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Giordano Bruno Cavagna (n. 1921 - m.1966) Metaf. class. e metaf. cristiana IntraText CT - Lettura del testo |
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[pag 143 (195 F1/2)] che arricchito di un particolare altro modo non consegue ancora sufficienza ontica se non lasciandosi completare da un ulteriore specifico, e così via sino a quel modo di cui è complemento la differenza specifica del soggetto; ora le due serie di giudizi che sono da toccarsi necessariamente dalla seconda dialettica sono in sé ragioni di intelligibilità del giudizio di immanenza del generico assoluto nella specie infima alla condizione però che per intelligibilità si intenda non tanto l'aumento di conoscenza che alla rappresentazione della specie infima deriva dalla conoscenza piena del generico assoluto e dalla serie successiva delle rappresentazioni delle successive articolazioni degli specifici su di esso, quanto l'esplicitazione dai vincoli mediati e sottaciuti che costituiscono di fatto la connessione di diritto posto fra il generico assoluto e la specie infima: in un certo senso le dialettiche polisillogistiche toccando i singoli aggregati della connotazione della specie infima deducono dal loro concatenamento reciproco la necessità e la legittimità dell'anello tra il generico assoluto e la specie infima; a guardar bene i due polisillogismi, se per intelligibilità si pretende uno sprigionarsi di luce da una certa dialettica che soddisfi a tutte le ignoranze dubbi problemi domande che una connotazione impone a un pensiero di condizione e se per dimostrazione si intende una dialettica che al suo ultimo operato dia tale intelligibilità, ci si illude perché ben poco si sa, attraverso essa, e della natura del generico assoluto e di quello di ciascun specifico necessario e delle ragioni e condizioni per le quali uno specifico necessario entra in gioco a questo momento dell'articolazione successiva dei componenti e non a quello; ma non basta: il ritenere che la seconda dialettica si spezzi per dir così in due tappe l'una delle quali è costituita dallo spostamento d'attenzione dal generico assoluto alla specie infima, e l'altra dalla serie degli spostamenti d'attenzione che forniscono al primo il diritto ad essere posto, è forse altrettanto illusorio che il farne una sorgente di intelligibilità, nel senso comune e nella speranza comune del termine: si prenda un qualsivoglia giudizio a predicato generico: delle due l'una, o il predicato è in connessione immediata col soggetto o la sua connessione col soggetto è mediata; nel primo caso solo il ricorso alla connotazione del soggetto disarticolata dall'analisi è di fondamento e di ragione al giudizio; se la connessione è mediata, l'ipotesi che la dialettica che da esso deriva insorga dalla necessità di fornire al giudizio una ragion sufficiente di validità e quindi di necessità, costringe a situare il giudizio stesso in due stati l'uno dei quali almeno è problematico e come tale la sua ontica presenza nel pensiero di condizione umana è da verificarsi, sicché qui la si accetta solo come ipotesi conseguente dalla prima: o la predicazione mediata del predicato al soggetto è un ontico di cui è in discussioe la necessità, e allora il giudizio è assertorio, o la stessa predicazione è un dubbio o un'opinione o comunque una rappresentazione di cui il pensiero non ritiene neppur lecito accettarla come ontica, e in questo caso il giudizio è problematico: di fronte a un giudizio siffatto di modo assertorio non resta che costruire l'intera catena [pag 144 (192 F2/3)] delle connessioni immanenti nella connotazione del soggetto o della sua specie infima, nel caso che i due non coincidano, e notare la necessità che vincola il predicato al soggetto pel medio delle connessioni intercedenti che sono necessarie per la necessità dell'ontica rappresentazione della connotazione stessa e che estendono la loro necessità alla predicazione del giudizio fattosi così apodittico; di fronte a un giudizio di identica relazione, ma problematico, la strada da battersi è la stessa, ossia disarticolare la connotazione del soggetto e dalla successione dei nessi immediati inferire la necessità o l'impossibilità della predicazione mediata del giudizio, fattosi in tal modo da problematico o apodittico e quindi assertorio o ((??a??)) falso; ma, se guardiamo bene quest'ultimo processo, forse ci pare abbastanza certo che tutta la descrizione dei due comportamenti sia meno una presupposizione di condizioni che debbono sorreggere la dicotomia della dialettica dimostratrice ((dimostrativa??)), che l'effettiva presa di contatto coll'operare del nostro pensiero; infatti, la predicazione problematica non è né il principio né il termine della dialettica che prenderà poi veste dal polisillogismo, ma ne è l'impulso motore, nel senso che l'incontro con un intelligibile la cui sussunzione sotto gli intelligibili generici di livello superiore o supremo non è certa, null'altro è che la scoperta dell'ignoranza in cui l'intelligibile si trova, e l'incertezza della sussunzione null'altro è che la liceità indifferenziata di qualsivoglia altra sussunzione; da questo stato il pensiero esce per l'unica strada che gli si apre, quella non di dedurre la sussunzione problematica dalle sussunzioni intermedie che evidentemente saranno altrettanto problematiche della prima, ma di disgregare la sintesi unitaria dell'intelligibile nella serie disarticolata delle sue note e di costruire su questa nuova rappresentazione tutte le dialettiche che essa consente, tra cui non necessariamente compare anche la problematica sussunzione di partenza; dunque, il processo che muove dal giudizio problematico ci rimanda allo stato di un pensiero che dovrebbe enunciare il giudizio assertorio per poi procedere a fondarlo sull'apoditticità; in questo stato dovrebbero esser dati al pensiero un giudizio meramente assertorio e la connotazione disarticolata del soggetto e quindi dovrebbe esser consentito e insieme imposto allo stesso pensiero di ricostruire tutte quelle articolazioni di cui la predicazione dell'assertorio è una conseguenza necessaria; di fatto però tale "teoria" o visione dei giochi del pensiero non offre nessuna ragione sufficiente per la quale al pensiero sia dato il diritto di formulare la predicazione in modo né apodittico né problematico, anzi sotteraneamente si presuppone per il pensiero uno stato di contradditorietà nel quale egli non dovrebbe possedere nessuna legittima rappresentazione che fondi l'immanenza del predicato nel soggetto, e perciò dovrebbe procedere alla formulazione problematica, e insieme dovrebbe possedere ragioni sufficienti a stabilire che l'immanenza è data al difuori dalla nozione della comprensione disarticolata del soggetto e quindi al di là dell'apoditticità, ma fuori dell'incertezza: è vero che la contradditorietà verrebbe meno se fosse lecito al pensiero cogliere per un atto parziale e limitato di analisi nel soggetto o meglio
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