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Giordano Bruno Cavagna (n. 1921 - m.1966) Metaf. class. e metaf. cristiana IntraText CT - Lettura del testo |
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[pag. 93 F1] rapporto di causa in genere perché l’intuizione sensoriale tradotta in giudizio categorico difetta or di questa or di quella delle note essenziali assunte a denotare la causalità secondo questa o quella definizione -, al pensiero non resta che chiudersi in se stesso e darsi, come fonti dell’immagine del rapporto causale intercorrente fra gli ontici rappresentati nel giudizio categorico, le connotazioni dei concetti costitutivi del giudizio, la struttura generale di un rapporto causale, le modificazioni che le connotazioni dei concetti devono accettare per incastrarsi in tale struttura, e infine la facoltà del possibile che gli apre la strada a tutte le rappresentazioni lecite perché non offendenti i principi di ragione, tutti fattori questi che null’altro sono se non materiali del pensiero utilizzati col contenuto col quale son entrati nell’intelletto e utilizzabili senza nessun altro apporto dal reale;il che potrebbe anche condurre a una soluzione soddisfacente, se non si verificasse la non felice situazione che il rapporto di predicazione tra X e B nel giudizio X è B nulla dice in sé della direzione dialettica che dev’essere seguita per far di tale rapporto un nesso di ragione-causalità, essendo nel giudizio lecito trascorrere da X a B o da B ad X a seconda del punto di vista che si assume, e precisamente a seconda che si voglia dell’intelligibilità far principio dell’esistenza, nel qual caso B si pone a ragione di X, o dell’esistenza far principio dell’intelligibilità, nel caso B e X invertono i rapporti di ragione e X si fa ragione di B; l’indifferenza del moto dialettico rende equivalenti i rapporti di ragione X-B e B- X e costringe il pensiero a procurarsi una duplice immagine della struttura cui le connotazioni di X e di B devono sottoporsi onde divenire segni di una causa e di un effetto o segni di un effetto e di una causa rispettivamente per ricondurre il binomio dialettico X-B o B-X a rappresentazione di un nesso causale ontico. Sia della prima operazione, per la quale il pensiero deve ripudiare la predicazione di un giudizio categorico nei modi come intuitivamente si presenta a una riflessione immediata, che della seconda operazione, per la quale il pensiero deve sottoporre le connotazioni dei concetti a una modificazione onde le nozioni costitutive del giudizio vedono il loro rapporto di predicazione divenir rappresentativo di una causalità vincolante i loro ontici corrispondenti e deve inoltre scegliere tra due possibili modificazioni entrambe valide per l’unico fine, si dà una chiara ragion sufficiente, che è al [pag.93 F2] tempo stesso avvio all’argomento che dimostra l’impossibilità di trattare il rapporto di predicazione di un giudizio categorico come un nesso la cui essenza sia un rapporto di causalità: in un giudizio categorico non è lecito muovere né dall’esistenza né dall’intelligibilità per stabilire se il soggetto sia principio del predicato o il predicato principio del soggetto, perché, se da un lato è vero che senza l’intellezione del predicato la predicazione di questo al soggetto è inutile ai fini dell’intelligibilità del soggetto, sicché parrebbe che sotto l’angolo dell’intelligibilità il predicato sia principio del soggetto, è altrettanto vero che nessuna analisi del predicato si dà se non attraverso un’analisi del soggetto stesso in quanto determinato dal predicato, sicché il moto dialettico ai fini intellettivi procede dal soggetto e torna al soggetto e il soggetto deve ritenersi principio di intelligibilità di se stesso, e, se dall’altro è vero che l’inerenza del predicato nel soggetto costringe il pensiero a dedurre l’esistenza del primo dall’esistenza del secondo e a fare del soggetto il principio esistenziale del primo, è altrettanto vero che non si riesce a pensare il concetto del soggetto come un esistente secondo i modi del predicato se non calando entro il reale indeterminato il concetto del predicato come un esistente secondo una certa determinazione, il che null’altro significa che dal punto di vista esistenziale il pensiero è libero di assumere il predicato a principio del soggetto o il soggetto a principio del predicato; quando si fuoriesca dal confine del pensiero e s’instauri un rapporto tra l’ontico fenomenico dei dati sensoriali e la corrispondente rappresentazione concettuale che l’intelletto può darsene, l’ambiguità si dissipa, perché nel sensoriale appare evidente che la totalità intuita ha esistenza da altro e per altro che non sia la parte sua messa in particolare rilievo coll’astrazione concettuale e col riferimento predicativo, con la conseguenza che, quando non si voglia far intervenire un’ulteriore complicazione con la giustapposizione di un ontico transfenomenico determinato da una metafisica di determinazione particolare, pare che l’esistenza investa simultaneamente il tutto e la parte e che logicamente il pensiero null’altro possa pensare se non che la parte esiste dentro e per l’esistenza del tutto e che il tutto, che tradotto in concetto assume nel giudizio la funzione del soggetto, è principio esistenziale della parte, che divenuta concetto è riferita nel giudizio al soggetto come predicato; d’altra parte dal medesimo rapporto tra fenomenico e pensato risulta che dal punto di vista dell’intelligibilità il predicato debba assumersi a principio [pag.93 F3] del soggetto, appunto perché nella totalità fenomenica intuita il tutto acquista o la natura di universale e di necessario o il mero attributo formale di diverso e di distinto da altri in virtù o dell’universalità e necessità di cui la parte si riveste o dell’eterogeneità per la quale la parte si distingue da altri dati sensoriali, con la conseguenza che l’attenzione deve muovere dalla parte e da quel suo simmetrico che è il concetto-predicato per estendere o l’intelligibilità o l’eterogeneità al tutto e al concetto -soggetto simmetrico del tutto; ma la mera esistenza del tutto non è nozione sufficiente a fare del tutto la causa della parte, in quanto perché si dia un rapporto causale fra due ontici è necessaria una distinzione che qui non è data e che consiste nella liceità che, una volta giunti all’esistenza i due ontici, ciascuno possa stare nell’esistenza senza l’altro e che l’esistenza dell’uno non sia condizione permanente dell’esistenza dell’altro: premesso che su questo punto cruciale del rapporto ontico intercorrente fra un fenomenico tutto e una sua parte ritorneremo, qualunque sia la rappresentazione che ci diamo di un rapporto causale ontico, o quella energetico-essenziale per cui la causa trasferisce sé o qualcosa di sé all’effetto, o quella temporale-qualitativa per cui la causa è un mero antecedente dell’effetto essendo l’unico legame tra i due l’eterogeneità e la necessità della successione, o quella acronico-situazionale, che è la nostra, tutte sganciano la dipendenza esistenziale dell’effetto dalla causa non appena l’effetto si è dato per la causa, il che non appare evidente fin che ci si arresta alla causa e all’effetto in sé, ma lo diviene quando si faccia dell’effetto la prima di una serie di determinazioni successive e della causa l’ultima di una serie di determinazioni successive che s’accompagna a quell’effetto, ad altri effetti identici, ad altri effetti eterogenei; ma in quella situazione fenomenica che è tradotta da un giudizio categorico, l’esistenza del tutto -soggetto è il punto di partenza dell’intellezione dell’esistenza della parte-predicato, ma non ne è il principio-causatore, proprio perché se è vero che il tutto con la propria esistenza pone l’esistenza della parte, è pur vero che la parte esistendo pone l’esistenza del tutto, secondo un rapporto biunivoco che non consente né al tutto di rendersi indipendente dalla parte né alla parte di rendersi indipendente dal tutto; è questo la ragion sufficiente per cui [pag. 93 F4] proposizioni di questo tipo, che il mio corpo è causa della mia mano o del colore dei miei capelli, che Socrate è causa della sua mammiferinità, che il quadrato è causa dell’uguaglianza e parallelismo dei suoi lati, suonano false e riescono inintelligibili; ma se il pensiero vuole ridurre un giudizio categorico, X è B, a segno di un nesso causale ontico e si impedisce di apportare alcuna modificazione alle connotazioni dei concetti che lo costituiscono, deve aspettarsi di sostituire al nesso X è B il nesso X è causa di B, appunto perché il rapporto di principio esistenziale a conseguenza tra soggetto e predicato nulla ha che fare con la connotazione di un rapporto di causalità in genere in forza di quell’insufficienza che ha la mera esistenza di una cosa a porsi a causa dell’esistenza di un’altra, insufficienza di cui il modo finora considerato non è che un aspetto, e neppure l’essenziale. D’altra parte, riprendiamo il nostro giudizio categorico X è B e consideriamo il rapporto che dal punto di vista qualitativo intercorre tra il soggetto e il predicato: nel caso che il giudizio sia del tipo cui convenzionalmente un giudizio categorico si riduce, del tipo cioè dell’inerenza del predicato nel soggetto, il concetto del predicato è una nota componente la connotazione del concetto-soggetto, sicché qualitativamente e materialmente si dà una certa coincidenza tra i due, e per questo appunto alcuni logici hanno creduto di avere il diritto di parlare di una certa applicazione del principio d’identità ai giudizi categorici, ossia di una identità parziale a fondamento di tal fatta di giudizi; ora qui non interessa cercare questo fondamento, e quanto ci serve dell’osservazione che in un giudizio categorico inerenziale il soggetto sta al predicato come un tutto a una sua parte è questo che tale rapporto elide l’eterogeneità tra i due e fonda una loro omogeneità come dimostra il fatto che se si volesse ricercare un concetto sovraordinato che gettasse intelligibilità su entrambe le nozioni del giudizio, questo concetto sarebbe offerto dal genere immediatamente sovraordinato al concetto predicato, il qual genere avrebbe la liceità di sussumere il concetto-soggetto pel semplice motivo che la sussunzione prima coinvolgerebbe in sé la sussunzione seconda, il che non ha luogo quando i due sussumibili siano eterogenei, nel qual caso appunto il concetto sussumente va ricercato tra quei generi tanto lontani da uno dei due concetti e dall’estensione talmente ampia che sotto di lui s’adunino una quantità notevole di concetti altrimenti eterogenei; inoltre, il diritto che il pensiero può trovare
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