Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText
Giordano Bruno Cavagna
(n. 1921 - m.1966)
Metaf. class. e metaf. cristiana

IntraText CT - Lettura del testo

  • Prot. 101 -150
    • 145
Precedente - Successivo

Clicca qui per attivare i link alle concordanze

- 145 -


[pag.145 F1]

ostinarsi a ripudiare come principio della predicazione in un giudizio categorico il rapporto tra le comprensioni dei due correlati; se si ha ben presente che la genesi e il fondamento del giudizio categorico stanno nel rapporto di immanenza in cui l’intelligibile del predicato è pensato nella comprensione del soggetto, ci si rende conto che il rapporto di predicazione è funzione determinante della quantificazione sia del predicato che del soggetto e che il ruolo assunto dal predicato come denotazione inerente alla comprensione del soggetto è funzione determinante del modo di quantificazione del predicato e del soggetto; infatti, posti due intelligibili in un rapporto di predicazione categorica sul fondamento dell’inerenza dell’uno nell’altro, se l’inerente-predicato è denotazione assolutamente specifica, nel senso che compaia  come nota solo nella comprensione del soggetto e degli intelligibili sotto questo sussunti la quantità del soggetto e la quantità del predicato sono entrambe universali, mentre, se l’inerente-predicato è denotazione generica, nel senso che compare come nota della comprensione di intelligibili che sono altri dal soggetto e dai suoi sussunti, la quantità del soggetto e quella del predicato sono rispettivamente universale e particolare; se l’inerente-predicato è una denotazione generico-specifica rappresentata entro la comprensione di un intelligibile cui già inerisca la nota generica pensata nella comprensione del predicato - ad es.  nei giudizi particolari che siano inferenze immediate di giudizi universali aventi a predicato la loro denotazione generica -, la predicazione assegna al soggetto la quantità particolare e al predicato la quantità universale; se l’inerente-predicato è una denotazione generico-specifica rappresentata immanente nella comprensione di un intelligibile già denotata solo dallo specifico del predicato, le quantità del soggetto e del predicato risultano entrambe  particolari; se l’inerente-predicato ha una comprensione nessuna nota della quale compare nella comprensione del soggetto, il giudizio negativo che ne risulta attribuisce al soggetto e al predicato quantità universale; se l’inerente-predicato ha come sua comprensione una nota o generica o specifica rappresentata però nei rapporti necessari che la vincolano rispettivamente al suo specifico o al suo generico, la predicazione risulta negativa se nella comprensione del soggetto mancano rispettivamente il generico o lo specifico del predicato, e assegna al soggetto e al predicato una quantità rispettivamente

[pag.145 F2]

totale e parziale nel caso che il predicato sia il generico come necessariamente affetto da tutti i suoi specifici, una quantitativa ((??))rspettivamente parziale e totale nel caso che il predicato esprima uno specifico, una quantità particolare nel caso che il predicato esprima il generico come necessariamente affetto dagli specifici eterogenei dallo specifico del soggetto - diamo per chiarezza otto esempi: per S è P con quantità di S e P totale, “l’uomo è ragionevole “ e “l’uomo non è autotrofo “ o “ l’uomo non è scimmia”; per S è P con quantità totale di S e parziale di P, “l’uomo è mammifero “ e “ l’uomo non è il mammifero “; per S è P con quantità parziale di S e totale di P, “ qualche mammifero è uomo” e “ qualche mammifero non è umano “; per S è P con quantità parziale di S e di P, “ qualche razionale è uomo “ e “ qualche uomo non è qualcuno dei mammiferi “-; di fronte a queste mie osservazioni, che evidentemente si rifanno alla classificazione di Hamilton, cade l’affermazione che il predicato sia quantificato universalmente dai giudizi negativi  e parzialmente dai giudizi affermativi, e d’altra parte non vedo in che cosa i vari casi offendano una struttura ontica degli intelligibili in sé o il primato della qualità sulla quantità, in quanto tutti i casi considerati son il frutto di un’analisi qualificativa  di intelligibili onticamente pensati; quel che interessa piuttosto è considerare le conseguenze di una dottrina del giudizio la quale gli restituisca il primato della rapportazione delle comprensioni sulla relazione delle estensioni: le differenti considerazioni che debbono farsi della quantità del soggetto e del predicato non fanno che mettere in rilievo alcune delle conseguenze che derivano ai termini di un giudizio dal fatto che la predicazione dell’uno all’altro consiste essenzialmente nella concentrazione di energia attentiva su una o più note della comprensione del termine soggetto analiticamente scomposta: a seconda che la denotazione rilevata sia o generica o specifica o generica specificamente definita la quantità dei termini riceve l’una o l’altra delle sue modalità; ora, il primato che nella predicazione del giudizio categorico assume il rapporto delle comprensioni dei due termini se da un lato avvia a concepire la predicazione anzitutto  come inerenza del predicato nel soggetto in quanto nota denotante una comprensione, dall’altro rivela che il pensiero non è totalmente libero nell’astrazione della nota dalla sua comprensione  ma deve tener conto del nesso necessario da cui la nota è legata alle altre, con la conseguenza che la posizione del predicato come intelligibile a se stante è sempre un aspetto più apparente che reale, un fenomeno della forma

[pag.145 F3]

linguistico-verbale del giudizio che uno stato reale dell’intelligibile corrispondente il quale nel pensiero conserva inalterata al di sotto della sua astrazione l’apodittica relazione che l’unifica al resto della comprensione del soggetto; mai, forse, come nella discrezione in cui sembrano porsi le parole del giudizio risulta la fallacia del linguaggio; l’evidenza di ciò si dà quando si passi ad analizzare la nozione di distribuzione: la distribuzione è il rapporto in cui l’intelligibile generico è pensato con ciascuno degli intelligibili che son da esso denotati e che costituiscono la sua estensione, rapporto che dev’essere da parte a tutto, da denotazione in sé a denotazione immanente nell’unità della sua comprensione; essa dunque non è altro che la rappresentazione che il pensiero si dà di un generico in quanto nota immanente nella comprensione di ciascuno degli intelligibili che lo comprendono; un intelligibile generico se rappresentato nella sua distribuzione è distribuito, se rappresentato indipendentemente dalla sua distribuzione si dice indistribuito; il termine-parola indice dell’intelligibile distribuito si dice distributivo, il termine indice dell’intelligibile indistribuito si dice collettivo; le cose di fatto non sono così semplici: in primo luogo, la distinzione  tra il valore distributivo  e il valore collettivo di una medesima parola è limitata alla sfera del linguaggio e non penetra nella sfera della conoscenza per intelligibili; in secondo luogo, la distinzione fra generici distribuiti e generici indistribuiti non è stato presente in atto nella dialettica del pensiero, in quanto non si dà generico  che sia rappresentato in questo suo valore e con questa sua funzione che al tempo stesso non venga rappresentato come nota inerente alla comprensione di ciascuno dei sussunti della sua estensione; ogni generico  in quanto generico si dà al pensiero secondo  la sua distribuzione; ma, in quanto il rapporto di immanenza di una nota  nella sua comprensione  è simultaneamente connessione apodittica della nota con le altre in forza di un vincolo tra la prima e le seconde che non è meramente formale  ma investe la loro rispettiva materia, al rapporto di immanenza  è lecito associarsi con la totalità dei modi materiali che alla nota derivano da tutti i nessi con tutte le note con cui si vincola in ciascuna delle comprensioni sussunte, oppure è lecito associarsi con una parte sola dei modi materiali secondo cui la nota dev’essere pensata in funzione di uno solo o di alcuni soltanto fra i nessi con le altre note delle varie comprensioni; si ha quindi il diritto di parlare non dell’esistenza o

[pag.145 F4]

inesistenza di una distribuzione, ma di due distribuzioni diverse, una distribuzione assoluta  e una distribuzione relativa dello stesso concetto generico; la definizione di questa o quella fra le due è apoditticamente posta dal rapporto predicativo: se il predicato è una nota rappresentata nella comprensione del soggetto secondo tutti i modi con cui le restanti note del soggetto ne affettano la materia, il che si dà quando il predicato è nota generica della comprensione del soggetto, il soggetto è assolutamente distribuito, ma non lo è il predicato in quanto note, altre da quelle della comprensione del soggetto, ne stabiliscono in altro modo la materia; se il predicato è una nota del soggetto che riceve la sua modalità qualitativa solo dalle restanti note della comprensione del soggetto, il che si dà quando il predicato è lo specifico del generico del soggetto, si ha la distribuzione assoluta del soggetto e del predicato; se il predicato è una nota che trae il suo essere qualitativo solo dalla denotazione generico-specifica del soggetto, la distribuzione assoluta si dà solo per il predicato, non per il soggetto la cui denotazione generico-specifica  si vincola a note che sono altre da quella del predicato; e così via; ora, la definizione  dell’assolutezza o relatività della distribuzione di un intelligibile, che è fatto eminentemente qualitativo, fonda la definizione della quantità dello stesso intelligibile di cui rivela il sostrato qualitativo; d’altro canto, il primato assegnato al rapporto delle comprensioni dei termini dei giudizi permette di rendersi conto  di tutte le implicanze  del principio primo del sillogismo, il cosiddetto dictum de omni et nullo; Aristotele lo enuncia in vari modi: “Quando un intelligibile sia predicato ad un altro come a un soggetto, tutto quanto si dice sul predicato, sarà detto anche sul soggetto (Cat., 1 b. 10 sgg.)”; “ l’essere un intelligibile nella totalità di un intelligibile altro da esso e l’essere l’un intelligibile predicato alla totalità dell’altro sono la stessa cosa; ma diciamo che si dà la predicazione alla totalità, quando non sia dato cogliere alcuno degli intelligibili del soggetto del quale  non possa esser detto l’altro intelligibile; lo stesso vale se diciamo che non si dà la predicazione a nulla (di un soggetto)” (An. Pr. 24 b  26 sgg.); “ Quando tre termini stanno fra loro in modo che l’ultimo sia nella totalità del medio e il medio sia o non sia nella totalità del primo, necessariamente gli estremi costituiscono un sillogismo perfetto “(An. Pr. 25 b 32 sgg.);




Precedente - Successivo

Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText

Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on Tablet PC
IntraText® (V89) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2007. Content in this page is licensed under a Creative Commons License