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Giordano Bruno Cavagna (n. 1921 - m.1966) Metaf. class. e metaf. cristiana IntraText CT - Lettura del testo |
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[pag. 97 F1] di pensato che coincide con la connotazione del predicato, sicché dal punto di vista del’intelligibilità il concetto-predicato è principio per la dialettica che conclude nel concetto-soggetto, e indirettamente in tutti i concetti che hanno questo a predicato, allo stesso modo che il precedente moto dialettico estende il diritto ad esistere e ad essere pensati a tutti i concetti che si fanno predicati del predicato. Ma già questo modo di analizzare il giudizio categorico è secondario e derivato, in quanto presuppone una serie di considerazioni e raziocini volti a semplificare facilitare disaporeticare la concreta situazione e struttura sotto cui il giudizio categorico si dà a una riflessione veramente immediata e intuitiva: infatti, in primo luogo il giudizio categorico, assolutamente preso, e sottoposto ad un analisi che tenga conto solo di quel che esso è nella sfera del pensato, ossia il riferimento di una nozione intelligibile ad una nozione intelligibile assunta come altra ed eterogenea e insieme lo spostamento dell’energia attentiva del pensiero su di una sola delle due nozioni, appunto quella che ha funzioni di soggetto, con il ben preciso scopo di ricondurre i due intelligibili eterogenei ad un’unità o unicità di atto di pensamento per la quale nel caso che i due manifestino una identità e coincidenza assoluta ed essenziale sottostante all’apparente eterogeneità, dovuta a diversità di modi operativi, e quindi meramente formale e non a materiale e qualitativa diversità, il pensiero elida la dualità e le sostituisca l’unicità di diritto, nel caso invece che l’eterogeneità permanga, il pensiero superi la discontinuità qualitativa sul fondamento di un rapporto unificatore che con la sovraordinazione dell’un intelligibile all’altro costringa il pensiero a collegare la conseguenza al principio e il principio alla conseguenza, il giudizio categorico insorge da una definizione di eterogeneità dei suoi due concetti e dall’intendimento di assumere l’uno a principio e l’altro a conseguenza; la funzione logica di ciascuno dei due concetti nulla depone a favore della natura di principio o di conseguenza, manca cioè una proporzionalità diretta tra principio e funzione logica di soggetto, tra funzione logica di predicato e conseguenza; la funzione logica, in realtà, è fatto gnoseologico e non logico, è indice di una concentrazione di attenzione su uno dei due concetti, la quale ha a suo fine non di determinare apriori, mediante il suo effetto che è di porre un concetto a soggetto del giudizio, il privilegio del primato logico, bensì di stabilire per quel concetto che lì per lì l’interessa la sovraordinazione o la subordinazione [pag.97 F2] di esso all’altro rispettivamente e insieme indifferentemente come di principio a conseguenza o di conseguenza a principio - per intendere bene questo è necessario scavalcare le incrostazioni che derivano da un lato dalla strutturazione aristotelica della logica, la quale ha fissato una proporzionalità diretta fra funzione logica discorsiva, ossia compito sia di soggetto che di predicato, e funzione logica dialettica, ossia compito sia di principio che di conseguenza, dall’altro dall’uso tipico della nostra lingua e di altre dell’articolo nelle sue due modalità, per il quale uso il genere assume una modalità dell’articolo e la specie un’altra; conviene rifarsi ai concetti e in particolare a due loro segni diversi, X e B se si vuole, ciascuno dei quali è l’indice di una variabile o meglio di una classe di omogenei, ciascuno dei quali tollera il segno appunto perché rientra nella classe; una volta stabilito che il vincolo di predicazione che si inserisce tra X e B ha a sua ragione l’intento di elidere l’eterogeneità con la sussunzione che è l’unico mezzo con cui il pensiero è in grado di ridurre la discontinuità del differente qualitativo alla sua unità, si ha come conseguenza che X e B non possono essere né omogenei né cogeneri; ma, oltre a queste due condizioni nessun’altra limitazione è posta alla connessione di X con B, e diviene indifferente per il pensiero predicare X a B o B ad X, consistendo l’unica differenza per scegliere tra la prima e la seconda predicazione nella diversità di situazione in cui il pensiero viene a trovarsi e per cui il pensiero si concentra o su X o su B; è la necessità di stabilire la natura o di conseguenza o di principio di B che, dati B ed X, induce il pensiero a fare di B il soggetto cui X viene predicato, così come è la necessità opposta che capovolge i concetti nel giudizio; perciò se nella struttura aristotelica della logica e nel linguaggio italiano con uso di articolo non è la stessa cosa dire che Socrate è uomo e l’uomo è Socrate, l’uomo è mammifero e il mammifero è uomo, per il pensiero i giudizi Socrate è uomo e uomo è Socrate, uomo è mammifero e mammifero è uomo sono formalmente indifferenti, in quanto l’attenzione concentrata successivamente su Socrate e uomo e su uomo e mammifero, fa di ciascuno un soggetto, ossia il termine di cui si cerca il primato o la dipendenza consequenziale, non apoditticamente il principio del conseguente predicato- Quando si cerchi [pag.97 F3] il punto di vista determinato rispetto al quale al pensiero sia dato stabilire il rapporto da principio a conseguenza tra i due concetti del giudizio categorico, può sembrare che sia apodittico per il pensiero far proprio criterio X la differenza di estensione dei due concetti, il fatto cioè che l’un concetto denoti un numero di concetti più grande di quello dei concetti denotati dall’altro e che nel rapporto di denotazione uno solo dei due concetti abbia funzione attiva e l’altro funzione passiva; sembra che non sia lecito assumere a principio se non il concetto che con la propria esistenza e intelligibilità rende necessarie l’esistenza e l’intelligibilità dell’altro comparendo con la propria connotazione nella connotazione di questo, e che il concetto-principio sia per il suo carattere di parte nei confronti del concetto-conseguenza sia per il suo potere di essere fonte di esistenza e di intelligibilità per altri concetti secondo un identico rapporto di parte a tutto abbia estensione superiore, sia cioè genere rispetto alla funzione di specie dell’altro. Ma a parte che questo criterio è di fatto molto meno determinato e molto più affetto di indeterminazione di quel che non è parso quando lo si è preso in considerazione, si verifica che nella situazione di immediata intuizione in cui si trova il pensato l’assunzione del concetto-genere a principio suscita aporie che non si verificano se la natura di principio viene assegnata al concetto-specie; in primo luogo conviene distinguere l’una dall’altra tre condizioni di cui il pensiero può valersi come impulsioni motrici di quell’attenzione o tensione attentiva che lo muove a rilevare l’un concetto sull’altro e ad assegnare al concetto rilevato la funzione di soggetto del giudizio: se il pensiero si trova in una condizione di parziale ignoranza rispetto a uno dei due concetti o si riporta volontariamente alla condizione di parziale ignoranza originaria da cui uno dei due concetti era affetta, l’attenzione cognitiva si concentra su questo concetto che diviene soggetto del giudizio, attendendo dall’altro la fornitura di quelle nozioni capaci di annullare l’ignoranza; è indifferente che il concetto ignorato sia a denotazione maggiore e((??)) unione del concetto noto, potendosi perciò verificare che il soggetto, preda di ignoranza sia o il concetto-specie o il concetto-genere; in questo caso, fonte di conoscenza è sempre il concetto-predicato, il quale dovrà essere elaborato in due differenti maniere, per adempiere alla sua funzione di fornitore di conoscenza, a seconda che sia genere o specie del concetto-soggetto; appunto per siffatta condizione si verifica che un concetto -genere possa essere indifferentemente soggetto o predicato di un suo concetto-specie; ma si dà anche la condizione che entrambi i [pag.97 F4] concetti siano noti, nel senso che siano possedute entrambe le connotazioni, e che il pensiero intenda sottolineare l’immanenza di una connotazione nell’altra, nel qual caso, sebbene unico modo di tale rilievo paia quello di concentrare l’attenzione sul concetto-specie come quello nella cui connotazione immane l’altro, pure tal modo è garantito e legittimato solo dal presupposto pregiudiziale aristotelico non dall’effettuale stato delle due connotazioni pensate, per le quali è altrettanto vero che la connotazione del concetto-genere immane nel concetto-specie quanto lo è il contrario, sicché sotto questo punto di vista il concetto-specie può fare da soggetto e insieme da predicato; infine terza condizione è quella in cui viene a trovarsi il pensiero quando voglia individuare e sottolineare il moto dialettico tendente a fissare l’ontico rapporto di principio a conseguenza tra i due concetti: in questo caso, benché paia naturale e immediato che il concetto-soggetto debba coincidere nel concetto-specie come quello su cui si estende l’intelligibilità e l’esistenza in quanto intelligibile del concetto-genere che avrà funzioni di predicato, pure di fatto è indifferente per il pensiero assumere a soggetto il concetto-specie o il concetto-genere, perché basta spostare il punto di vista da cui ad ognuno dei due si guarda perché l’un concetto debba porsi rispettivamente o a soggetto o a predicato - nel caso che, dati i due concetti uomo e Socrate, corrispondenti rispettivamente al segno B e al segno X fin qui adottati, sia ignoto parzialmente il concetto di uomo, di cui ad esempio, come sempre accade, si conoscano bene le componenti della animalità e della viviparità, ma non quella della razionalità e della moralità, se questa parziale ignoranza, reale o voluta, è motore dell’attenzione, è evidente che il giudizio della forma uomo è Socrate, assume a principio il concetto di Socrate relativamente però all’attitudine del concetto-predicato di fornire le cognizioni che si sanno presenti nel concetto-soggetto, ma che s’ignorano nella loro materialità; sicché in questo caso il denotato è principio di conoscenza del denotante secondo un rapporto che si capovolge quando l’ignoranza parziale colpisca Socrate, muovendo l’attenzione a concentrarsi sul denotato per attendere conoscenza dal denotante, nel nuovo giudizio “Socrate è uomo “; il rapporto di denotazione è qui indeterminato agli effetti di un universale rapporto((apporto??)) di principio a conseguenza che debba intercorrere dal concetto-genere al concetto-specie; se invece il rapporto di predicazione tende a sottolineare la relazione di immanenza
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