere e per la nozione di noumeno in particolare -, che cioè siffatto modo della negazione è affatto soggettivo come quello che ritrova la propria ragione entro la sfera della possibilità, del pensato problematico, non entro i limiti del pensato simmetrico del reale: tant’è vero che questo secondo uso del possibile avviene quasi sempre sotto l’impulso di fattori psichici sentimentali o affettivi, squisitamente soggettivi e relativi alla condizione del conoscere umano. In conclusione, una descrizione completa della fenomenica della negazione dopo aver rilevato che la negazione è la forma esteriore, indicativa ed enunciativa, dell’esclusione dal pensiero legittimo di un rapporto di immanenza, come non simmetrico e non riproduttivo dello stato di immanenza effettivo che si dà nel fenomeno determinato da un certo istante [pag.85 F3] e da una certa sussunzione sotto un intelligibile determinato, è tenuto a stabilire che la negazione, come esclusione di un rapporto siffatto, è l’atto ultimo di una dialettica che o contrappone in situazione contraddittoria un rapporto di immanenza di fatto a un rapporto di immanenza di diritto il quale assegna a sé l’attributo di pensato legittimo e lo toglie all’altro, o contrappone in situazione contraddittoria un rapporto di immanenza puramente possibile a un rapporto di immanenza di fatto il quale dalla sua natura di fatto inferisce la legittimità propria e l’illegittimità dell’altro, o contrappone in situazione contraddittoria un rapporto di immanenza di fatto a un rapporto di immanenza di diritto meramente possibile, il quale dalla sua natura di diritto trae, in una sfera di pura possibilità però, la legittimità per sé e l’esclusione dal pensato legittimo per l’altro, essendo la prima dialettica la condizione di una contraddizione effettuale o per divenire o per molteplicità, essendo la seconda dialettica uno dei modi che l’ipotesi può assumere, essendo la terza dialettica una condizione contraddittoria meramente possibile che assegna al pensiero la facoltà di estendere le sue rappresentazioni oltre i limiti dell’ontico fenomenico. Una metafisica determinata secondo una struttura spinoziana, quando fonda il doppio attributo che la costituisce della conoscibilità parziale del principio e della predicabilità totale del fenomenico al principio sull’identità del principio con la natura e sull’equivalenza quantitativa, ma non qualitativa della natura al fenomenico, pone all’origine del suo discorso una proposizione negativa e quindi una negazione, che tuttavia può situare in un ambiente cognitivo tale da evitare l’aporia di un razionalismo indeterminato. La struttura spinoziana si trova nella necessità di denotare il concetto di razionale se vuol rendere intelligibile il suo unico canone metodico della razionalità del reale, di quel reale che per essa è il primo ontico. La denotazione della razionalità è un’operazione facile fin che si ha che fare con gli aspetti formali della nozione, la determinazione dei quali, stabilita dal punto di vista della sua natura logica, fa del razionale una specie della qualità, sia poi questa o categoria o sussunto sotto una categoria; tutto ciò non è che la semplice traduzione in termini di intelligibilità dell’identificazione dell’ontico primo con il razionale e della portata qualitativa che questa identità assume; ma [pag. 85 F4] difficoltà compaiono quando una metafisica spinoziana deve passare a denotare materialmente la nozione di razionale, perché la conoscenza del razionale in genere deve rifarsi per il suo contenuto materiale alle rappresentazioni la cui connotazione comprende questo contenuto; e allora delle tre l’una: o al pensiero umano è data immediatamente una rappresentazione del primo ontico nella cui connotazione sia offerta un’area di razionalità la cui astrazione costituirà la connotazione della nozione di razionale da predicarsi di diritto al concetto di primo ontico, o il pensiero umano possiede immediata la rappresentazione di un razionale in sé univoco rispetto al quale non si diano differenze specifiche in nessuna zona del conosciuto, o il pensiero umano non possiede nessuna di queste due rappresentazioni immediate e deve rifarsi al fenomenico come all’unica fonte di conoscenza che gli sia data, per astrarne nella sua purezza la definizione della razionalità. In tutti i casi resta certo che il pensiero portatosi nella posizione di partenza di una metafisica spinoziana è dovuto discendere dal giudizio, che aveva assunto come primo per giustificare la coppia dei suoi attributi peculiari, “il reale è razionale” al giudizio “il razionale è reale”, la cui differenza dall’altro sta tutta in questo che esso segna le condizioni di intelligibilità del primo, vale a dire la necessità che si determini quel che si deve intendere per razionale onde divenga noto in che cosa il reale è razionale. Se si verificasse una delle due prime possibilità il passaggio dal primo al secondo giudizio segnerebbe una sostituzione meramente formale che renderebbe indifferente la funzione di soggetto o di predicato del concetto di razionale, in quanto sarebbe garantita a priori l’identità della connotazione di questo con la connotazione del reale primo ontico: la rappresentazione immediata di questo farebbe del giudizio il risultato di un’analisi o di una trasposizione dall’intuizione all’intellezione e garantirebbe l’inerenza del predicato come parte nel tutto del soggetto e con ciò la legittimità della predicazione e insieme dell’inversione delle funzioni, in quanto equivalente a una denotazione materiale della razionalità rappresentata in sé e insieme nell’ontico primo; così, l’univocità del razionale renderebbe superflua la conoscenza diretta del principio ontico senza escludere che una certa ((??netta??))denotazione materiale del primo analiticamente rappresentata sia di diritto affermata equivalente a un qualsiasi reale e quindi anche al reale primo
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