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Giordano Bruno Cavagna (n. 1921 - m.1966) Metaf. class. e metaf. cristiana IntraText CT - Lettura del testo |
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[pag 137 F1] intelligibile prosegue fino al vertice sommo dell’ontico intelligibile di assoluta genericità, il concetto di essere, immediatamente preceduto dalle categorie; se l’oggetto primo dell’analisi è la rappresentazione intelligibile simmetrica del dato immediato dell’unità collettiva di tutte le percezioni o di un gruppo di percezioni cogeneri, il pensiero ritrova o pretende di avere il diritto di ritrovare nella sua connotazione la nota dell’intelligibile supremo, dell’essere, in unità indivisibile con tutte le denotanti specifiche destinate a esplicitarsi via via che il genere supremo si squaderna negli intelligibili specie; non necessariamente tale unità dev’essere pensata come un’omogeneità semplice gonfia di tutte le energie qualitative e qualificative del razionale, perché a questa visuale platonica può sostituirsi l’altra qualitativa di un uno articolato indivisibilmente in tutte le sue attitudini attributive; e così, non necessariamente lo squadernarsi dell’ontico supremo nelle specie sussunte è segno di una degenerazione o involuzione discendente in funzione della progressiva perdita delle ricchezze intelligibili, perché a questo modo d’intendere le cose è lecito sostituire l’altro, in forza del quale la scelta di una denotante privilegiata e la sua messa in rilievo entro una specie sussunta risultano atti di un certo rafforzamento energetico della qualità o svantaggio delle altre cogeneri, che non necessariamente vanno pensate estromesse, ma soltanto lasciate nel loro grado intensivo primario e con ciò offuscate ed oscurate dalla cogenere ravvivata, e a vantaggio dell’espressione o manifestazione ontica che l’intelligibile intende fare di sé; se l’una analisi sia peculiare e condizionatrice di una certa interpretazione scientifica degli esistenti in generale e l’altra di una differente loro interpretazione scientifica, se l’una analisi, cioè, sia propria del metodo delle scienze naturali e l’altra del metodo delle scienze metafisiche, è questione da definire e che ora non intendiamo discutere; resta certo che nessuna delle due analisi è sufficiente a se stessa e può fare a meno dell’altra: l’analisi delle specie infime porta il pensiero alla strana situazione di rappresentarsi al vertice alato del genere supremo dell’ontico intelligibile pure tanti intelligibili quanti sono i generi supremi di ogni denotante le varie specie e le differenze specifiche che via via debbono aggiungersi ai generici supremi per farne le denotanti effettuali delle specie sussunte ai vari livelli sottostanti, alla stessa situazione quindi di rappresentarsi una rassegna di intelligibili giustapposti per la cui unità nessuna ragione è data che non sia quella a posteriore della loro coimmanenza nelle specie sottoordinate, sicché, se il pensiero non vuol cadere nell’assurdo di inferire un [pag.137 F2] intelligibile dal sensibile si tratterebbe, infatti, di dedurre l’unità degli intelligibili di traguardo dalla loro simultaneità entro le percezioni di intuizione sensoriale - deve in un modo o in un altro ripristinare a livello dei generi sommi l’unità data al livello delle percezioni e, quindi, ricostruire entro la nozione dell’essere una simultanea compresenza di tutti gli intelligibili, che potrà anche essere quella aristotelica basata sul rapporto tra l’attuale dell’essere e il potenziale di tutte le sue denotanti specifiche, ma che comunque ripeterà nell’intelligibile supremo l’immagine dell’unità collettiva di tutte le percezioni; l’analisi della rappresentazione intelligibile suprema simmetrica dell’unità di tutte le percezioni è impossibile sia che l’intellegibile dell’ontico generale sia pensato come un semplice omogeneo sia che lo si pensi come un individuo coestensivo di tutte le sue qualificazioni attributive, perché nel primo caso manca l’eterogeneità condizione prima di un’analisi e nel secondo la distinguibilità o discrezione degli eterogenei condizione seconda di un’analisi, donde deriva che l’analisi dell’ontico generale è preceduta dall’analisi di tutte le specie dell’ontico, riproducente in conformità con esigenze di un pensiero di condizione umana quanto si contiene entro il genere supremo. La conseguenza immediata di questa insufficienza di ogni analisi è che in entrambe le dialettiche il giudizio “A è B” è il segno di una limitazione e deficienza del rapporto di intelligibilità che si riduca alla semplice relazione tra l’intelligibile contenente e l’intelligibile contenuto: lo schema “ A è B” di tipo aristotelico, nell’atto stesso in cui indica l’immanenza del generico B nello speciale A, guida il pensiero a una porzione sola della connotazione di A, dalla quale restano escluse sia tutte le denotanti che la compongono sia tutte le porzioni che le si giustappongono, e gli impone da un lato di sostituire a B tutti i suoi generi, dall’altro di allineare a questi tutti i generi della differenza specifica che articolandosi su B costituisce A; per questo il tipo aristotelico del giudizio tende a predicare al termine soggetto, indice di una specie, tutti i termini che sono indici dei generi leciti di tutte le sue denotanti, e a sostituire allo schema “ A è B “ lo schema A è B1 B2 B3....Bn (= B articolato in tutti i suoi generi e in tutte le sue differenze specifiche) e C1 C2...Cn (=C, differenza specifica di A, articolato in tutti i suoi generi e in tutte le sue differenze specifiche; lo schema “ A è B di tipo tipico-ontico di un platonismo o di tipo qualitativo, nell’atto stesso in cui rimanda il pensiero al rapporto di intelligibilità tra una specie, principio di intelligibilità, e il [pag. 137 F3] suo genere, conseguente di intelligibilità, esclude dalla rappresentazione in atto sia tutte le specie cogeneri di B e con ciò priva il genere-soggetto dell’intelligibilità di cui queste sono principio apodittico, sia tutte le specie che hanno a loro genere B e le specie cogeneri di B e che sono principio di intelligibilità immediatamente di B e dei cogeneri di B e mediatamente di A, donde consegue che tale schema è animato dalla tendenza a muovere il pensiero a definire i cogeneri di B e le specie di B e dei suoi cogeneri, e a sostituirgli lo schema “ A è B C...N “ (essendo C...N indici dei cogeneri di B) e B1...Bn (=specie di B), C1...Cn (= specie di C)... N1....Nn (= specie di N). Quel che qui interessa è che nelle teorie platonica e qualitativa, il rapporto di intelligibilità consegue una prima soddisfacente pienezza quando assume a principio almeno la serie intera delle specie del genere di cui si cerca l’intelligenza, e trova l’espressione della sua iniziale integrità in un giudizio di schema “ A è B...N (=specie di A)”: ma questo giudizio in quanto pone a predicati del soggetto gli indici delle specie di un genere relazionate col loro genere stesso secondo un rapporto da principi di intelligibilità al loro conseguente, costituisce il modulo di quel giudizio della cui legittimità si andava in cerca: data l’apodittica relazione di complementarità qualitativa fra il generico e lo specifico, data l’identica legittimità della sussunzione del generico e dello specifico sotto le stesse categorie, date le priorità dell’analisi della specie sull’analisi del genere ai fini di una cognizione articolata e la priorità inversa al fine di una definizione della genesi dell’un intelligibile dall’altro, il giudizio categorico avente a soggetto il genere e a predicati tutte le specie sussunte è legittimo; per la relazione che esso instaura fra i due estremi di intelligibilità si ha il diritto di parlare di un’identificazione parziale e non di un’equazione, in quanto alla meccanica spontaneità con cui è posto il rapporto la riflessione aggiunge l’analisi del sistema concettuale per cui, se il genere viene identificato con le sue specie, queste risultano parti giacenti nella sua comprensione. Con le nozioni fin qui raccolte siamo in grado di stabilire una definizione del giudizio categorico: la definizione kantiana stabilisce per esso che è un giudizio di relazione, ossia l’affermazione (o negazione) di una dialettica da intelligibile a intelligibile per la quale i due intelligibili sono assunti come immagini di due ontici in sé - dico due ontici in sé e non due cose in sé, a sottolineare che l’in sé non necessariamente ha un contenuto di metafisica trascendenza dell’intuito fenomenico, in quanto per un pensiero che aspiri all’intelligibilità del fenomenico, i dati sensoriali stanno [pag.137 F4] alle loro rappresentazioni intelligibili come un ontico in sé sta all’ontico per il pensiero che gli è simmetrico -l’esistenza dell’uno dei quali è condizione del modo di esistenza dell’altro, e che è l’espressione di una relazione da sostanza a inerente, nel senso a) che l’intelligibile, che nel giudizio è soggetto, è pensato come l’immagine di un ontico unitario, autosufficiente, composito, avente come componente del suo organismo l’ontico che è pensato attraverso il predicato, e b) che per necessaria conseguenza l’intelligibile, che nel giudizio è predicato, è pensato come l’immagine di un ontico in sé che inerisce al primo, ossia che è parte costitutiva dell’organismo unitario del primo: per Kant, dunque, il giudizio categorico è la rappresentazione dell’immanenza di un ontico in sé entro la complicazione qualitativa di un altro e, di conseguenza, è lo strumento con cui fondiamo i rapporti di esistenza tra gli ontici in sé in generale, in modo che attraverso di esso si ha il diritto di pensare un ontico in sé come onticamente esistente solo alla condizione che sia rappresentato come parte costitutiva di un ontico in sé onticamente esistente per sé; come rivela il fatto che l’introduzione nella definizione del termine “sostanza” sposta l’analisi della comprensione di un giudizio categorico in generale dalla sfera dei dati immediatamente intuiti nel pensiero come funzione alla sfera di quei dati che sono le funzioni del pensiero e tutto ciò che il pensiero o una sua interpretazione pretendono che valgano, la nozione kantiana non distingue fra le operazioni del pensiero in quanto strutture formali organizzate e strutturate secondo leggi costanti e le medesime operazioni in quanto strutture formali il cui contenuto materiale è utilizzato in vista di certi usi cognitivi e pragmatici, la cui determinazione non è univoca né nelle pretese che il pensiero accampa nei propri confronti né nei dati che il pensiero pretende ritrovarvi analizzando le proprie pretese; intendo dire che quando si fa della logica, ossia quando si cercano rappresentazioni di ciò che di staticamente costante ed uniforme si dà nelle dialettiche del pensiero di condizione umana, è opportuno distinguere radicalmente da un lato la forma pura dei processi dialettici assieme a tutti i principi, condizioni, modalità che la costituiscono, dall’altro tutto ciò che il pensiero pretenda ritrovarvi sia dal punto di vista utilitaristico sia dal punto di vista interpretativo dell’ontico in generale di cui le forme dialettiche sono sempre una parte; quando Kant parla di sostanza-inerenza come del rapporto che è essenza del giudizio categorico, prende in considerazione non solo
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