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Giordano Bruno Cavagna
(n. 1921 - m.1966)
Metaf. class. e metaf. cristiana

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  • Prot. 101 -150
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descrizione contraddittoria del giudizio categorico come una rappresentazione che è apodittica per principio e assertoria per dimostrazione; ma la contraddizione è al principio stesso di un errore di surrezione che è fondamento di tutta la dimostrazione: questa muove sia dal presupposto che problematicità assertorietà apoditticità  siano degli eterogenei  che non hanno il diritto di coesistere nell’unità sostanziale di un unico intelligibile sia dalle nozioni, ottenute per altra via, delle connotazioni formali del giudizio categorico  dell’ipotetico del disgiuntivo, delle rispettive differenze, dell’immanenza sostanziale della problematicità nell’unità del disgiuntivo e dell’apoditticità nell’unità dell’ipotetico, e ne deduce l’assertorietà essenziale del categorico; ma per far ciò deve ricorrere al fine dell’impossibilità di un’inerenza sostanziale di un attributo fuori della sostanza e in altra sostanza, all’attribuzione della apoditticità al giudizio categorico  in genere, della quale si vale appunto per affermare l’immanenza sostanziale  del problematico e dell’apodittico rispettivamente nel disgiuntivo e nell’ipotetico, con la conseguenza che, dopo esser mossa dall’affermazione di principio dell’impossibilità di predicare assiomaticamente  o postulativamente uno dei modi delle modalità al giudizio categorico e dopo aver prefissato, sia pure argomentativamente e indirettamente, l’assertorietà come denotazione essenziale  del categorico, surrettiziamente introduce a lato di siffatte due nozioni originarie il concetto contraddittorio dell’apoditticità del categorico e ne deduce il diritto di predicare  i tre tipi dei giudizi di relazione rispettivamente con uno solo dei tipi dei giudizi della modalità; ora, non c’è bisogno di questo lungo discorso per dimostrare che la definizione del giudizio categorico con la denotante dell’assertorietà in quanto esclusiva delle sue cogeneri è contraddittoria, giacché basta muovere dalla definizione dello stesso giudizio in quanto giudizio, ossia atto di un pensiero che dialettizza universali e necessari secondo rapporti universali e necessari, per concludere nell’apoditticità di tutti  gli atti che son tali e quindi anche del giudizio categorico, e nella contraddittorietà di una sua predicazione con un’assertorietà esclusiva delle sue specie cogeneri; assurdità del concetto di giudizio categorico per la contraddizione tra la necessaria sua apoditticità e la necessaria sua assertorietà, e vizio di surrezione dell’

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argomento della sua assertorietà sono conseguenza dell’errore più profondo e più celato, della sostituzione, nella definizione di giudizio categorico, all’essenza ontica e legittima della sua struttura formale della pretesa  essenza del suo nesso di ragione esistenziale: quando si pretende  che il rapporto da sostanza a inerente con la conseguente funzione di autosussistenza sostanziale del soggetto e di inerenza immanente del predicato costituisca l’unica natura prima ed originaria del giudizio categorico si debbono  dedurre alcuni strani corollari, anzitutto che nella definizione  del sostanziale ontico in sé unico ed esclusivo  strumento di invenzione sia la funzione di soggetto che in un giudizio categorico assume come esclusiva la rappresentazione equivalente  all’ontico cercato, che cioè l’unica via che il pensiero di condizione umana  ha per stabilire che cosa sia sostanza nell’ontico in sé  sia costituita dalla funzione di soggetto che la rappresentazione della sostanza in sé assume entro un giudizio  categorico, poi che tutte le determinazioni formali e materiali che il pensiero ha diritto di pensare della sostanza siano offerte solo dalle relazioni, condizioni, modi, ecc. caratterizzanti il concetto della sostanza in sé in quanto soggetto di un giudizio categorico relazionato solo con quei predicati che insistono in esso concetto in quanto connotato da certe denotanti, poi ancora che nessun altro nesso ((??mezzo??)) sia dato di stabilire tra nozioni formali e materiali concernenti la sostanza in sé all’infuori di quelle che sono offerte dal rapporto, rappresentato, tra l’immagine della sostanza in sé e l’immagine di ciò che la denota, infine che la simmetria o equivalenza, che in generale deve essere postulata dal pensiero tra le proprie rappresentazioni e l’ontico in sé onde il pensiero  conceda a se stesso il diritto di trasferire al secondo quanto di essenziale c’è o si pretende ci sia nelle prime, tra la rappresentazione di una nozione che si ponga di diritto come immagine di una sostanza in sé e la sostanza in sé, abbia a suo centro o luogo naturale  del pensiero un giudizio categorico, sicché tutto ciò che il pensiero riscontra in questo giudizio dev’essere assunto come valido per l’ontico in sé, tutto ciò che nel giudizio non è effettuabile per impossibilità formale o per offesa della materia che vi si vuol strutturare alle leggi della forma del giudizio dev’essere negato dell’ontico in sé, tutto ciò che il pensiero riesce a cogliere e descrivere come denotante la sostanza pel medio di elaborazioni che  non siano immediatamente condotte sulla falsariga delle esigenze del giudizio categorico deve essere accolto come valido per la conoscenza

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della sostanza in sé solo in quanto siano ritraducibili negli schemi del giudizio categorico e non contraddicano alle sue leggi; dunque, nell’atto in cui un Kant o un Aristotele definiscono  a loro modo il giudizio categorico, non è che relativamente alla descrizione e definizione del sostanziale in sé neghino l’equivalenza del razionale con il reale e del reale con il reale, ma subordinano o condizionano tali descrizione e definizione al giudizio categorico e alla sua struttura e, con ciò, pongono l’equivalenza del razionale sostanziale con l’ontico sostanziale e viceversa dopo aver premesso una primaria equivalenza del razionale sostanziale con il giudizio categorico, sicché finiscono per fare di questo la grande pietra di paragone verso cui confluiscono sia tutti i dati astratti che il pensiero elabora come fonti di conoscenza del sostanziale in sé sia tutti i dati intuitivi che il pensiero ritiene  di aver il diritto di accettare come rivelazioni immediate della sostanza in sé, per esserne o convalidati o invalidati; la prima conseguenza di questo è che una rappresentazione, che per varie ragioni sia stata ritenuta degna di porsi a soggetto di un giudizio categorico, deve riprodurre in sé l’unità del sostanziale ontico in sé, un’unità quindi per la quale le componenti siano individualmente connesse al tutto e viceversa sì che  non solo non sia immaginabile né l’elisione del tutto  con la simultanea sussistenza delle parti né l’elisione delle parti con la simultanea sussistenza del tutto, né l’elisione di una parte con la simultanea sussistenza delle altre e del tutto, ma sia anche pensabile di diritto e di fatto il nesso relazionale e apodittico che vincola le parti fra loro e al tutto e il tutto alle parti nel loro complesso e a ciascuna, il che è lecito alla solita condizione che il rapporto fra parte e parte, fra parti e tutto, fra tutto e parti, fra tutto e parte, stia in una rappresentazione non meramente formale, ma anche materiale: infatti, la sostanza, se dev’essere soggetto di un giudizio categorico, di un rapporto intelligibile e quindi universale e necessario tra sé e una sua componente che gli inerisce distinguendosi da tutte le altre, deve distinguersi da ogni suo inerente non solo come un tutto collettivo dalle parti in collettività, ma come un uno, la cui unità ed unicità è un dato qualitativo e formale eterogeneo dagli altri che vi immangono, deve comprendere tutti i qualitativi ed eterogenei che lo compongono in unità che è simultaneità di ciascuno di essi con l’unità che li trascende secondo un rapporto unificatore noto sia nella sua necessità formale che nella sua qualificazione materiale,

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deve riscontrare tradotta nei rapporti tra inerente eterogeneo ed inerente eterogeneo la stessa unità essenziale costituita da un nesso apodittico definibile formalmente e materialmente, giacché il vincolo tra predicato e soggetto di un giudizio apodittico è un rapporto tra un uno e un altro uno, tra un tutto e una sua parte che gli inerisce necessariamente in forza della necessità che la vincola simultaneamente e definitamente al suo uno tutto e alle altre parti eterogenei ((??eterogenee??)) predicabili al medesimo soggetto; ma, di tutte le rappresentazioni che sono presenti a un pensiero di condizione umana nessuna è tale da manifestare nella propria connotazione sia una denotante di unità, che consista non nella semplice giustapposizione per coesistenza delle varie note eterogenee, ma nella rappresentazione materiale di una nota che astratta possa esser pensata come l’intelligibile della qualità “uno” della sostanza, sia tanti nessi, qualitativamente e non soltanto formalmente definiti, che diano a conoscere non solo il vincolo necessario di fatto e aposteriori, ma anche la modalità di diritto e apriori di tale apodittica connessione fra ciascuna denotante e l’uno della sostanza e fra ciascuna denotante e le altre che le si giustappongono; donde deriva che quando si tratta di andare a giustificare tale connessione  necessaria il pensiero  ha a disposizione  dei fatti che sono ripetizioni costanti non dei legittimi  connotati da note necessarie in sé; e allora delle due l’una: o il pensiero pretende di conservare la forma apodittica che il giudizio categorico dovrebbe avere, e in questo caso non riesce a trovare nessuna rappresentazione che soddisfi alle esigenze apriori che il soggetto deve riscontrare in quanto immagine simmetrica di una sostanza in sé, o il pensiero riconosce a se stesso di diritto quelle dialettiche alle quali procede di fatto negli infiniti giudizi categorici che vien costruendo di momento in momento, e in questo caso priva il giudizio categorico di qualsiasi valore apodittico in sé e lo classifica sotto il modo dell’assertorietà, col che non intende  affatto negare la liceità dell’apodissi al giudizio categorico, ma si limita a definire di diritto quel che si verifica di fatto, precisamente l’impossibità per gli intelligibili soggetto e predicato di porsi a priori, pel semplice fatto di strutturarsi in un giudizio categorico, come dei necessari in sé e nei loro rapporti e la necessità




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