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Giordano Bruno Cavagna (n. 1921 - m.1966) Metaf. class. e metaf. cristiana IntraText CT - Lettura del testo |
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[pag 221(217 BIS F4/ 218)] denotanti i poli della dialettica e condizionanti la loro assunzione a termini di una dialettica che è intelligibile, dall'altro ha una sua struttura formale la cui necessità è inferita dalla necessità della materia e della forma del rapporto in cui l'un estremo dialettizzato si lega all'altro, dall’altro infine è condizione necessaria e sufficiente della ripetizione dello stesso intelligibile, e quindi di se stessa, che non è mai ragion sufficiente di una sua moltiplicazione per simultaneità spaziale, e non necessita per porsi ad ontico di altra dialettica e quindi di intelligibili altri da quelli del binomio che la costituiscono; dunque, l'autocoscienza è la stessa cosa che l'intelligibile in quanto dialettizzato, e se questo è trattato come tale, ossia come un vero e valido formale, per la necessità che costituisce esso e la sua dialettica, e per la coessenzialità di questa con la sua natura o meglio con l'ontità di esso come ontico assolutizzabile, anche la sua autocoscienza dovrà godere di una necessità in forza della sua coessenzialità con la natura dell'intelligibile; è dato ritenere che l'autocoscienza di un intelligibile sia qualcosa di più e di diverso, che sia un ontico, sovraggiunto a un altro fatto in forza di esso intelligibile che è rappresentazione, il quale anzitutto sarebbe un dato intuitivo e immediato che nulla avrebbe che fare con una dialettica, il quale poi offrirebbe la nozione di tipo intuitivo e quindi essenzialmente inanalizzabile dell'appartenenza dell’intelligibile all'ontico del pensiero o di un rapporto tra il primo e il secondo che è da un in sé a una sua modificazione, il quale infine dalla perenne identità del pensiero con se stesso e dalla sua essenza funzionale di ridurre a rappresentazione quanto in esso si dà come sua modificazione arricchita di autocoscienza inferirebbe l'attitudine dell'intelligibile rappresentato ad esser sempre "sentito" come un appartenente a un identico che è tale, si sente tale e sente suo quanto lo modifica secondo un'intuizione di possesso che permane identica e secondo un'attitudine del posseduto ad esser sentito come suo; non intendo negare che quanto ho detto dell'autocoscienza di un intelligibile non è esaustivo dell'ontico che è intelligibile e insieme autocosciente se non altro perché non ha tenuto del fatto della concentrazione d'attenzione tutto il conto che se ne doveva; ma questo tentativo di descrizione dell'autocoscienza che è immediatamente qui sopra, non soddisfa come non soddisfa il modo comune di dire che l'autocoscienza o del pensiero o di ciò che è nel pensiero è l'attributo di un ontico che è e sa di essere, che è in un modo e sa di essere nel modo in cui è, per cui l'autocoscienza sarebbe l'attitudine di una certa parte dell'ontità che potrebbe essere anche la totalità dell'ontico a darsi secondo i due modi equazionati dell'in sé e di una sua ripetizione operata da se stesso sia pure in virtù di una forza che gli viene da quell'altro che è il pensiero; io riconosco la natura intuitiva dell'autocoscienza, se per esso s'intende un'immediatezza in quanto ontico la cui materia ha la sua ragion d'essere in sé, e non è inferita da altro, e riconosco che accanto a questa intuitività s'avverte nell'autocoscienza le due qualità di costituirsi sempre in sintesi con un altro la cui materia ha la ragion d'essere o da sé o da altro e la cui unità con l'autocoscienza dà alla sua materia
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