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Giordano Bruno Cavagna
(n. 1921 - m.1966)
Metaf. class. e metaf. cristiana

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  • Prot. 51 - 101
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rapporto di principio a conseguenza, il secondo degli intelligibili che è lecito porre in relazione con l’intelligibile dato è una ed una sola nozione, precisamente quella che sempre, fin dalla prima conoscenza del rapporto, è stata in rapporto o di principio a conseguenza o di conseguenza a principio con l’intelligibile dato; se il rapporto di principio a conseguenza, pensato di una connessione causale, si riduce a una connessione di funzioni, nessuna delle due rappresentazioni che vi entrano è qualitativamente variabile nei confronti dell’altra, essendo la funzione una determinazione unica ed univoca per cui l’un intelligibile se determinato qualitativamente pone necessariamente il secondo secondo una ed una sola determinazione qualitativa, e accettando la funzione il concetto di variabile solo sul piano quantitativo sul quale al mutare della determinazione quantitativa di uno degli intelligibili corrisponde  secondo una certa misura e un certo tipo di proporzione il mutamento della determinazione quantitativa dell’altro; dal punto di vista qualitativo il nesso di principio-conseguenza se rappresentazione di un nesso causale ontico non conosce variazioni, sicché, posto X come termine ignoto in correlazione con l’intelligibile noto in vincolo con X, o il termine ignoto è stato conosciuto almeno una volta e deve coincidere con questo noto o mai è stato conosciuto e mai può risultare dalla semplice analisi dell’intelligibile noto - siano A e B due intelligibili in nesso di principio a conseguenza secondo un quadro rappresentativo che pretende di essere il pensamento del nesso ontico a-b in cui a è quanto si conosce con A, b quanto si conosce con B, a causa di b: non solo non è lecito convertire A-B in B-A immutata restando la sequenza formale principio-conseguenza, ma anche, qualora al pensiero sia dato o A o B fuor da ogni rapporto, il pensiero che voglia connettere A o B con una rappresentazione che sia rispettivamente o principio o conseguenza, non può identificare l’ignoto con una variabile e, se ad esso è dato B, deve ritrovare a suo principio soltanto A qualora già abbia conosciuto sia A sia il rapporto di A con B, oppure deve ricercare per B un principio che non potrà essere se non A, l’A fino allora ignorato; se invece al

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al punto di vista qualitativo si sostituisce il punto di vista quantitativo, dati A e B e il rapporto di principio a conseguenza A-B rappresentativo del nesso causale ontico a- b, una volta noti il tipo di proporzione quantitativa intercorrente tra A e B e la modalità fissa del mutamento quantitativo di B in funzione del mutamento quantitativo di A, si avrà sia che A1, determinazione quantitativa di A, è una variabile sostituibile da tanti noti quante sono le possibili mutazioni di B1, determinazione quantitativa di B1, sia che B1 è una variabile indeterminata in una certa connessione con A1, con la conseguenza che il rapporto A-B è uno ed unico, costantemente e necessariamente determinato, mentre il rapporto A1-B1 è mobile conoscendo tante determinazioni quante sono le determinazioni quantitative che A è atto ad assumere senza uscire dal nesso di principio con la sua conseguenza B-; che se si verifica una modalità differente del rapporto di principio a conseguenza per cui o all’intelligibile primo corrisponda un intelligibile conseguenza  che sia una variabile, sia pure subordinata a un numero prefisso di variazioni, o l’intelligibile conseguente entri in rapporto con un intelligibile principio coincidente con una variabile, sia pure a variazioni limitate di numero, qualora si pretenda che un qualsivoglia rapporto di principio a conseguenza sia e non possa non essere che la rappresentazione di un nesso causale ontico, al pensiero non resta che ridurre i due rapporti principio-variabile e variabile-conseguenza a una relazione che ripristini la condizione di unicità e univocità di entrambi i termini in nesso, a una relazione in cui principio e conseguenza siano due invariabili costanti, il che può fare soltanto assumendo il principio non nella sua mera esistenza, ma secondo un esistere che s’accompagna alla determinazione peculiare dell’autosussistenza diretta o indiretta, e facendo della conseguenza un momento dell’articolazione organica del principio, momento che, ponendosi a un certo grado dello sviluppo è sempre preceduto da una serie organica unica ed univoca. Sian dati i giudizi categorici X è B, X è C, X è D, e X è B, Y è B, Z è B, del tipo Socrate è uomo, Socrate è mammifero, Socrate è vertebrato, e Socrate è mammifero, Antonio è mammifero, Pietro è mammifero,

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è evidente che nei primi tre a un principio costante s’accompagna una conseguenza variabile, mentre nei secondi tre una conseguenza costante tien dietro a un principio variabile; nei due casi il pensiero non è in grado di eguagliare immediatamente il rapporto di predicazione con la rappresentazione di un nesso causale ontico, facendo del soggetto la nozione del principio causale e del predicato la nozione dell’effetto conseguente, e neppure è in grado di porre la medesima eguaglianza capovolgendo la funzione e ponendo il soggetto a nozione dell’effetto conseguente e il predicato a nozione del principio causale, perché la rappresentazione del nesso causale ontico diviene un pensato legittimo quando, cadendo sotto la giurisdizione dei quattro principi logici, li concreta tutti in se stesso in modo che ciascun principio logico acquisti  la funzione di un denotante della sua connotazione; ora la sussunzione della rappresentazione in genere del nesso causale ontico sotto ciascuno dei quattro principi non esige determinazione particolare quando il sussumente sia il principio di ragione perché l’immagine di un ontico che sia effetto di un altro non è che un caso particolare della generale necessità per una rappresentazione di ricavare apoditticamente il proprio esser pensata e il proprio esser pensata in una certa connotazione dall’esser pensato secondo una certa connotazione di un’altra rappresentazione, al fine di albergare legittimamente entro la sfera del pensato dialetticamente utilizzabile; ma quando si tratti di stabilire il diritto di sussumere la rappresentazione in genere di nesso causale ontico sotto il principio di identità non è sufficiente porre la permanenza e l’apodissi della dialettica della rappresentazione che è principio alla rappresentazione che è conseguenza e viceversa perché queste permanenza e apodissi garantiscano il rapporto in quanto rappresentazione di un nesso causale ontico e in quanto legittimato dal principio di identità; per questa nuova sussunzione occorre una ulteriore determinazione che, come abbiam già osservato, non coincide con una successione temporale che faccia del principio in quanto rappresentazione dell’ontico causale non solo ciò che deve esser pensato necessariamente onde sia pensata legittimamente la rappresentazione dell’ontico conseguente, ma anche qualcosa che non è rappresentabile in una situazione ontica di simultaneità, sicché la kantiana definizione del nesso causale come di necessità di successione temporale tra due eterogenei non può essere assunta come la denotante che legittima la sussunzione della sua rappresentazione sotto il concetto di principio d’identità;

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d’altra parte la determinazione che qui si cerca non può essere offerta neppure dall’eterogeneità sia perché il pensiero umano non accoglie la nozione di eterogeneità assoluta dissolvente qualsiasi legame tra una nozione e un’altra scelta a piacere  tra la totalità delle restanti nozioni, che non sia quello di principio a conseguenza, e ripudia tale nozione in quanto contraddittoria con il postulato dell’unità logica e materiale fra tutte le rappresentazioni pensabili e pensate sul quale si fonda la conoscibilità del mondo sia perché nessun rapporto che il pensiero si offra come fonte di cognizione si dà tra due rappresentazioni che non siano eterogenee ossia sussumibili, da uno o altro punto di vista, sotto due generi differenti, sicché se la determinazione in nome della quale dovremmo determinare un rapporto che sia rappresentazione di un nesso causale ontico, in modo da fissarlo come identico permanentemente  con se stesso e con ciò sussumibile sotto il concetto-principio di identità, fosse l’eterogeneità, tutti i giudizi dovrebbero essere nozioni particolari del generico concetto di nesso causale ontico, il che crediamo nessun matematico accetterebbe; la determinazione che è denotazione necessaria e sufficiente a fare della rappresentazione di un nesso di ragione una rappresentazione di un nesso causale ontico è la concomitanza di una determinazione propria di una certa situazione ontico-fenomenica con la determinazione propria di un’eterogenea situazione ontico-fenomenica, quando le due determinazioni siano eterogenee e tali che la prima sia l’ultimo momento di una successione di modi entro la prima situazione e la seconda sia il primo momento di una successione di modi entro la seconda situazione; in parole più semplici, la rappresentazione di un nesso causale è il concetto della simultaneità di due eterogenee determinazioni, l’una delle quali la causa si presenta come ultima nella successione di determinazioni che si son date entro un complesso ontico-fenomenico colto come tutto, mentre l’altra, l’effetto, si pone a capo della serie di determinazioni appartenenti a un differente complesso ontico-fenomenico conosciuto come tutto; come ha affermato Kant, il tempo interviene nella definizione del vincolo causale, ma non, come egli pretende, come nota prima ed essenziale, in quanto se è vero che è impossibile determinare la causalità fuori dal tempo e dal divenire perché in tal caso la totalità di tutti i modi dell’ontico sarebbe stata data nell’istante primo dell’esistenza dell’ontico, è altrettanto vero che non arrivo a vedere come possa parlarsi di




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