Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText
Giordano Bruno Cavagna
(n. 1921 - m.1966)
Metaf. class. e metaf. cristiana

IntraText CT - Lettura del testo

  • Prot. 151 - 200
    • 198
Precedente - Successivo

Clicca qui per attivare i link alle concordanze

- 152 -


[pag 152 (198 F1/2)]

 Nella sua purezza formale un giudizio categorico è la dialettica dell'attenzione da una cognizione totale alla cognizione di una parte del tutto nel tutto.

 Quest'operazione trascina seco alcuni modi nuovi di interpretare e valutare le due cognizioni su cui l'attenzione si è posata: in primo luogo che il noto parziale, il predicato dell'espressione verbale del giudizio, è parte del tutto e come tale gli appartiene, sicché se per un qualsiasi motivo venga astratto e pensato di per sé come un tutto su cui si opera una dialettica analoga alla precedente, non per questo esso e le sue parti cessano di appartenere al tutto in cui son state rilevate; in secondo luogo che il noto parziale o predicato del giudizio offre certamente un arricchimento della conoscenza del tutto cui appartiene senza che per altro questo suo apporto debba essere interpretato come una facoltà attiva, in quanto la funzione di intelligenza che esso esplica è per dir così meccanicamente conseguente alla sua appartenenza al tutto, sicché è arbitrario caricarlo di una potenza o energia intelligibile che si scaricherebbe entro l'ambito del soggetto; in terzo luogo che, se è evidente che il noto parziale o predicato, una volta astratto dal tutto cui appartiene, gode di una pensabilità il cui diritto è da inferirsi dalla pensabilità del tutto, in primo luogo questa pensabilità è sì un'esistenza e un diritto ad esistere ma nell'ambito e in relazione al pensiero, è dunque un'esistenza relativa, e il suo diritto è un diritto che il pensiero ((che??)) ricava dai suoi modi di essere e dalle condizioni del suo operare, in secondo luogo la stessa pensabilità non è per nulla un'azione, una funzione attiva esplicata per dir così dalla rappresentazione totale sulla sua porzione, ma la semplice conseguenza dell'appartenenza di questa a quella.

 Se tra la verità formale e la verità materiale del nostro pensare si inserisce una perfetta identità, saremmo senz'altro costretti a concludere che qualsivoglia rappresentazione riproduttiva dell'ontico in sé e strutturata nei modi in cui deve trovarsi un noto per farsi soggetto di un giudizio categorico deve necessariamente esser principio di un giudizio categorico in cui le sue componenti debbon far da predicato, e, per converso, che qualsiasi giudizio categorico deve esclusivamente riprodurre uno stato dell'ontico in sé i cui modi sono perfettamente riprodotti dal giudizio: se cioè il pensiero fosse condizionato ad assumere univocamente come totalità unitaria da disarticolare in predicati la rappresentazione che corrisponde a un ontico in sé che è un tutto di cui altri ontici in sé sono parti, dovremmo ritrovare nel pensiero solo giudizi categorici che a soggetto han preso rappresentazioni di siffatti ontici e saremmo certi che qualunque inferenza dell'ontico in sé dal giudizio sarebbe fondata; solo in questo caso la definizione formale del giudizio categorico verrebbe sostanzialmente a coincidere o con quella aristotelica o con quella kantiana, e sarebbe assicurato che gli unici giudizi categorici alberganti nel pensiero hanno a loro soggetto una percezione individuale o una rappresentazione predicabile di queste e che tutte le modalità del giudizio categorico sono altrettanti principi di interpretazione e conoscenza dell'ontico in sé.


- 153 -


[pag 153((198 F2/3)]

 Ma alcune considerazioni ci spingono a fare una netta distinzione fra le due definizioni e a conservare solo quella formale. Consideriamo i tre concetti "uomo, presidente della Repubblica, Segni ": per la definizione aristotelica del giudizio categorico come di rapporto fra un concetto-soggetto che con la propria esistenza fonda l'esistenza del predicato e un concetto-predicato che con la rappresentazione delle sue note dà intelligibilità al soggetto grazie alla propria immanenza nella connotazione di questo, dovrebbe essere consentito un unico giudizio in cui il concetto specie infima è soggetto e uno degli altri due predicato; eppure io intendo osservare il giudizio " il presidente della repubblica è Segni ": in esso non si ha, come a prima vista sembra, uno scambio nell'ordine tradizionale dovuto alle parole dalla loro funzione, ma il concetto generico è assunto a soggetto e la specie infima vi è affermata immanente nella connotazione del suo genere; i due giudizi " Segni è il presidente della Repubblica" e " il presidente della Repubblica è Segni " non sono equivalenti, come dimostra la differente carica attitudinale che li riempie e che fa del primo un movimento di pensiero che dalla concentrazione dell'energia attentiva sulla specie infima come su rappresentazione ignorata in alcune sue denotanti e immersa nel desiderio di liberarla da tale carica di indeterminatezza si sposta alla presa di coscienza dell'immanenza del genere nella sua connotazione come di via sufficiente ad annullare almeno in parte l'area di ignoranza, mentre del secondo fa una dialettica opposta che dall'ignoranza di alcune determinazioni del genere giunge al superamento almeno parziale dell'indeterminazione in forza dell'immanenza della specie infima nella sua connotazione; è vero che qui conviene non lasciarsi trarre in inganno da uno dei tanti tranelli del linguaggio, perché il segno verbale di "presidente della Repubblica" è ambiguo come quello che indica un genere e insieme una delle specie infime a questo sottordinate e indicate non nella loro totale connotazione ma in quella loro denotante che qui è assunta come privilegiata; ma è altrettanto vero che, anche riconosciuta la validità della precisazione, qualcosa di inadeguato dalla definizione aristotelica resta: in questo caso, infatti, non è più lecito parlare di genere e di specie, perché il pensiero corre solo attraverso le specie infime, ma il modo con cui le specie infime son riguardate non è lo stesso, perché nel primo giudizio la totalità della specie infima è rappresentata in un modo, nel secondo in un altro; il che comporta che il pensiero non sia condizionato dalla struttura della rappresentazione della specie infima in quanto riproduttiva del reale, ma dalla struttura della stessa rappresentazione in quanto immersa in una condizione umana; è vero che la mia distinzione può essere ridotta alla varietà che separa una conoscenza in genere da una conoscenza scientifica, ma è altrettanto vero che l'ascesa dalla prima alla seconda non è tanto automatica e univocamente determinata come la definizione aristotelica vorrebbe far credere, e che nel passaggio dall'una all'altra si inserisce una certa descrizione dei modi dell'ontico in sé la cui inferenza dallo stesso giudizio categorico è da dimostrarsi; comunque, quel che a proposito dei due giudizi si vuol rilevare è che,


- 154 -


[pag 154 (198 F3/4)]

sia pure subordinatamente a un certo modo della sua condizione umana, il pensiero è capace di spostare indifferentemente il senso e la valutazione della totalità dalla connotazione di una rappresentazione a quella di un altra: infatti, se alla locuzione di "presidente della repubblica" è lasciata la sua carica generica, il pensiero che la fa soggetto ne pensa il concetto come un'area ben più estesa di quella del concetto di Segni, mentre se alla stessa locuzione è attribuita una carica specifica, il farla soggetto significa porre la connotazione del suo concetto coestensiva con quella del concetto di Segni affidando alle denotanti determinate di questa il compito di andare a riempire l'indeterminatezza delle sue denotanti ignorate. E ancora: se si parte dalla definizione aristotelica, la considerazione che la liceità di predicare un intelligibile a un altro sta tutta nell'immanenza che l'analisi scopre del primo nel secondo impone l'impossibilità di predicare una specie a un genere, perché questo dovrebbe dare l'esistenza all'altro mediante fattori che esso è capace di assumere ma di fatto non possiede, sicché si avrebbe l'assurdo che un ontico che dovrebbe essere ragion sufficiente di un altro non verifica i modi generici della ragion sufficiente in generale; di qui la necessità di costruire nella forma negativa ogni giudizio categorico il cui soggetto sia un genere e il cui predicato una specie del soggetto; ma per la stessa logica aristotelica tutti i giudizi negativi sono convertibili sempliciter, sicché il nostro giudizio negativo dovrebbe convertirsi apoditticamente in un giudizio in cui il genere è negato alla sua specie e con ciò dichiarato non immanente nella connotazione della sua specie; è lecito obiettare che il giudizio negativo di partenza non è legittimo in quanto la sua vera natura è quella di un categorico affermativo particolare convertibile di diritto in un universale affermativo; ma, a parte il fatto che sotto tale forma il soggetto del giudizio categorico ha in fondo cambiato di funzione perché da segno di un genere è passato a segno delle specie di questo genere indicate con un rilievo autonomastico del loro denotante generico, io non riesco a trovare per l'anteposizione della legittimità del particolare affermativo altra ragione che non sia quella di elidere l'assurdo dell'impossibilità di inferire dal negativo un negativo impossibile; è certo, dunque, che accettati tutti i presupposti aristotelici, il giudizio A non è B in cui B è specie di A è valido a tutti gli effetti tranne quello dell'impossibilità materiale e della necessità formale del suo reciproco semplice; dal che non intendiamo trarre altra conseguenza se non che la definizione del giudizio categorico che attribuisce al soggetto la funzione di dare esistenza al predicato comporta la genesi di giudizi del tipo A non è B con B specie di A che offendono a un certo numero di altre leggi del pensiero; non essendo nostra intenzione qui affrontare la soluzione del problema del giudizio con predicato specie del soggetto, ci limitiamo ad affermare che l'intera questione deve essere presa in esame partendo non dai presupposti aristotelici che non ne darebbero soluzione, ma da una visione più ampia del giudizio categorico.Ritorniamo ai due risultati che abbiam trovato col discorso sul polisillogismo, che cioè la razionalità del pensiero di condizione umana è più ampia




Precedente - Successivo

Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText

Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on Tablet PC
IntraText® (V89) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2007. Content in this page is licensed under a Creative Commons License