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Giordano Bruno Cavagna (n. 1921 - m.1966) Metaf. class. e metaf. cristiana IntraText CT - Lettura del testo |
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[pag 156 (199 F2/3)] è il principio della genesi degli intelligibili per il pensiero, mentre a una negazione della stessa coincidenza corrispondono la netta discrezione tra esistere in sé e liceità di pensare e tra il razionale in sé e la sua intellezione interpretativa. Ora, il pensiero di condizione umana perché abbia il diritto di ritrovare in se stesso la perfetta coincidenza tra i suoi moti liberi e i moti determinati dalla natura delle rappresentazioni attraverso le quali si sposta, è tenuto anzitutto a dimostrare che nessuna interpretazione è da preordinarsi e presupporsi alle sue dialettiche, che cioè i suoi discorsi che pretendono dialettizzare concetti e giudizi con perfetta equivalenza tra rappresentazioni in sé e rappresentazioni valutate e giudicate dallo stesso pensiero non sono mai preceduti da nessun criterio intorno al reale, la qual dimostrazione non mi pare che nessuna teoria del pensiero e dell'ontico in sé sia capace di dare. Appunto per questa incapacità riteniamo di avere il diritto di distinguere tra operazioni dialettiche il cui principio e fondamento si ritrovano tutti nel pensiero e nel suo arbitrio ed operazioni dialettiche il cui principio e fondamento stanno anche al di fuori e indipendentemente dal pensiero; e su questa distinzione fondiamo le altre, sia quella che disgiunge la razionalità dell'ontico in sé dalla razionalità del pensiero di condizione umana;
[pag 157 (199 F2/3)] condizione umana sia quella che separa la conoscenza dalla scienza sia quella che differenzia il soggettivo dall'oggettivo: la razionalità del pensiero è uno schematismo di spostamenti d'attenzione unicamente condizionato dai modi attribuiti alle rappresentazioni dall'una all'altra delle quali l'attenzione si sposta secondo lo schema, la razionalità dell'ontico in sé è uno schematismo relazionale immerso in ontici in sé i quali quando sian dati come rappresentazioni al pensiero di condizione umana lo costringono a spostamenti d'attenzione dall'una all'altra rappresentazione vincolati a uno schema prefissato dai modi che ogni rappresentazione possiede di per sé, cosicché né l'una razionalità può dedursi dall'altra, essendo comune ad entrambe la necessità di un univoco schema ed essendo l'una, quella dell'ontico in sé, una razionalità la cui ragion sufficiente il pensiero ritrova in sè per ciò che riguarda lo schema formale in generale e nelle rappresentazioni per ciò che riguarda la loro struttura reciproca in quanto determinata univocamente da tale schema e non da un altro; la conoscenza è un modo dialettico, scelto fra i tanti concessi dallo schematismo formale in dotazione al pensiero, che il pensiero di conoscenza umana adotta previa un'interpretazione delle rappresentazioni che è unidirezionale come quella che muove dalle condizioni in cui lo schema formale pretende di ritrovare le rappresentazioni e si porta alle rappresentazioni per ritrovarvi siffatte condizioni, mentre la scienza è ancora uno scegliere un modo dialettico da applicare alle rappresentazioni previo però un moto che è bidirezionale, in quanto parte dai modi richiesti dallo schema e va a cercarli nelle rappresentazioni e insieme parte dai modi delle rappresentazioni e sale verso gli schemi per stabilire la congruenza dei primi coi modi dei secondi e la reale ed effettiva esistenza di questi, con tutto l'implicito che li accompagna, negli altri, sicché il conoscere è una ratio quaerens ens, e la scienza è un ens quaerens rationem per rationem quaerentem ens: la condizione del conoscere è l'effettiva ontità di uno schematismo relazionale nel pensiero e la sua asserita ((??assente??)) congruenza con lo schematismo che si pretende ritrovare nella rappresentazione, la condizione della scienza è la coincidenza di uno schematismo immanente nella rappresentazione con uno schematismo immanente nel pensiero; e da tutto ciò deriva che abbiam diritto di prendere per soggettivo ogni moto dialettico del pensiero che sia incondizionato da parte della rappresentazione, la quale non necessariamente impone al pensiero la valutazione che questo ne fa all'atto di inserirla in un dialettica strutturata da questo o quello schema, mentre dobbiamo prendere per oggettivo quel moto dialettico che almeno in parte è condizionato dalla rappresentazione, nel senso che questa, sia pur interpretata e valutata dal pensiero, manifesta queste componenti che le assegnano un posto nella dialettica strutturata da questo e non da quello schema. Il pensiero di condizione umana si stanzia, quindi, tra lo schema del giudizio categorico e la serie delle rappresentazioni e si dà il compito di distinguervi le rappresentazioni che nello schema assumono di diritto funzione di soggetto da quelle che vi assumono funzione di predicato: tra le prime situa quelle che hanno l'attributo della totalità unitaria; si tratterà poi di trovare [pag 159 (199 F3/4)] il criterio per separare entro il gruppo delle rappresentazioni-soggetto le rappresentazioni cui l'attribuzione di totalità unitaria è affatto soggettiva e deriva loro dall'arbitraria concessione di siffatto attributo da parte del pensiero sulla base di un 'immotivata assegnazione a un certo loro modo del valore di segno dell'attributo, da quelle cui la concessione fa tutt'uno con l'effettiva scoperta entro la loro connotazione della nota di totalità unitaria. Poiché non ci siamo dati il compito di definire l'ontico in sé, o lo abbiamo assunto solo indirettamente attraverso i risultati dell'esame dell'uso delle forme di ragione, qui ci basta riconoscere che al pensiero è sufficiente denotare una rappresentazione come totale e unitaria per riempirla delle funzioni di soggetto del giudizio categorico, indipendentemente dalla funzione che la caratterizza nella sua appartenenza ad altri rapporti. Risulta, infatti, che la dialettica del giudizio categorico, una volta definita nella sua forma pura e una volta condizionata nelle sue applicazioni alla semplice attribuzione di totalità a una rappresentazione che vi deve essere assunta a soggetto, assume un'indipendenza da altre strutture dialettiche molto maggiore di quella che le lasciano altre definizioni. E' evidente, ad esempio, che la logica aristotelica finisce per fare della legittimità del giudizio categorico un effetto e non già un principio del rapporto di genere a specie che viene a instaurarsi tra più intelligibili: muovendo dal presupposto che pensabilità ed esistenza dell'ontico in sé faccian tutt'uno e che la comprensione di una rappresentazione non debba sottrarsi ai principi di identità e di non contraddizione, con l'unica eccezione che l'esenzione da tali leggi riguarda solo il potenziale il quale tuttavia in nessun modo ha i requisiti sufficienti a farsi oggetto di conoscenza, la logica aristotelica installa in tutta la sfera degli intelligibili dei rapporti di genere a specie che data la loro natura di ontico in sé precedono per valore la rappresentazione che al pensiero è lecito avere e con ciò subordina i rapporti da soggetto a predicato ai rapporti da specie a genere, attribuendo sì al giudizio categorico la capacità di scoprirli ma non di porli, con la conseguenza che il rapporto di una predicazione categorica non è che un aspetto secondario del rapporto da specie a genere: in siffatto stato il pensiero godrebbe di una latitudine di giudizi categorici coestensiva di tutti i rapporti da tutto a parte che esso instaurerebbe fra due rappresentazioni, ma vedrebbe di fatto ristretta siffatta latitudine ai due limiti entro cui stanno i giudizi il cui soggetto è una specie e((o??)) il cui predicato un genere del soggetto e fuori dai quali vanno a porsi come illegittimi o falsi o erronei tutti gli altri giudizi il cui predicato non sia un genere del soggetto. Se si guarda a fondo, anche la logica platonica non differisce di gran che da quella aristotelica: da un lato essa assume le rappresentazioni in quanto ordinate in rapporti da genere a specie, identifica questi rapporti come l'immanenza nel genere di una serie di rappresentazioni che son ripetute identiche nella comprensione della specie e, in quanto deve pure riscontrare nella specie un'articolazione più ricca di quella del genere, dall'inettitudine di quel di più qualitativo
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