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Giordano Bruno Cavagna (n. 1921 - m.1966) Metaf. class. e metaf. cristiana IntraText CT - Lettura del testo |
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[pag.134 F1] che sfociano in rappresentazioni di uno o più specie del genere le quali, quantunque l’intuizione o non verifichi mai o non sia in grado di verificare se non pel medio di dati intuitivi in supposta connessione necessaria con quelli che dovrebbero essere offerti da un concreto contatto immediato, depongono l’abito dell’ipotesi per quello della certezza fornita dalla necessità delle operazioni con cui ogni specie è dedotta dal genere. Quest’osservazione qui è stata fatta per rilevare come il pensiero non abbia il diritto di prendere per apodittiche l’equivalenza tra il rapporto genetico giudiziale e i rapporti genetici gnoseologici ed ontologici, e l’univocità del rapporto genetico gnoseologico dalla specie al genere, in quanto se è vero che ciò è statisticamente verificato e che in un altissimo numero di casi la processione è dalla specie al genere, è pur vero che la rapportazione delle denotanti di genere agli intelligibili noti che non sono sue specie rende note le integrazioni che su di una o su più delle denotanti devono articolarsi onde l’intelligibilità della connotazione del genere sia sufficiente e, con ciò, fornisce la rappresentazione di molte o di tutte le denotazioni specifiche che, unificate al genere, lo integrano nelle varie o in tutte le specie sotto di esse sussunte, sia che queste siano già tutte conosciute intuitivamente, sia che una o più di esse siano temporaneamente o staticamente ignote; ci si è soffermati su questo operare del pensiero di condizione umana, aberrante dallo schema aristotelico, non per costruire una definitiva teoria gnoseologica che stabilisca una volta per sempre il rapporto genetico della specie dal genere o del genere dalla specie e risolva definitivamente la questione dell’intuitività o discorsività originarie delle nozioni umane, ma soltanto per constatare che l’univocità dello schema aristotelico è tutt’ altro che garantita dall’esperienza interiore, dalle teorie sui metodi, dalle decrizioni delle genesi ontica e cognitiva, dai principi sulla contingenza o necessità dell’universo; quel che qui interessa è che lo schema del rapporto tra intelligibili come relazione tra identificantisi in una sfera delle rispettive denotazioni, tra contenente e contenuto, tra unificantisi in unità, non è apodittico e uniforme per quel che riguarda la necessaria sua inversione quando si prende a punto di vista la genesi esistenziale, con la conseguenza che la contraddittorietà intrinseca a ogni intelligibile per la quale esso è principio di intelligibilità e conseguente di esistenza, e il corollario di essa che là dove non si dia principio di [pag. 134 F2] intelligibilità si darà esclusivamente principio di esistenza e là dove non si dia principio di esistenza si darà esclusivamente principio di intelligibilità, non sono nozioni legittimamente apodittiche; il che d’altra parte è in parte confermato e confortato da varie altre osservazioni, ad esempio che la struttura aristotelica dei rapporti di intelligibilità tra i generi in generale e le denotazioni di un intelligibile subordinato, ossia la struttura per canali paralleli, può essere tranquillamente sostituita da differenti schemi, il platonico e il qualitativo, e sembra portare acqua allo schema genetico dalla specie al genere, piuttosto che riceverne, o che l’unità aristotelica di un intelligibile, tratta com’è a posteriori dal dato di fatto della loro unificazione nell’unità della specie,((o??)) aposteriori dalla loro comune sussunzione sotto il generico supremo dell’ontico in generale ossia del mero carattere formale dell’universale e dell’intelligibile, non consente alcuna materialmente determinata rappresentazione dell’apodittica connessione tra denotante e denotante e sembra essere fatta più per consentire l’assoluta discrezione fra il generico e lo specifico e quindi l’assoluta autonomia e la totale insufficienza del genere rispetto alla specie che per rendere ragione dell’apodittica articolazione dello specifico sul generico e quindi dell’apodittica prosecuzione del genere nella specie. Una volta privato di necessità il dato dell’inversione del rapporto come condizione della sua validità ai fini dell’intellezione, anche la struttura aristotelica del giudizio si riduce a una delle possibili strutture che al giudizio è lecito assumere e depone l’unicità e l’univocità: il rapporto da termine-soggetto a termine-predicato in quanto indice di una relazione da conseguente a principio di intelligibilità, da contenente a contenuto, da principio a conseguente nell’esistenza e nella pensabilità di fatto, diventa uno fra vari rapporti che sono altrettanto legittimi pur che si modifichi qualche denotazione formale entro i concetti del rapporto e delle strutture dei rapportati; è lecito così al pensiero attribuire funzione di soggetto e funzione di predicato a termini che sono indici rispettivamente di concetti genere e di concetti specie, conservando o mutando i contenuti del rapporto di intelligibilità posti dalla teoria aristotelica; è lecito cioè accogliere come legittime strutture di giudizi da affermarsi assurde e impossibili quando si muova dai principi dell’aristotelismo. Si assuma il punto di vista della teoria platonica: per questa, le specie sono intelligibili [pag.134 F3] che in ordine all’esistere sono preceduti dal loro genere e traggono da esso genesi in seguito all’infrangersi dell’unità di questo, con la conseguenza che ogni specie è una parte solo del suo genere, ha la sua connotazione contenuta nella connotazione del suo genere, deriva la sua intelligibilità dal suo genere in nome dell’identità che si pone tra la sua materia intelligibile e la materia intelligibile che si disegna nel genere per la sottrazione da essa della specie cogenere, assume a principio del suo esistere e del suo essere pensata di fatto l’esistere e il pensamento di fatto del suo genere; d’altra parte [[Nota a matita dell'autore:” Tutta questa parte riguardo al Platonismo dev’essere riguardata e corretta sulla scorta dello scritto a matita di pag.136 “], la stessa teoria platonica, dovendo dare atto al pensiero di condizione umana della sua originaria impossibilità a possedere con un atto di contemplazione unico ed intuitivo l’intero sistema degli intelligibili e della sua necessaria dialettica processuale e progressiva all’acquisizione del sistema, ammette che nelle condizioni attuali del pensiero l’apprendimento iniziale sia delle specie da cui si risale ai generi; di qui, la duplice struttura che il giudizio nella teoria platonica dovrebbe assumere, dico dovrebbe perché di fatto ogni platonismo aggiunge alle due diritto((??)) una terza struttura: se un platonismo muove dalla struttura del sistema degli intelligibili quale si dà nell’ontico in sé, in cui il genere sta a una sua specie come un principio di intelligibilità e di esistenza al suo conseguente, come il contenente a un suo contenuto, come un sussumente a un sussunto sussumibile assieme al suo sussumente sotto tutti i sussumenti di questo, stabilisce l’equivalenza tra la struttura ontologica, la struttura esistenziale-genetica, la struttura gnoseologica per intuizione afenomenica del sistema intelligibile, e, muovendo dal criterio che nel giudizio il termine che ha funzione di soggetto sia indice dell’intelligibile che ha funzioni di principio o sostrato di esistenza nel sistema binario, non può non dare funzioni di soggetto al termine indice del genere, donde la struttura tipico-ontica del giudizio platonico, in cui soggetto e predicato hanno la portata di indici di due intelligibili in rapporto reciproco di genere a specie, di principio di intelligibilità e di esistenza a conseguente, di contenente a contenuto, di problematica specie di generi a specie del genere dato e di tutti i suoi generi - di contro alla struttura aristotelica del giudizio A è B in cui A soggetto e B predicato, sia in forza del criterio che assegna al termine soggetto il compito di rimandare al concetto che è base e sostrato di esistenza un qualunque nesso di intelligibili sia in forza della presupposta equivalenza tra il processo acquisitivo della conoscenza umana e il rapporto ontologico ed intelligibile tra concetti, sono indici rispettivamente [pag. 134 F4] di uno ed altro intelligibile che stanno tra loro come una specie a un genere, come un contenente a un contenuto, come un conseguente al suo principio di intelligibilità, come un principio di esistenza al suo conseguente, come un principio di esistenza e un conseguente di intelligibilità a tutti i generi del suo genere, si pone la struttura tipico- ontico del giudizio platonico A è B, in cui, sia in forza di un identico criterio di valutazione del soggetto sia in forza dell’identità dei rapporti cognitivo per intuizione, esistenziale, intelligibili, il soggetto A e il predicato B sono indici rispettivamente di un primo e di un secondo intelligibile che stanno tra loro come un genere a una specie, come un contenente a un contenuto, come un principio di esistenza al suo conseguente in sé, come un conseguente di intelligibilità al suo principio, come un conseguente di intelligibilità e di esistenza a principi che sono generi suoi e della sua specie; per questo A nell’”A è B “ aristotelico sarà costantemente soggetto di tutti i predicati di cui B ha diritto di erigersi a soggetto, e B nello stesso “A è B” aristotelico sarà soggetto di tutti i suoi generi, mentre A nell’”A è B” platonico sarà predicato di tutti i soggetti di cui B dev’essere predicato, e B resterà costantemente predicato di A e di tutti i soggetti di cui A è predicato; per questo il giudizio “mammifero è uomo “, dal punto di vista aristotelico, come giudizio universale e affermativo, è assurdo ed impossibile, e la sua espressione “il mammifero è uomo “ è un flatus vocis, mentre è apodittico e intelligibile come giudizio particolare e affermativo, e la sua espressione “un mammifero è uomo “=“uno dei mammiferi è uomo “ = “ qualche mammifero è uomo “ è significativa; per questo ancora, lo stesso giudizio “ mammifero è uomo “, dal punto di vista platonico, in quanto universale è affermativo, è legittimo e apodittico, e la sua espressione “il mammifero è uomo” è significativa nella sua accezione non distributiva, nel senso cioè di “ l’ente mammifero è uomo “, non nel senso di “ tutti gli enti che sono mammiferi sono uomini “, perché quest’ultimo giudizio è assurdo potendosi dare l’unità del mammifero in sé e la pluralità di mammiferi solo in unità con una delle note specifiche del mammifero, e, con ciò, rende assurda la portata particolare e affermativa del giudizio e inespressiva la sua espressione “ alcuni mammiferi sono
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