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Giordano Bruno Cavagna (n. 1921 - m.1966) Metaf. class. e metaf. cristiana IntraText CT - Lettura del testo |
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[pag.104 F1] il diritto di affermare l’irriducibilità di un giudizio disgiuntivo anche alla classe dei giudizi categorici, non già sulla base di un rapporto tra concetto-soggetto o concetto -predicato che non è di sostanza ad inerente, ma di inerente a sostanza perché abbiam visto essere il soggetto del disgiuntivo un sottoordinato al predicato, ma sulla base di una differente struttura cognitiva e funzionale che nel giudizio categorico è di contemplazione soddisfatta e di strumentalità operativa per altro attraverso sé, mentre nel giudizio disgiuntivo è di ignoranza insoddisfatta e di strumentalità operativa per sé attraverso altro.Ma è lecito scendere ancora più a fondo e offrire una ragione ben più probante dell’irriducibilità di un giudizio disgiuntivo al categorico. E’ stato affermato che il pensiero non pensa attraverso giudizio, ma attraverso sillogismi e che nel pensiero non si dà il giudizio, ma il sillogismo, nel senso che il giudizio in sé non è che l’astrazione di un momento di un processo da cui di fatto e in concreto non può isolarsi nulla: è logico che l’affermazione debba essere estesa al giudizio categorico; tutto ciò, è vero, alla condizione, però che il pensiero che essa considera sia di condizione umana: un pensiero che non è capace di contemplare un tutto nelle parti componenti se non separando queste dal tutto e le une dalle altre e poi riferendo parte a parte e parti a tutto con atti che tendono a ricostruire l’unità mediante il riferimento per inerenza; uno di questi atti è il giudizio, anzi è lecito dire che il giudizio è lo strumento fondamentale di questo riferimento per inerenza sostitutivo dell’unità intelligibile. Il giudizio, infatti, è la primordiale e originaria rottura e ricostituzione dell’unità, e il giudizio categorico è l’atto originario con cui il pensiero bipartisce l’ontico intelligibile nel tutto e in una sua parte per poi ricostruirlo con l’immanenza di questa in quello. Allora gli intelligibili che il giudizio categorico abbraccia sono due e soltanto due; che se si vuole uscire dalla dualità, si deve o procedere a spezzare il concetto-predicato per astrarne una componente, la quale sarà costitutiva anche del concetto-soggetto - e in questo caso alle tre operazioni del pensiero, quella originaria del giudizio, quelle successive [pag.104 F 2] della ricognizione del predicato e dell’approfondimento analitico del soggetto, corrisponderanno tre giudizi il cui vincolo è posto dal primo come da quello che pone l’inerenza dell’ulteriormente suddivisibile nell’ulteriormente suddiviso (se A è B, la divisione di B in B è C, pone che A è C, essendo che B è C, A è B, A è C, in cui il giudizio primitivo è mediale)- o ritrovare un intelligibile altro dai due concetti dati del quale il concetto-soggetto del giudizio originario sia parte componente e che debba accogliere come inerente il concetto-predicato del giudizio originario - in questo caso le tre operazioni del pensiero, l’originaria, quella della ricognizione di un intelligibile sottoordinato al concetto-soggetto e quella dell’approfondimento analitico di questo sottoordinato, prendono corpo in tre giudizi cui fa da vincolo il giudizio ricomponente in unità il concetto-soggetto col concetto di inerenza (se A è B, la divisione di C in C è A, pone che C è B, essendo che A è B, C è A, C è B, in cui fa da medio il nuovo giudizio sovraggiunto all’originario)-; si deve concludere quindi che per un pensiero di condizione umana l’optimum sarebbe dato dall’intera serie dei giudizi categorici aventi a concetto-soggetto la classe di tutti gli intelligibili di infima subordinazione e a concetto predicato l’intelligibile di suprema sovraordinazione: il possesso della serie dei giudizi offrirebbe il medio di tutti i sillogismi leciti la cui conclusione sarebbe l’analisi intera sia degli intelligibili infimi che dell’intelligibile supremo: tale stato, elidente la condizione umana, equivarrebbe all’intuizione in atto della sfera del razionale. La sua base, tuttavia, sarebbe un complesso di giudizi categorici, ciascuno dei quali comprenderebbe due intelligibili, l’uno dei quali unità di tutti gli intelligibili, l’altro principio dell’intelligibilità in genere: il sillogismo, o discorso mirante all’analisi dell’unità degli intelligibili e all’ordinamento in serie, secondo principio di ragione, degli intelligibili, ha a sua origine la giustapposizione di due concetti; qualora un sillogismo tragga origine da una [pag. 104 F3] rappresentazione che un discorso tra due concetti, siffatta rappresentazione non è lecito ritenerla né un giudizio né il principio del sillogismo. Consideriamo ora un giudizio disgiuntivo, M è o A o B; ripetiamo che, secondo rigore formale, esso consta della rappresentazione di due intelligibili, e precisamente della rappresentazione dell’intelligibile sottoordinato al concetto-predicato, in quanto però totalità, distintivamente concepito, di tutti gli intelligibili sottoordinati e della rappresentazione dell’intelligbile sovraordinato, in quanto però totalità, distintivamente concepita, di tutti gli intelligibili sottoordinati e della rappresentazione dell’intelligibile sovraordinato, in quanto però totalità, distributivamente concepita, di tutti gli intelligibili sottoordinati, e della rappresentazione dell’intelligibile sovraordinato, in quanto però totalità, distributivamente concepita, di tutti gli intelligibili subordinati - (M è o A o B) = (tutti gli M sono tutti gli A-B) = (la totalità degli A- B inerisce alla totalità degli M), essendosi in questa formula, per brevità, assunto il punto di vista aristotelico -,. Si tratta ora di vedere se l’enunciato del giudizio ritrovi la sua unità e intelligibilità nella struttura verbale e razionale o solo nella prima e non nella seconda: essendo il concetto-soggetto costituito dalla totalità di una classe, essendo cioè il disgiuntivo un giudizio universale, deve essere lecita la sua conversione in un giudizio individuale, in quanto se si dà una certa predicazione di una certa classe, deve siffatta predicazione estendersi ad ogni membro della classe; d’altra parte la conversione della forma del giudizio disgiuntivo da universale in particolare, deve essere lecita anche per quella forma in cui il predicato esprime esplicitamente ciò che di implicito si dava nel predicato in quanto disgiunto: se [(M è o A o B) = (tutti gli M sono tutti gli A-B)] e se [(M è o A o B) = (un M è o A o B)], deve darsi che [(M è o A o B) = (un M è tutti gli A-B)], in quanto, se [( M è B = (M è tutto B)] e se [(M è B)= (un M è B)], si dà anche che [(M è B) = (un M è tutto B)]. Ma la conversione risulta evidentemente assurda; dunque nella struttura verbale del giudizio disgiuntivo deve darsi qualcosa di diverso da ciò che si verifica nella struttura razionale che l’enunciazione pretende di tradurre: è stato detto sopra, e con noi [pag.104 F4] dicono i logici, che il giudizio disgiuntivo esprime la necessità dell’inerenza di uno dei corni del predicato nel soggetto e la necessità dell’esclusione dal soggetto della restante parte dei corni del predicato; ma se ci si rende conto che uno dei corni del predicato deve inerire del soggetto perché nel corno stesso inerisce la nota sotto cui è conosciuto il soggetto e che o non è se non quell’intelligibile la cui esistenza pone necessariamente come propria determinazione il corno stesso, si deve riconoscere che di fatto l’enunciato comprende tre rappresentazioni di tre intelligibili, due dei quali, estremi coincidono l’uno con il razionale, concepito nella sua individualità indipendentemente da che sia oppur no classe di intelligibili, e l’altro con il razionale immediatamente sovraordinato, mentre il terzo, pensato come il razionale sovraordinato a quest’ultimo, si pone come il medio che con la necessità della inerenza in sé del razionale sovraordinato e con la necessità della propria inerenza nel subordinato pone la necessità dell’inerenza dell’un estremo nell’altro, secondo un rapporto di inerenza che per principio di contraddizione esclude qualsiasi altro rapporto di inerenza e((??o??)) perciò rende necessaria la negazione di qualsiasi intelligibile, altro dal predicato, dal soggetto; il movimento attraverso i tre concetti porta ad una predicazione che è affermazione di inerenza e per corollario immediato, negazione di qualsivoglia altra inerenza; con ciò il giudizio disgiuntivo trova, anzitutto, il suo correlato cognitivo ed intellettuale nel moto dialettico che dall’individuo di una classe porta direttamente alla sua sussunzione sotto la classe che è classe della prima per il medio della ragione della prima classe e indirettamente alla sua esclusione da altra sussunzione; basta che al posto di una delle tre costanti intelligibili venga sostituita una variabile, basta cioè che l’individualità sussunta sotto le due classi venga pensata come una variabile che possa coincidere con uno qualsiasi degli enti intelligibili atti alla medesima sussunzione, perché il discorso subisca una modificazione profonda: se la sussunzione dell’intelligibile sotto la classe immediatamente sovraordinata fosse univoca in quanto determinata esclusivamente dalla dipendenza funzionale dalla classe della classe, al pensiero sarebbe
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