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Giordano Bruno Cavagna
(n. 1921 - m.1966)
Metaf. class. e metaf. cristiana

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  • Prot. 151 - 200
    • 192
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e da una identica rappresentazione meramente problematica degli intelligibili che vi si succedono, è insieme condizionato da un altro modo dello stesso canone precauzionale in forza del quale il pensiero è costretto a darsi una serie infinita di rappresentazioni ciascuna delle quali coglie l'immanenza di un membro seriale nell'estremo infimo pel medio dell'immanenza del primo in un altro membro seriale e di questo nello stesso estremo, mentre lo schema formale finito dello stesso polisillogismo ha le sue fonti in questa modulazione del canone precauzionale e in una definizione della serie che è posta finita dalla rappresentazione ontica degli intelligibili che la costituiscono. 

  Si offre a questo punto il problema se i tre fattori siano originariamente interdipendenti e vincolati in unità, se cioè per condizione originaria di una dialettica che tragga dalla rappresentazione di una successione seriale di intelligibili le conseguenze operazionali consentite il dictum de omni in formula kantiana lo schema infinito e lo schema finito siano elementi astrattamente disgiunti di un'unica formula operativa cui il pensiero di condizione umana è tenuto ad aderire in ogni applicazione di siffatta dialettica, oppure se gli stessi tre fattori siano originariamente indipendenti e svincolati in dualità, se cioè per le condizioni originarie di siffatta dialettica è dato al pensiero l'arbitrio di valersi del dictum de omni in formula kantiana in due differenti modi in funzione di due differenti strutture della serie e sotto l'impulso di due differenti esigenze; è lecito, infatti, pensare che il canone del dictum de omni  influenzi il pensiero con assoluta incondizionatezza dal modo ontico degli intelligibili in atto e con la spontanea produzione di uno schema polisillogistico infinito il quale, da un lato presupponendo a postulato una serie intelligibile infinitesimale N, N-1, N-2, N-_3,....N-N+1 con un numero infinito di medi tra N e N-N+1, dall'altro scaturendo dall'applicazione al postulato del dictum e del canone precauzionale, faccia di ogni prosillogismo un episillogismo, e che lo stesso canone del dictum, ogniqualvolta al pensiero di condizione umana è imposta dall'ontico intelligibile una serie finita, conduca la dialettica che si dà lecita per questa serie allo schema infinito il quale si offre per dir così come una falsariga su cui vengono scritte le varie operazioni il cui complesso costituisce lo schema formale finito ad episillogismo infimo e prosillogismo sommo assoluti, nel qual caso è offerta per dir così una confluenza tra il canone del dictum lo schema infinito lo schema finito, secondo un rapporto per cui il primo è ragione e condizione di esistenza del secondo e questo del terzo; ma è anche lecito pensare che il canone del dictum entri in azione anzitutto per ciascuna serie


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l'ontico intelligibile dà finita e che dalla successione degli incontri con la corrispettiva delineazione di polisillogismi finiti risulti lo schema formale finito a prosillogismo sommo ed episillogismo infimo assoluti, e che, solo dietro la considerazione che in siffatto schema ogni sillogismo esercita  una finalità di legittimazione delle rappresentazioni che ne discendono e patisce l'azione di tale finalità dalle rappresentazioni sovraordinate, insorga l'esigenza di garantire a tutti i membri l'azione e la passione della finalità legittimatrice, con la conseguenza che lo schema formale vien reso infinito previa l'introduzione a mo' di postulato della serie infinitesimale degli intelligibili problematici, nel qual caso l'immagine da unitaria che era ((si??)) spezza in due e i tre fattori si scindono  in due moduli disgiunti sulla base di un quadro che fa del dictum e dello schema infinito da una parte e del dictum e dello schema finito dall'altro  due disgiunti rapporti irrelati, da condizionante a condizionato e da ragione a conseguenza, ciascuno dei quali trae nascimento da una propria situazione che nulla ha che fare con l'altra, il primo essendo la risultante dell'applicazione meccanica del dictum alla serie ontica, il secondo dell'applicazione finalistica dello stesso dictum a una postulata serie problematica.

 Se la dialettica conosca il primo o il secondo modo di formazione dalla propria formula, e se quindi sia data una sola formula valida, quella finita, di cui l'infinita è una mera condizione astratta, o siano date due formule entrambe valide ma per due condizioni eterogenee, sarebbe dato stabilire solo alla condizione, che qui non si vuole stabilire, di decidere se l'orientamento delle operazioni su intelligibili sia rispettivamente meccanico o finalistico: tuttavia l'assenza di una soluzione della questione non pregiudica la conclusione definitiva che un polisillogismo in generale conosce due schemi, uno infinito in funzione di una serie infinita perché infinitesimale, uno finito in funzione di una serie finita, e che essendo date alla intellezione in atto serie ontiche di intelligibili che sono finite lo schema dei nostri polisillogismi validi e legittimi sono finiti, di una finitezza la cui formula è l'identità fra il numero dei sillogismi membri e il numero degli intelligibili diminuito di due unità. 

 Il pensiero di condizione umana non conosce polisillogismi infiniti, il cui schema infinito è o una mera condizione astratta del finito o un prodotto secondario e derivato, comunque non costituisce la formula per un polisillogismo che il pensiero di condizione umana abbia il diritto di legittimamente costruire.  Resta allora da vedere per quali motivi Kant e quanti lo hanno preceduto hanno individuato nel polisillogismo un apodittico processo all'infinito, una natura infinita di diritto, e insieme hanno attribuito al pensiero il diritto e la necessità di procedere all'infinito nelle catene polisillogistiche secondo una dialettica infinita unicamente ostacolato dal taedium infiniti dello stesso pensiero.  Cominciamo col considerare che cosa consegua al ricondurre il dictum de omni all' estensione o alla comprensione: se, fondando la validità di una predicazione o di una catena di predicazioni sulla sussunzione di un intelligibile o di più intelligibili sotto un unico genere,


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si fa dell'intelligibile sovraordinato il principio della predicazione e quindi si riduce la dialettica del giudizio del sillogismo del polisillogismo a uno spostamento d'attenzione dal sovraordinato al o ai sottoordinati che non è preceduto da nessuna operazione consapevolmente analitica sui sottordinati, la descrizione che si dà dei discorsi del pensiero di condizione umana è necessariamente quella di una pluralità di manovre cui ogni intelligibile, ad eccezione delle specie infime ((intime??)), è sottoposto per far piovere la sua luce su quanti altri intelligibili legittimamente se ne lasciano illuminare; partendo dal presupposto aristotelico-platonico che ogni ontico intelligibile sia un'unità assoluta su cui nessuna funzione scompositrice riesce ad operare in modo diretto e immediato disarticolazioni, da un lato si è costretti ad attribuire la rappresentazione di tipo umano della sfera composita degli intelligibili a un atto di intuizione di qualsiasi tipo che ne fa un possesso automatico, dall'altro si conferisce alla dialettica dal genere alle specie il primato su tutte le altre che sono sue mere applicazioni derivate, con la conseguenza che la riduzione dell'unità di una comprensione alla molteplicità delle sue note appare una pretesa illusoria se la si tratta come il fatto primo che sta all'origine di tutte le dialettiche lecitamente operabili sulla comprensione, e che la sussunzione della specie sotto i suoi generi, generici o specifici, diviene l'effetto di una serie preordinata di fatti che debbono anteriormente essersi verificati, e insieme la condizione della conoscenza analitica delle comprensioni delle specie; ogni predicazione allora è il fatto secondo preceduto solo dall'intuizione della totalità degli intelligibili generici, e il principio dell'intelligenza della comprensione del soggetto, coincidendo l'intelligenza sia con l'illuminazione da parte dei generici predicati sia con l'articolazione di questi entro l'unità altrimenti irriducibile del soggetto, e non con la semplice dichiarazione di immanenza dell'intelligibile predicato nell'intelligibile soggetto né con la mera trasposizione di intelligenza dal predicato al soggetto; ora, il primato della dialettica deduttiva e il presupposto dell'apprendimento per intuizione delle nozioni che consentono la deduzione, se da un lato s'accompagnano alla illiceità dell'analisi diretta della comprensione di una specie e in particolare della specie infima per l'unità assoluta che caratterizza la connotazione e, con ciò, consentono di interpretare come indefinita la sua costruzione per articolazione di eterogenei in rapporto di determinazione, nel senso che la caratterizzano come l'organismo di generici e di specifici il cui numero è definito solo dalla quantità definita delle sue sussunzioni sotto tutti gli intelligibili che sono suoi predicati di diritto, dall'altro limitano il numero delle predicazioni lecite e legittime a un intelligibile sussumendo alla totalità degli intelligibili che acquisiti per intuizione, o per un meccanismo altro dall'analisi del sussumendo, si pongono a generi del sussumendo, con la conseguenza che, il pensiero di condizione umana solo se si trovasse nello stato di completa rappresentazione di tutta la serie discendente degli intelligibili e di apodittica esenzione da errore, godrebbe della certezza di muovere da una predicazione prima e suprema fonte della luce intelligibile prima e inderivata




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