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Giordano Bruno Cavagna
(n. 1921 - m.1966)
Metaf. class. e metaf. cristiana

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  • Prot. 201 - 251
    • 222
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[pag 235 (222 F1/2)]

è peculiare dell'autocoscienza; non si vuole qui trarre tutte le conseguenze che su di un piano ontologico o metafisico siffatta considerazione comporta, e precisamente quella che l'intollerabilità dell'attributo di accidentale da parte dell'autocoscienza ha forse il diritto di essere dedotta non dai semplici limiti in cui una dottrina della logica deve chiudersi, ma anche dalla natura stessa di un intelligibile in sé in generale, perché questa liceità non intendo qui né criticarla né approfondirla, si vuole solo rilevare che per l'ontità di questo secondo intelligibile inautocosciente, che pure un'autocoscienza in quanto accidente deve presupporre pena l'invalidità materiale di tutte le dialettiche cui s'accompagna, le difficoltà finiscono per diventare aporie: e non tanto per il rasoio di Ockham, quanto perché neppure per esso l'autocoscienza sarebbe totalmente accidentale ed estranea alla sua essenza: esso, infatti, dovrebbe avere come sua struttura non solo la totalità dei rapporti che montano la sua comprensione, ma anche la totalità di quelli che lo vincolano se non altro ai suoi cogeneri, e ciascuno degli ontici rapportati dovrebbe sussistere in simultaneità con tutti gli altri cui è direttamente  o indirettamente connesso, che è appunto lo stato a cui la dottrina aristotelica riconduce un intelligibile quando ne fa un pensato di Dio; l'aggiunta dell'autocoscienza dovrebbe lasciare quest'essenza inalterata se davvero è un accidente, e non provocarvi quelle tali modificazioni che sono, ad esempio, l'assenza di una vera e propria simultaneità degli autocoscienti dialettizzati, la riduzione di un intelligibile alle dialettiche che ne costituiscono la comprensione con esclusione di quante, al pari di quelle con i cogeneri, non sono assolutamente necessarie per una dialettica che gli dia ontità autocosciente, la stessa riduzione delle dialettiche della sua comprensione, ecc.; e con ciò l'accidentalità dell'autocoscienza non regge neppure se ricondotta a quello stato ontico che dovrebbe consentirla; per tutto questo e per le altre considerazioni su fatte l'autocoscienza è da assumersi come un essenziale dell'intelligibile in genere; che se questa essenzialità dell'autocoscienza porta una dottina della logica a negare alla stessa la natura di attributo essenziale a un pensiero come ontico in sé e ad escludere la convertibilità di pensiero ed autocoscienza, senza tuttavia che la negazione sia ragione sufficiente della negazione di ontità a un pensiero in quanto ontico in genere, resta pur sempre da sottolineare i motivi per cui il pensiero di condizione umana separa nell'intelligibile autocosciente la denotante dell'autocoscienza dal resto della comprensione e li distingue in modo da finire per trattare la prima come un inessenziale rispetto al secondo: i fenomeni che sono elevabili a ragioni di una distinzione della natura delle denotanti dell'autocoscienza dalla natura del resto della comprensione su cui s'articola, non mancano e su di essi varrebbe la pena in altra sede di condurre ricerche intorno alla natura del pensiero le quali sarebbero forse più certe di quanto non lo sia l'ipotesi che qui faccio della funzione di essi di principi dell'autocoscienza come accidentale: a) al pensiero è lecito spostare la sua attenzione dall'intera classe delle sue dialettiche riferite a un intelligibile e fissate in un certo momento, cioè colte negli spostamenti d'attenzione


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[pag 236 (222 F2 /3)]

che avvengono o hanno la liceità di avvenire legittimamente senza mutamenti quantitativi e qualitativi e con ciò identici a quelli di cui son ripetizione se il pensiero si desse il compito di ripetere tutte le sue dialettiche secondo una forma del tipo A=A, secondo un'equazione inutile, perché tale è l'ontità di quel che chiamiamo un certo momento o una certa fase dello stato dialettico di condizione umana, alla classe delle dialettiche che, riferite a un intelligibile, sarebbero lecite se si presupponessero compiuti tutti gli spostamenti d'attenzione legittimi che la materia dell'intelligibile pone necessariamente; questa dialettica che da un ontico a un problematico, non sembra che abbia mai il diritto di cogliere in assolute identità i due poli dello spostamento d'attenzione, perché, anche ammesso e non concesso che la classe delle dialettiche che sono per un pensiero di condizione umana sia l'identico di quella delle dialettiche che sono per la materia dell'intelligibile come pretenderebbe uno Hegel, la prima sarebbe sempre l'ultima di una serie di fasi di stati dialettici di condizione umana ciascuna delle quali sarebbe altra dalla classe delle dialettiche per la materia dell'intelligibile, nessuna delle quali sarebbe a questa identica ad eccezione dell'ultima, il complesso intero o serie delle quali sarebbe un tutt'uno per il nesso dialettico che le unifica secondo modi ontici in sé e non per un pensiero di condizione umana e farebbe tutt'uno  o meglio sarebbe  la stessa cosa della serie degli sforzi attraverso cui l'intelligibile deve necessariamente passare per una presa di contatto con se stesso, godendo in tal modo di validità ontologica e ponendosi come un in sé e per sé e non come un ontico per un pensiero di condizione umana; anche sotto questo punto di vista la serie delle dialettiche di condizione umana sarebbe tuttavia l'identico e l'unico con la serie non delle dialettiche per la materia dell'intelligibile, ma di alcune dialettiche attuate da questo sulla propria materia, e confrontata con la prima rivelerebbe la differenza di esser la conseguenza dal suo principio che è l'intelligibile in parola pel medio di farsi che son altre dalle dialettiche per la materia di questo e quindi di non essere quel che è la classe delle dialettiche per la materia dell'intelligibile, una conseguenza che dal suo principio, la materia, non è legittimamente mediata da nulla, e che, se trova illegittima l'assenza totale di mediazioni tra sé e il suo principio, ricava la ragione di queste non dal suo principio ma dalle condizioni in cui questo cade quando voglia conoscere la propria materia; che se la differenza non scompare neppure in una descrizione delle cose che faccia suo principio non queste ma il loro stato in un pensiero di condizione umana, a maggior ragione resta in una dottrina della logica che assuma le dialettiche di condizione umana per quel che sono a una riflessione diciamo così di primo contatto, ossia per dialettiche che in ogni fase della loro totalità si danno altre dalle dialettiche delle fasi anteriori o successive, senza che ai nessi fra ogni fase si pretenda attribuire una necessità che è di condizione umana e non di condizione universale: in questo caso, infatti, la serie delle dialettiche per condizione umana risulta un diverso, nella materia e nella forma, nel numero e nel modo ontico degli ontici che chiamiamo materia e forma,


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[pag 237 (222 F3/4)]

dalla serie delle dialettiche per la materia di un intelligibile, serie la cui problematicità sembra legittimamente traducibile in onticità per l'impossibilità in cui la concentrazione d'attenzione sulla prima si trova di dedurre i mutamenti quantitativi e qualitativi che l'attendono dalla serie stessa in quanto data ad un pensiero di condizione umana e non dalla serie stessa in quanto riproduttiva della serie  per materia dell'intelligibile: in altre parole più semplici, la differenza che deve esser accettata a priori fra la materia e la forma del complesso delle dialettiche di condizione umana, in una certa sua fase, e il complesso delle dialettiche che costituiscono la materia di un intelligibile in sé per l'attributo di modificabilità, di divenire che un pensiero di condizione umana non ha il diritto di togliere al primo e di attribuire al secondo, e il fatto che questo si ponga come un ontico problematico di fatto, ma non di diritto, perché altrimenti i mutamenti in cui consiste il divenire di fatto del primo complesso non avrebbero ragione o ne avrebbero una soltanto parziale, hanno la liceità di porsi a ragioni di una distinzione fra la materia dialettica di un intelligibile che sia biffa di un quadro dialettico che è in divenire, e la materia dello stesso intelligibile in quanto biffa di un quadro dialettico che è fuori del divenire;indipendentemente dal fatto che i mutamenti abbiano l'una o l'altra natura, sta che sono e che la loro ragione non è dalla materia dell'intelligibile in quanto momento di una totalità dialettica immutabile, ma dalla materia dello stesso intelligibile in quanto membro di una totalità dialettica mutevole; ora, quest'ultima materia non ha il diritto di porsi a ragione del divenire di ciò di cui fa parte che poi è il suo stesso divenire, in quel che essa è o pretende di essere, nella sua identità cioè con la materia dell'altro intelligibile, quello immutabile, dovrà trovarlo in altro da questa; ma di altro nella materia di un intelligibile mutevole da ciò che in essa si dà di identico con la materia dell'intelligibile immutabile simmetrico non c'è che la denotante dell'autocoscienza di condizione umana; questa, allora, dev'essere un diverso da siffatta materia, come quello che fonda la sua mutevolezza, e poiché la materia dell'intelligibile  che è o pretende di essere identica a quella del suo simmetrico e che fa tutt'uno con le dialettiche in cui è immerso, costituisce l'essenza dell'intelligibile in quanto tale, la denotante dell'autocoscienza in quanto altra da tale materia, sarà inessenziale o essenziale per altro, e con ciò accidentale nella comprensione dell'intelligibile; in sintesi, le dialettiche autocoscienti per un'autocoscienza di condizione umana debbono di diritto assumersi come mutevoli, soggette a cambiamenti negli ontici che le costituiscono, cambiamenti che sono un aumento di questi, ma che hanno anche la liceità di esser giudicati una loro sostituzione o addirittura una loro diminuzione, e, se in ciò che essi pretendono di essere, la riproduzione cioè di un ontico che di per sé è immutabile, debbono essere assunti come immutabili e come principio di dialettiche immutabili, oppure, qualora si voglia elidere il confronto con un altro da essi che è pur sempre problematico, se in ciò che essi pretendono di essere in quanto intelligibili sono immutabili e non hanno la capacità di porsi a principio




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