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Giordano Bruno Cavagna
(n. 1921 - m.1966)
Metaf. class. e metaf. cristiana

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  • Prot. 51 - 101
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tra le connotazioni del genere e della specie, con una concentrazione di attenzione su quel concetto che abbraccia in sé l’altro che gli immane, solo la presunzione della pregiudiziale aristotelica che il genere coincida con il denotante e la specie col denotato e che il moto dialettico da denotante a denotato coincida univocamente col moto logico da predicato a soggetto e ne costituisca  l’essenza intelligibile, assegna come unica ed univoca al giudizio categorico la struttura Socrate è uomo, ma nell’effettuale pensato è indistinto che il rapporto logico da predicato a soggetto sia sostanziato dal moto dialettico da denotante a denotato e che il denotato debba coincidere colla specie, donde deriva che già con la stessa pregiudiziale aristotelica il giudizio categorico Socrate è uomo  è equipollente al giudizio categorico ((-Un??)) uomo è Socrate, e che fuori da tale pregiudiziale i due giudizi sono entrambi leciti ed equivalenti, e tutto ciò sta ad indicare che la differenza di estensione è criterio indeterminato e insufficiente a segnare fra più concetti il concetto-principio; infine, se l’intento del pensiero è quello di stabilire un’identità del concetto-soggetto col concetto - che è principio del moto dialettico, è indifferente affermare che uomo è Socrate o che Socrate è uomo pur che venga sostituito al punto di vista che nel genere vuol vedere il principio il punto di vista opposto che cerca il principio nella specie. L’osservazione che deve farsi sul rapporto di ragione tra due concetti che abbiano denotazioni in comune e la cui eterogeneità abbia il suo fondamento su differenze quantitative è che l’estensione non è sufficiente a stabilire a chi spetti la funzione di principio, appunto perché le differenze nelle quantità dei rispettivi denotati, assolutamente considerati in sé, sono troppo indeterminate perché sia lecito inferirne un’identità tra la funzione generica e la natura di principio da un lato e la funzione speciale e la natura di conseguenza dall’altro e viceversa; tutt’al più è dato rilevare che l’assunzione della specie a principio facilita il processo dialettico, sia sotto il punto di vista dell’acquisizione del sapere che sotto quello della contemplazione del rapporto, ed elide aporie presenti nell’assunzione opposta: quando principio sia il genere, la dialettica dal genere alla specie non si vede come possa essere originaria e primaria, in quanto senza l’esistenza e la conoscenza della specie non è presente al pensiero il genere, comunque ci si voglia rappresentare la genesi nel pensiero consapevole del genere o per astrazione dalla specie o per una elaborazione complessa di cui l’esistenza della specie non è che il principio motore; se principio è il genere, non si vede come esso possa conservare al tempo stesso il primato nell’intelligenza e nella esistenza, dal

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momento che non è dato rappresentarsi in atto la genesi della specie dal genere, ma soltanto l’intelligenza della specie dall’intelligenza del genere, essendo la genesi dell’esistenza o pensamento dalla specie al genere; se principio è il genere, data l’ignoranza degli effettivi rapporti causativi che legano il generico allo specifico, non si vede come il genere possa porre la specie se non alla condizione che sia data già la specie e il rapporto che la connette al genere; capovolgendo invece il rapporto di ragione e muovendo dalla specie al genere, la dialettica dalla specie al genere conserva di diritto che ((da??))quel primato che ha di fatto, la genesi dell’un concetto dall’altro si dà sia sotto il punto di vista dell’intelligibilità che sotto quello della esistenza o pensamento, la specie pone il genere in quanto dà sé e insieme il rapporto che lo connette al genere; sicché dati due concetti eterogenei per la quantità, sarà sempre lecito instaurare tra essi un rapporto di principio a conseguenza sulla base della loro funzione di specie e di genere, indipendentemente dalla definizione delle loro connotazioni, sulla base cioè della differenza delle rispettive denotazioni, dato questo che è uno ed univoco  e non ambiguo  com’è il dato delle connotazioni che debbono attendere la propria determinazione materiale dalla determinazione delle funzioni o generica o speciale che assumono l’una rispetto all’altra; in altri termini, se a fondamento della determinazione del rapporto di ragione tra due concetti siffatti si assume la dialettica della genesi cognitiva che ha luogo sempre dal più determinato al meno determinato, dalla specie al genere - il che è valido non solo per la descrizione della piramide concettuale di tipo aristotelico, per la quale è evidente che l’acquisizione del sapere ha luogo solo dalle specie al genere, ma anche per una piramide concettuale strutturata platonicamente, perché in essa solo la contemplazione della totalità della specie rende noto il genere - e se si prepone alla genesi intelligibile dei concetti la genesi cognitiva - a questa preposizione si adegua totalmente l’aristotelismo, che null’altro fa se non ridurre la prima alla seconda attribuendo agli enti specifici della specie la potestà causatrice dell’attuale sul potenziale -, la specie diviene principio di esistenza, ossia di cognizione e di pensamento, e insieme di intelligibilità del genere, nel senso che ogni concetto col rango di specie è fonte di cognizione di se stesso o immediatamente nel caso che sia specie infima e con ciò rappresentazione

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intellettuale di un corrispondente fenomenico sensoriale o mediatamente attraverso la conoscenza di specie sottordinate fino alla specie infime da sussumersi sotto di essa, senza che questa affermazione leda affatto la funzione privilegiata del genere, il quale sotto questo punto di vista coincide con ciò che nella specie genera l’intelligibilità della specie stessa; sicché, in questo modo, si ribadisce quel che dicevamo sopra, essere indipendente la funzione logica di soggetto o di predicato del giudizio dalla funzione razionale di principio o di conseguenza, e insieme si rende indipendente la determinazione delle funzioni di principio e di conseguenza dalla determinazione delle connotazioni dei due concetti, nei confronti delle quali al pensiero è dato attribuire al genere una quantità maggiore o minore che e quella della specie in funzione non già di ciò che della specie e del genere è effettivamente noto, ma della genesi ontica o causalità ontica del genere dalla specie o della specie dal genere, la quale causalità è determinata  muovendo da altri principi che non sian quelli della mera cognizione intuitiva dei contenuti dei due concetti: per questo, essendo i due concetti X e B, la determinazione della genericità di B e della specialità di X, consente di affermare indifferentemente che X è B o che B è X, che Socrate è uomo o che uomo è Socrate, essendo la differenza tra le due strutture equivalente alla differenza che separa il moto discensivo dal principio alla conseguenza dal moto ascensivo dalla conseguenza al principio. Ma, ammesso anche che questa mia asserzione non sia la descrizione di ciò che si dà nel pensato intuitivamente riflesso e che il pensiero, invece di rifarsi alla estensione dei due concetti del giudizio e alla funzione che da tale punto di vista  l’uno acquista di specie, prenda in effettuale considerazione le due connotazioni e riscontrando, come vogliono i platonici, l’immanenza della connotazione della specie entro la connotazione del genere, o l’immanenza della connotazione del genere entro quella della specie, come vogliono gli aristotelici, il fondamento del giudizio sia non i rapporti fra le denotazioni, ma quelli fra le connotazioni: non si dà un’eccessiva differenza tra questo assunto e la mia asserzione, in quanto anche questa implicitamente prende in considerazione le connotazioni, ma come fattore secondario; comunque, e nel caso in cui le connotazioni in rapporto reciproco siano cognizione primaria e fondamentale

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del rapporto di ragione tra i due concetti o siano solo nozione secondaria e marginale, è sempre opportuno indagare in quale rapporto vengano a trovarsi le due connotazioni dei concetti di un giudizio categorico. Al pensiero è lecito assumere a principio dell’altro concetto il concetto-specie  o il concetto-genere; come pure è lecito denotare il concetto-genere con tante note quante sono quelle che si danno nella connotazione della specie considerata e nella connotazione delle altre specie cogeneri, oppure costruire la connotazione del concetto -specie attraverso la giustapposizione delle note che distinguono  la specie considerata da tutte le altre specie cogeneri, alle note che tutta la classe comprende in sé come comuni e che si pone a genere della classe; nel primo caso la differenza quantitativa segna un di più a favore della connotazione del genere, nel secondo a favore della specie. Ma tutto ciò non è decisivo agli effetti dell’indagine che qui muoviamo; quel che conta è che la differenza quantitativa è segno di qualcosa d’altro nel rapporto tra le due connotazioni, e precisamente di una eguaglianza parziale, che di diritto nulla è se non un’identificazione tra il concetto la cui connotazione segna un di meno, e il concetto la cui connotazione segna un di più; e questa identificazione non è che la conseguenza di quella rottura dell’unità ontica che intercorre tra i due concetti. Nulla impedisce, per la verità, al pensiero di definire un giudizio categorico come un rapporto da principio a conseguenza in cui il principio è una causa e la conseguenza è un effetto: ma a parte il fatto che tale definizione deve rivestire una determinazione che non è per nulla né necessaria né univoca, proprio per il fatto che nel giudizio categorico il punto di vista formale assunto a fondare le funzioni di principio e di conseguenza è insufficiente, sicché da tal punto di vista nella forma convenzionale del giudizio categorico nulla impone che il principio sia il soggetto-genere e la conseguenza il predicato-specie - la differenza di estensione dei concetti costitutivi di un giudizio categorico non è ragion sufficiente a fondare la diversità di funzioni entro il giudizio stesso -, la riduzione del giudizio categorico a giudizio ipotetico si fa legittima solo alla condizione di sostituire alla connotazione del concetto-soggetto, così com’è data all’intuizione di immediata riflessione, una connotazione differente,




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