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Giordano Bruno Cavagna (n. 1921 - m.1966) Metaf. class. e metaf. cristiana IntraText CT - Lettura del testo |
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[pag. 141 F1] stesso: una volta postulata l’equivalenza tra il razionale in quanto ((??)) e il reale e tra il reale e il razionale in quanto giudizio, l’attribuzione al soggetto di un giudizio categorico della funzione di principio di esistenza e del ruolo di indice di un sostanziale, da un lato comporta che l’immanenza del predicato nel soggetto sia il segno del mutuo aperto dalle rappresentazioni del predicato presso le rappresentazioni del soggetto per ottenerne il diritto ad esistere e sia la rappresentazione ideale di una situazione ontica in cui gli ontici del predicato immanendo nell’ontico del soggetto partecipano della sua esistenza, dall’altro esige che il soggetto valga a garantire l’esistenza del predicato in modo assoluto e sia l’indice di un ontico in sé; tutto allora fa perno sulla ricerca di questo soggetto la quale però non dev’essere compiuta fuori dal giudizio stesso, perché qualunque analisi che fosse compiuta su di una rappresentazione, assunta in sé e nella sua assolutezza fuor delle sue funzioni problematiche di soggetto di un categorico contravverrebbe al postulato originario e al dato in questo implicito dell’equivalenza della funzione di soggetto di un categorico con il simmetrico suo valore ontico di sostanza o soggetto ontico; può sembrare che il risultato di tale ricerca sia stato ottenuto da Aristotele e da Kant fuori dell’indagine svolta entro il mero giudizio categorico, in tutta la sfera della coscienza empiristicamente definita, ma ciò è solo un’apparenza perché siffatta analisi non necessariamente conduce a fare delle percezioni e delle specie gli unici soggetti di diritto di un categorico; di fatto, Aristotele e Kant vagliano le conoscenze in generale per l’attitudine che hanno alla funzione di soggetto di un giudizio categorico e per le denotazioni che le caratterizzano, di principi assoluti di esistenza e di autonomi assoluti, e che ne fanno di diritto soggetti per eccellenza di un categorico, con la conseguenza che una conoscenza per godere di tali note formali dev’essere data nella sua totalità formale immediatamente, essendo lecita l’ignoranza di una o più denotanti materiali o anche formali, non l’ignoranza del suo modo formale di essere un tutto, perché solo da tale punto di vista è data la liceità di stabilire rapporti esaustivi tra il conosciuto e gli infiniti altri attuali; ora, questo vaglio è compiuto solo entro lo schema di un giudizio categorico: una volta riunite in classi tutte le rappresentazioni secondo il principio di classificazione offerto dalla prova che di sé fanno rappresentazioni eterogenee poste a soggetto di un categorico, appare che nessuna rappresentazione possiede quell’immediata totalità formale che, rapportata agli altri intelligibili, o suoi predicati o suoi soggetti, manifesta di non poter essere predicato di alcun intelligibile perché la sua connotazione [pag. 141 F2] assunta come unità formale integra è totalmente estranea dalla connotazione degli altri intelligibili, ad eccezione delle rappresentazioni delle specie infime, cioè degli intelligibili simmetrici delle percezioni individuali; che l’indagine si sia valsa del linguaggio, come in Aristotele, o dei rapporti intelligibili, come in Kant, fa poca differenza, perché il risultato non poteva essere che il medesimo; ma se si invalida la definizione kantiano -aristotelica del giudizio, cade l’equivalenza tra soggetto, sostanza, specie infima, percezione individuale; c) conviene ora esaminare la teoria del polisillogismo [[Nota a matita dell'autore:”controllare la teoria del polisillogismo in Aristotele e nei logici in generale “]] in Aristotele, con le conseguenze che sono state poste in particolare rilievo da Kant e da Bradley: nel panorama aristotelico delle dialettiche ogni giudizio, e quindi anche tutti i categorici, non è automaticamente simmetrico di un corrispondente rapporto ontico in sé nel senso che la relazione logico-gnoseologica posta dal giudizio categorico - ci limitiamo a questo per evidenti motivi - non è spontaneamente rappresentativa di una relazione ontica; nell’impossibilità in cui il pensiero di condizione umana si trova di controllare direttamente i rapporti di tutti i suoi giudizi sull’ontico, vien scelta la strada della dimostrazione che con lo schema fisso del sillogismo legittima il rapporto di ogni giudizio categorico facendone la necessaria conseguenza dei rapporti di altri due giudizi categorici precedentemente pensati come veri - in forza dell’identità stabilita da Aristotele tra la sostanza e la specie infima si ha il diritto di affermare che qualunque indagine sul sillogismo in generale debba assumere come modello lo schema del sillogismo categorico in Barbara avente a soggetto della conclusione o piccolo estremo il soggetto della minore, a premessa minore un giudizio categorico individuale o singolare, equivalente per la legge di Wallis a un universale, e a premessa maggiore un giudizio universale affermativo con il grande estremo con funzioni di predicato per la legge di Wallis in congruenza con le leggi II, IV, VIII del sillogismo in generale; tutti gli altri sillogismi debbono essere assunti come dialettiche condizione nella loro validità dalla validità di tale sillogismo -; dei due giudizi categorici premessi il minore è dato come noto, il maggiore attende convalida da un prosillogismo in cui sia conclusione legittimata da un’altra premessa maggiore a sua volta conclusione di un ulteriore prosillogismo; e così via; il processo secondo Aristotele è indefinito e deve arrestarsi alla premessa maggiore di un supremo prosillogismo che sia di verità assiomatica e che quindi coincida o con l’analisi e la definizione di uno dei principi di ragione o con l’analisi o la definizione dell’oggetto proprio della scienza, che non può non essere una denotante del [pag. 141 F3] concetto della specie infima, piccolo termine dell’infimo episillogismo; Kant, se da un lato accetta la teoria aristotelica del polisillogismo come strumento di legittimazione di giudizi e quindi nella sua forma di sillogismi categorici in Barbara l’infimo dei quali ha a piccolo termine l’intelligibile di una specie infima - il che è dimostrato sia dalla funzione che egli attribuisce alla facoltà sillogizzatrice di sistemare gli intelligibili in strutture ordinate da generi a specie sia dalla necessità in cui si trova tale facoltà di superare l’atto del mero sillogismo nell’atto composito del polisillogismo i cui membri debbono essere sillogismi categorici in Barbara che devono discendere a una conclusione infima il cui soggetto non può non essere che un intelligibile infimo, cioè una specie infima -, dall’altro deve escludere una chiusura suprema del processo polisillogistico e fare del polisillogismo una corrente dialettica indefinitamente aperta sia perché il conchiuderla con la definizione del principio d’identità non ha alcuna influenza decisiva pei fini cui mira la dialettica razionale essendo tale principio una denotante formale che nessuna rappresentazione materiale nella sua mera intelligibilità ha diritto di ripudiare e di negare apriori a se stessa sia perché lo sbarrarla al vertice con la definizione di una certa rappresentazione materiale è un atto illegittimo che surrettiziamente reintroduce nella dialettica polisillogistica la pretesa che un qualsivoglia giudizio categorico possa porsi ad atto intelligibile vero di per sé e non per deduzione in forza di una presunta congruenza apriori tra la sua rapportazione logico-cognitiva e la relazione che le corrisponde nell’ontico in sé; con ciò Kant non fa altro che sgombrare la nozione aristotelica del raziocinio mediato di quelle sovrastrutture che indebitamente gli eran state aggiunte, e, di conseguenza, è in grado di trarre dalla rappresentazione pura del polisillogismo categorico tutte le conseguenze che vi son implicite, e anzitutto che esso è preda di un’aporia insuperabile in quanto da un lato la sua validità è condizionata dalla presenza attuale in esso di un termine o nozione che sia assolutamente incondizionata e che come tale rivesta solo le funzioni di soggetto e mai quelle di predicato, dalla presenza cioè di un soggetto assoluto, mentre dall’altro tale presenza in esso non è mai data in atto in quanto tutte le nozioni del polisillogismo almeno una volta recitano il ruolo di predicato e con ciò non s’identificano con l’ideale del soggetto assoluto, che è condizione di validità del polisillogismo: la costante apertura in direzione dei prosillogismi di cui tutti i polisillogismi categorici sono affetti non è che l’effetto e il sintomo del costante squilibrio sul suo stato di fatto e sulle sue esigenze di diritto; ora, mentre [pag.141 F4] per Kant i due fenomeni sono il principio esistenziale dello slancio metafisico, per Bradley l’uniforme condizionalità del polisillogismo è la ragione sufficiente di una permanente inadeguatezza della dialettica umana alla conoscenza metafisica: dunque, l’infinità del raziocinio mediato è, per il primo, condizione della metafisica, sia pure di una metafisica che non verificherà mai le sue pretese di scienza, per il secondo ostacolo alla metafisica; Bradley, infatti, muove, con una dichiarazione che supera per esplicitazione quanto mai in proposito sia stato detto, dall’equivalenza del razionale in quanto giudizio categorico con il reale e del reale col razionale in quanto giudizio categorico: pensiero o autocoscienza è giudizio, ossia rapporto di immanenza tra predicato e soggetto, e quindi giudizio categorico, nel quale soggetto e predicato sono distinti sotto il punto di vista materiale, in quanto il soggetto è un esistere, un esserci che è essere in sé, mentre il predicato è una qualità o modo dell’essere, e sotto il punto di vista formale, in quanto il soggetto è un esistere per sé, un concreto reale in cui essere e modo fan tutt’ uno, mentre il predicato è una mera rappresentazione, ossia un modo libero dall’esistenza, dall’esserci e dall’essere, e con ciò capace di operare fuori dal condizionamento dell’esistenza; il reale a sua volta è sotto il punto di vista materiale, un esistente in sé inscindibilmente unito a una qualificazione in sé, sotto il punto di vista formale la autosufficiente e incondizionata sussistenza di un uno in cui l’indeterminato che è in sé e per sé trova elisa la propria insufficienza nella sintesi con il determinato di cui elide l’insufficienza dovuta all’esistere di questo in altro e per altro; ma allora il reale ricalca il razionale e viceversa: di qui un certo numero di conseguenze, tra le quali qui ci interessano queste: 1) la meta ultima del pensiero è un giudizio che sia sintesi perfetta dell’esistente e del contenuto, meta destinata a restare un mero ideale in primo luogo perché la funzione del predicato di determinare l’esistente “idealmente “ o indipendentemente da un esistente in generale - in questo consisterebbe la sua verità, in quanto predicato del predicato di un qualsivoglia giudizio, in quanto cioè espressione del contenuto di armonia, congruenza, accordo che dev’essere dato in qualsiasi predicato di categorico -, la funzione cioè del predicato di definire qualità intelligibili, costanti uniformi sussunte sotto i principi di ragione, non è congruente con l’esistente, il soggetto, che non è un “consistente”, ma un mutevole, sicché c’è sempre nel predicato qualcosa che trascende il soggetto e l’ideale trascende il reale, in secondo luogo perché la funzione del soggetto di stabilire l’esistenza effettiva
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