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Giordano Bruno Cavagna (n. 1921 - m.1966) Metaf. class. e metaf. cristiana IntraText CT - Lettura del testo |
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[pag.147 F1] attribuendo alla formula l’intendimento di trattare le “notae” e le “res “ come connotazioni che sono rappresentate una tantum dal pensiero e non possono venir dal pensiero ripetute tante volte quante sono gli intelligibili aventi nella propria connotazione la connotazione della “nota” o della “res”, e la seconda obiezione avrebbe ragione in quel che pretende sostenere solo se la contemplazione di un intelligibile come inerente alla connotazione di un altro non avesse per il pensiero alcun’altra costituente all’infuori del mero rapporto di parte a tutto o di connotante a connotazione tra il primo e il secondo dei due intelligibili; in altri termini la prima obiezione se nega al principio qualitativo l’attitudine ad albergare in sé la presa in considerazione delle estensioni e delle quantità dei termini, perché come a quello che considera solo delle connotazioni che coincidono con un unico intelligibile, sicché il suo enunciato sarebbe valido solo per sillogismi che affermando che S è P fondano la validità del rapporto sull’inerenza di P in M e di M in P in quanto enti unitari immanenti in enti unitari, il che non potrà mai esser dato perché almeno due dei termini, P ed M, sono sempre ripetuti tante volte quanti sono gli intelligibili delle loro rispettive classi, ed anche l’altro S non è ripetuto tante volte quanti sono gli intelligibili della sua classe se non nel caso che S sia un intelligibile assolutamente singolo, distorce il principio stesso facendogli dire quel che non intende dire, perché è evidente che se l’intelligibile A è “nota” di una “res” B perché è “nota” di una “ nota notae “ della “res” B, il fatto descritto si ripeterà tante volte quante volte il pensiero è tenuto a pensare B nella cui C si dà A, nel senso che se “il mammifero è animale perché vertebrato in forza dell’immanenza della nota animale nel vertebrato che è nota del mammifero, il pensiero non può prendersi il lusso di pensare una sola volta il rapporto, come le parole che l’enunciano potrebbero far credere, ma è tenuto a ripeterlo tante volte quante volte esso pensa il mammifero entro le connotazioni di cui il mammifero è nota; la seconda obiezione, se pretende che il principio qualitativo non sia in grado di fornire nessun appiglio alla definizione dei rapporti tra le estensioni dei termini, procede storcendo il principio stesso col fargli dire che sarebbe sufficiente trovare nella connotazione di un intelligibile una nota e nella connotazione di questa un’altra nota per poter affermare inerente quest’ultima entro la prima e per poter quindi muovere da questa inerenza per trattare tutti gli [pag.147 F2] intelligibili che sono conclassari di ciascuno dei tre termini nello stesso modo con cui son trattati i singoli intelligibili, usati come termini, entro il sillogismo, il che il ”nota notae” non dice né esplicitamente né implicitamente, perché è evidente che esso tien conto del fatto che, perché P sia trattato come nota non solo di M ma anche di tutti gli intelligibili M1 M2 M3...Mn che hanno M a nota e perché P sia trattato come nota non solo di S ma anche di tutti gli intelligibili S1 S2 S3...Sn che hanno S a loro nota, è necessario che i rapporti P-M1, P-M2 ecc., P-S1, P-S2 ecc: verifichino le stesse strutture che sono caratteristiche rispettivamente del rapporto P-M e del rapporto P-S; ma le due stesse obiezioni, se si limitano ad affermare che il principio qualitativo del sillogismo è parziale e insufficiente finché resta aderente alla formulazione kantiana, hanno ragione: non basta affermare che il predicato spetta di diritto al soggetto ogniqualvolta è la rappresentazione di una connotante una connotazione a sua volta connotante la connotazione del soggetto, o che il predicato non spetta di diritto al soggetto ogniqualvolta è la rappresentazione o di un intelligibile contraddittorio a una connotazione che è connotante la connotazione del soggetto, e come tale impossibilitato a porsi come connotante la prima connotazione o di un intelligibile connotante una connotazione contraddittoria e impossibilitata a porsi come nota della connotazione del soggetto, per aver chiara e completa la condizione di tutti i sillogismi, giacché l’enunciato è principio di sillogismi in Barbara, Celarent, Camestres, i quali però abbiano a soggetto un intelligibile assolutamente singolare, cioè a premessa minore e conclusione giudizi individuali, ma non può essere principio per tutte le altre forme di sillogismi; se si parte dalla considerazione del sillogismo come rapporto di nota a connotazione tra due intelligibili (P ed S) necessitato dal rapporto formalmente identico tra il primo intelligibile e un terzo (P ed M) e il terzo intelligibile e il secondo (M ed S), la stessa considerazione deve porsi a principio di un’altra, che nel rapporto inerenziale le note non si limitano a porsi come mere parti dei tutti delle loro connotazioni, ma acquistano la funzione di principi di intelligibilità nei confronti dei tutti stessi delle loro connotazioni, sicché nell’atto stesso in cui la direzione del pensiero si dà dalla connotazione alla nota come dal tutto alla parte, la dialettica del pensiero inverte la direzione e si dà dalla nota alla connotazione come dal principio alla conseguenza di intelligibilità essendo la prima dialettica nulla di più che una ragion sufficiente della validità della seconda e del suo diritto ad esistere legittimamente; e [pag. 147 F3] poiché, mentre la dialettica dalla connotazione alla nota come dal tutto alla parte è tenuta semplicemente a rispettare i rapporti quantitativo-spaziali ossia le condizioni di validità dell’assioma della parte e del tutto essendole lecito affermare che la nota è parte della connotazione pur che questa sia un’unificazione di distinti eterogenei uno dei quali è la nota, la dialettica dalla nota alla connotazione come dalla ragione al conseguente di intelligibilità è tenuta a definire le modalità del rapporto di cui si serve e quindi a distinguere la nota entro la connotazione non in quanto mero distinto ma in quanto qualitativo intelligibile che entro la connotazione esplica una funzione, o di generico o di specificante, che è mutevole in funzione della differente struttura della connotazione cui inerisce, il primato che la seconda dialettica acquista sulla prima in forza del fine logico-cognitivo che è raggiunto da essa e non dalla prima, impone al pensiero di assumere la nota, ossia il predicato, non come un mero eterogeneo parziale di un tutto, ma come un eterogeneo qualitativo e funzionale, come un intelligibile cioè che si dà altro dagli intelligibili, assieme ai quali costituisce il tutto di una connotazione, non solo dal punto di vista della qualità ma anche dal punto di vista della funzione; il dictum kantiano infatti fonda il suo soggetto “nota notae” su di un rapporto tra due intelligibili che acquista una certa denotazione se considerato dal mero punto di vista quantitativo-geometrico, che presenta invece ben altra denotazione se considerato dal punto di vista quantitativo-funzionale: la predicazione di un intelligibile a una connotazione di cui sia nota è mera affermazione di inerenza dell’uno nell’altra fin che si riguardano le strutture geometriche dei due, diventa invece affermazione di un certo modo qualitativo non appena le strutture geometriche dei due si riducano a semplice delineazione esterna di un rapporto tra qualità l’una delle quali è quel che è non in sé, ma in sé e nei vincoli che la connettono alle altre con cui sussiste nel tutto della sua connotazione, il che è quanto si verifica non appena il rapporto geometrico delle due strutturazioni si fa ragione del rapporto di intelligibilità in cui le due strutture vanno a sistemarsi -siano dati l’intelligibile A la cui connotazione sia A1 A2 A3...An, e l’intelligibile B la cui connotazione sia B1 B2 B3...Bn; sia A2 = B2; se il “nota notae” del dictum kantiano è interpretato come indice del mero [pag.147 F4] rapporto quantitativo-geometrico di parte a tutto tra una nota e la sua connotazione, i giudizi A è A2 e B è B2 null’altro significano se non che il pensiero legittimamente pensa A2 come nota di A e B2 come nota di B in virtù dell’immanenza di A2 e di B2 rispettivamente nei loro tutti A e B; ma se lo stesso “nota notae” è indice della ragione in forza della quale la nota diviene principio di intelligibilità nei confronti della sua connotazione, si ha non solo che i due giudizi debbono significare la legittimità dell’inferenza di un’intelligenza di A e di B rispettivamente da A2 e da B2, ma anche che A2 e B2 debbono essere pensati come principi di intelligibilità fornenti intelligenza non solo per quanto di qualitativo hanno ma anche per quanto di qualitativo loro viene dal nesso che li vincola rispettivamente ad A1 e B1 come specifici a generici, e dal nesso che li vincola rispettivamente ad A3...An e a B3...Bn come generici a specifici; e poiché A1 e B1 debbono essere pensati come identici in forza dell’identità di A2 e di B2, l’intelligibilità che promana da A2 e da B2 nei confronti rispettivamente di A e di B non patisce variazione alcuna fin che l’attenzione del pensiero considera la connotazione di A e di B relativamente ai rapporti rispettivi di A1 con A2 e di B1 con B2, mentre l’intelligibilità di cui essi ((??cui??)) A 2 e B2 son fonti rispettivamente per A e per B non deve essere considerata univoca quando l’attenzione si sposta dalle connotanti generiche alle specifiche delle due connotazioni, perché in questo caso, data l’eterogeneità che pur deve essere postulata fra A3...An e B3...Bn se non si vuole che A e B siano la stessa cosa, la qualificazione operata dai due specifici sui loro generici, dev’essere pensata differente, anche se non risulta chiaramente o meglio direttamente e immediatamente nota al pensiero; di conseguenza, il giudizio A è A2 e il giudizio B è B2 sono identici relativamente alla considerazione quantitativo- geometrica, date l’identità dei rapporti A2 -A e B2- B e l’uguaglianza od omogeneità assoluta di A2 e di B2, in quanto la funzione di intelligibilità di A2, specifico di A1 e generico di A3... An, non può essere materialmente identica alla medesima funzione di B2, specifico di B1 e generico di B3...Bn; l’osservazione condotta sui
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