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Giordano Bruno Cavagna (n. 1921 - m.1966) Metaf. class. e metaf. cristiana IntraText CT - Lettura del testo |
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[pag.126 F1] di vista impossibile al pensiero da un lato rappresentarsi una qualità qualsivoglia che non si ponga secondo una certa modalità che ne fa un più o un meno e che, in linea di pura problematicità, ne comporta la misura, dall’altro rappresentarsi un più o un meno e simultaneamente una misura, se non altro problematica, i quali non appartengano inscindibilmente a una qualità -la quale impossibilità è palesata dalla tendenza inarrestabile del pensiero a corappresentarsi un modo della quantità per ogni modo qualitativo, sia pur anche formale -, e il fatto che per lo stesso pensiero sia impossibile da un lato rappresentarsi un modo della quantità accompagnante un qualitativo che non interessi l’intero campo o sfera o estensione del qualitativo di cui è modo, dall’altro attendere a un qualitativo integrato da un modo della quantità senza avvertire immediatamente che l’intera estensione del qualitativo riceve siffatta integrazione, non solo son principio di quell’immagine della coesistenza, per coestensione e per coincidenza, del qualitativo e del qualitativo mediante cui è, qualitativamente interpretata l’interdipendenza dei due in quanto eterogenei distinti, ma anche dà ragione della necessità della dialettica dal primo al secondo e viceversa e della corappresentazione dei due; allo stesso modo che, poste le due categorie kantiane della relazione per sostanza e della relazione per causa, il fatto che entrambe faccian tutt’uno col loro effetto, ossia con una struttura sostanziale entro il fenomenico e con una struttura causale entro il fenomenico, e il fatto che la seconda -relazione- struttura abbia a principio della sua pensabilità la prima e questa abbia l’altra a complemento e quindi a principio della sua integrità rappresentaiva (non si pensa un rapporto causale, ossia, in termini kantiani, la costanza e uniformità di successione fra due fenomenici eterogenei, se non si pensa la insistenza di questi entro almeno “una” costante ed uniforme struttura statica, e non si pensa una struttura statica costante ed uniforme se non come antecedente necessario dell’insorgere, in successione costante, di un fenomenico eterogeneo o in essa o fuori di essa), non solo inducono a vedere le due categorie in quella coesistenza di cui sopra, ma anche rendono ragione della loro apodittica corappresentazione -; finché si persiste a incentrare l’attenzione del pensiero sull’eterogeneità che divide l’una categoria dall’altra, la necessità della dialettica dall’una all’altra e della corappresentazione delle due appare come calata dall’esterno e a posteriori, ossia come imposta al pensiero dall’interdipendenza di fatto dei [pag.126 F2] due eterogenei e, quindi, non avente a suo principio null’altro se non il dato di intuizione interiore della loro necessaria connessione, senza che sia lecito dedurla da qualcosa che si dia nell’intelligibile stesso in cui la si ritrova, precisamente nella nozione o di essere o di sostanza, giacché siffatta interdipendenza non è che un momento, una denotante della connotazione totale e questa non fa altro che riprodurre in sé quel che la denotante, assolutamente presa, manifesta; donde segue che il pensiero non solo non ritrova nell’intelligibile che s’articola sulle categorie una qualsivoglia rappresentazione che sia principio di intelligibilità e di pensabilità, alla interdipendenza, e, con ciò, è condannato a ignorare la ragion sufficiente della sua necessità, ma non riesce neppure a fondare legittimamente questa necessità, con la conseguenza che la rottura dell’interdipendenza, ottenuta in forza dell’astrazione, e la conseguente divaricazione dei due intelligibili categoriali in due meri eterogenei irrelati gli appare unicamente contrastata dal dato di fatto offerto dalla riflessione intuente di un’impossibilità a pensare di fatto l’irrelatezza in assoluto che l’astrazione fonda di diritto, impossibilità che nulla prova sia essenziale agli intelligibili categoriali e quindi assoluta anche per il pensiero, o essenziale solo alle condizioni umane di questo e quindi meramente relativa; ma se l’attenzione del pensiero vien spostata sulla coesistenza e coestensione in unità semplice delle due categorie e se siffatto modo vien pensato come un momento dell’universale coesistenza e coestensione di tutte le categorie entro l’unità semplice della nozione somma dell’essere o dell’intelligibile in generale, allora il pensiero ritroverà almeno in parte, a priori, entro la connotazione dell’intelligibile stesso la ragione della corappresentazione o correlazione dialettica delle due categorie, la quale cesserà di porsi come un dato di fatto intuito della cui necessità è principio solo il comportamento “fenomenico” del pensiero pensante, ed assumerà la veste di una denotazione propria della connotazione dell’intelligibile sotto forma di unità inscindibile delle due categorie, o, se si vuole, di una loro singolarità per semplicità bimorfica: di certo, anche sotto questo punto di vista, la connotazione è parziale, in quanto non risulta in essa, nell’essenza cioè di ciascuna delle due categorie, una nota del qualitativo che manifesti il perché dell’integrazione [pag.126 F3] necessaria ad opera del quantitativo, né una nota del quantitativo che manifesti il perché della sua applicazione necessaria al qualitativo, e di conseguenza, la necessità della interdipendenza, nella sua materialità, continua ad essere un dato di fatto, un aposteriori; ma l’unità singolare delle due categorie è nota essenziale della connotazione dell’intelligibile analizzato, e, per conseguenza, se da un lato è ragion sufficiente razionale, universale e necessaria, della corappresentazione o simultanea reciprocità dialettica dei due categoriali, dall’altro toglie a questa relatività e aposteriorità e le trasferisce all’astrazione e ai suoi effetti: sotto il punto di vista qualitativo, dunque, ogni categoria si connette strettamente a quella che nell’ordine sistematico le viene immediatamente dopo e si unisce ad essa in un vincolo tanto forte che la rappresentazione dell’una coinvolge sempre quella dell’altra, ne è lecito, sotto lo stesso punto di vista, ritenere l’una categoria come un contraddittorio eterogeneo dell’altra sul quale si ha diritto di operare un’astrazione che lo separi discretamente dall’altra e ne faccia un assoluto privo di essenziali e materialmente sostanziali nessi con l’altro, dovendosi siffatta operazione ritenere l’effetto di un artificio del pensiero deformante l’unità assoluta delle due categorie e illegittimamente abrogante il diritto e la necessità che son del pensiero di rappresentarsele in un’unità distinta, che è unità in quanto le due coincidono formalmente, che è distinzione in quanto le due si distinguono materialmente: donde consegue che nella rappresentazione di una categoria dev’essere sempre data in simultaneità la rappresentazione dell’altra e viceversa. Preponendo, ora, la nuova considerazione delle categorie dal punto di vista qualitativo, il problema se, data la successione delle denotanti nella connotazione di un concetto e distinta entro di essa la porzione del generico dalla porzione dello specifico, la predicazione dello speciale da parte dei suoi intelligibili generici su su fino all’estrema sussunzione sotto il suo genere sommo sia antecedente all’aggiunta in atto delle denotanti specifiche e quindi sia data già con la predicazione del generico in genere e del generico sommo in particolare alle denotazioni generiche, oppure sia legittima solamente quando la denotazione speciale è già in atto e quindi sia successiva alla sua aggiunta, non appare una questione artificiale, suscitata allo scopo di fornire punti di appoggio a una teoria non convincente,- già il fatto che il pensiero spontaneamente dia esistenza a giudizi a rapporto di genere a specie tra concetto-soggetto e concetto-predicato, [pag.126 F4] lascia intravedere che delle due l’una: o al pensiero è lecita una struttura ambigua del giudizio, tale che il rapporto consueto di contenuto a contenente tra concetto-predicato e concetto-soggetto possa essere capovolto senza offesa al principio di identità e senza detrazioni di intelligibilità, il che non solo pare illegittimo a priori, ma viene pure negato dall’intuizione riflettente che nel giudizio a soggetto generico sente immediatamente sgorgare l’intelligenza della predicazione dall’immutato rapporto di contenente a contenuto tra soggetto e predicato; o la struttura formale del giudizio resta costantemente uniforme e coincidente con il rapporto in cui il concetto-soggetto e il concetto-predicato si pongono nel giudizio in cui il primo è specie rispetto al secondo, nel qual caso la legittimità nella predicazione dipende del tutto dalla predicabilità al concetto-soggetto di tutti i generi predicabili al concetto -predicato, il che non si dà se non alle condizioni che tutti i sussumenti del concetto-predicato sian già dati nel concetto-soggetto ancor prima che al generico, in cui concetto -soggetto e concetto-predicato s’identificano, sia aggiunto lo specifico, rispetto a cui i due si diversificano, e che la sussunzione dello speciale sotto il suo generico sia data anteriormente alla integrazione del generico ad opera dello specifico -; la questione è sorta per genesi naturale in seguito alla rapportazione del dato di fatto dell’esistenza di giudizi a concetto-soggetto generico rispetto al concetto predicato, allo schematismo formale delle sussunzioni di marca aristotelica, per il quale le denotanti in serie entro la connotazione di un intelligibile ricevono intelligibilità ciascuna da una serie ascendente di generici al vertice dei quali stanno concetti categoriali eterogenei e discreti; la rapportazione deve concludere che o un giudizio apodittico con i concetti del soggetto e del predicato rapporto materiale di contenente a contenuto e formale di genere a specie è un non -senso, perché esige un’estensione della sussunzione dei generici del soggetto alla specie, il che è impedito dallo schematismo suddetto che divarica i generici del generico dai generici dello speciale, o l’intero quadro delle denotazioni di un intelligibile e della loro intellezione per sussunzione sotto i loro rispettivi generi dev’essere ripreso in esame: e questo null’altro significa che dev’essere eretto a problema il dato della liceità o impossibilità della predicazione dei generi dello specifico antecedentemente o solo simultaneamente al porsi in atto di questi. Finché si presuppone la descrizione aristotelica delle denotazioni e ci si tiene stretti al criterio geometrico, il problema riceve la
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