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Giordano Bruno Cavagna (n. 1921 - m.1966) Metaf. class. e metaf. cristiana IntraText CT - Lettura del testo |
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[pag 245 (225 F1/2)] all'oggettività come modo dell'autocoscienza in genere, che, quando si tratti di un intelligibile, è l'eterogeneità autocosciente di un ontico che è per altro da questo altro, e quindi l’eterogeneità autocosciente fra uno spostamento d'attenzione da uno ad altro ontico, che sono autocoscienti per la stessa eterogeneità autocosciente, e un ontico, il pensiero, che deve essere diverso, tien dietro che il pensiero non debba consistere né in una concentrazione di attenzione né nel conseguente spostamento d'attenzione i quali starebbero tutti dalla parte dell'oggetto e lo costituirebbero, sicché delle due l'una o la dialettica è di per sé uno spostamento d'attenzione per concentrazione d'attenzione, e acquista il ruolo di riproduzione di quel ch'essa è per il sovraggiungersi di un'autocoscienza che è il principio della consapevolezza dell'eterogeneità dell'intelligibile in quanto dialettica dal pensiero, e in questo caso l'intelligibile dovrebbe trarre da sé l'attenzione, sicché si avrebbe l'assurdo che un atto, l'attenzione, che pare coessenziale all'autocoscienza e quindi al pensiero, diverrebbe((ro??)) inessenziale e per di più contrario ad essi, o la dialettica in quanto oggetto che è tale per autocoscienza si manifesta eterogenea dal pensiero per il fatto che essa è il termine passivo dell'attività dell'attenzione che è pensiero, e allora si avrebbe ancora l'assurdo di dover diversificare come due ontici distinti quel che è in realtà ((è??)) un unico ontico perché la dialettica conterrà sì dei passivi rispetto all'attenzione, ma questi sono non la dialettica, ma le ragioni delle sue validità e verità formali e materiali e insieme le biffe su cui s'esercitano i giochi d'attenzione, senza i quali non c'è dialettica, se dunque tutto ciò è, l'inessenzialità non ha il diritto di caratterizzare il rapporto reciproco fra dialettica e autocoscienza e quindi di fondare l'accidentalità di questa -; d) il confronto fra le dialettiche rileva la loro diversità materiale e formale e insieme la diversità strutturale e funzionale degli spostamenti d'attenzione con cui coincidono, ossia sottolinea che questo spostamento d'attenzione è da un intelligibile a un altro come tra due formalmente e funzionalmente diversi e insieme è esso stesso un intelligibile che ha il diritto solo di farsi biffa di un altro spostamento alla condizione di assumere in essa una e non altra forma e funzione, e che sotto questo punto di vista non è posto in equazione con nessun altro spostamento d'attenzione, neppure con se stesso, mentre ogni autocosienza che si dà con una dialettica è sempre equazionabile con qualsiasi altra che si dia con altra dialettica; infatti, essa costituisce certi modi ontici che si ripetono identici qualsivoglia sia la dialettica che essi affettano; di qui, l'eterogeneità irriducibile di dialettica ed autocoscienza, l'inessenzialità di questa rispetto a quella e la sua accidentalità nei suoi confronti - l'argomento varrebbe, se una qualsivoglia dialettica non offrisse una propria intelligibilità distinta dalla materia e articolata su certe forme che si danno identiche in tutte le dialettiche, lo spostamento d'attenzione, la particolare simultaneità per autocoscienza delle due biffe, la reciproca funzionalità di queste rilevata e generata dallo spostamento, il rapporto formale e materiale di esse biffe in quanto apodittico e in quanto ragione necessaria della necessità dello spostamento, la ripetibilità dello spostamento secondo le modalità di una ripetizione [pag 246 (225 F2/3)] che si dia in una sfera di dialettiche intelligibile, la sostituzione nella ripetizione della funzione di biffa di un nuovo spostamento d'attenzione alla funzione meramente dialettica che lo spostamento ha in sé e per sé e la legittimità della ripetizione solo a questa condizione, l'autocoscienza dello spostamento in sé in quanto spostamento e in quanto intelligibile; l'inessenzialità reciproca della dialettica e dell'autocoscienza, una volta eliso il suo fondamento della mutabilità costante e molteplicità irriducibile a classe della prima e della unità e unicità e molteplicità per ripetizione di equazionabili della seconda, dovrebbe ricondursi alla differenza reciproca di tutte le denotanti delle due comprensioni; ma abbiam già visto che una dottrina che si limiti ad esser descrizione dei fenomeni intelligibili assume l'autocoscienza di un intelligibile come lo spostamento d'attenzione in atto che direttamente o indirettamente lo coinvolge secondo una simultaneità delle due biffe estremi dello spostamento, secondo una ripetizione dello spostamento, secondo un rapporto fra il rapporto reciproco delle due biffe e lo spostamento che è da principio a conseguenza per l'ontità e i modi ontici di questo e da conseguenza a principio per l'ontità e i modi ontici della funzionalità reciproca di quelle; che, se non è lecito parlare di un'identificazione delle due, neppure è lecito parlare di una loro discrezione assoluta -; e) l'autocoscienza è un modo che non è solo delle dialettiche, ma anche degli altri ontici che per questa concomitanza son detti coscienti o psichici, intuizioni sensoriali, intenzioni percettive, fenomeni della memoria, intuizioni estetiche, moti affettivi, ecc.; l'impossibilità di identificare l'un l'altra nella forma, nella materia, nella legislazione le varie classi di fenomeni, e l'identità dell'autocoscienza che accompagna ciascun ontico, fonda l'inessenzialità dell'autocoscienza alla natura dell'ontico e quindi l'accidentalità nei suoi confronti - l'argomento sarebbe persuasivo, se di ciascuna classe fosse dato pensare un'essenza che si rapportasse al pensiero, con cui deve necessariamente essere correlata una volta che si faccia dell'autocoscienza un accidente in quanto ontico che non ha la sua ragione né da ciò di cui è concomitante né da sé, secondo una relazione di eterogeneità assoluta principio dell'illegittimità di una loro conclassificazione per ragione altra dall'ontità in generale, e in più se fosse lecito porre l'ontità della classe come incondizionata dall'autocoscienza sì che ciascun conclassario sia un ontico indipendentemente e discretamente dall'autocoscienza; ma quel che si è detto delle dialettiche che è lecito rappresentarsi inautocoscienti o discrete da un'autocoscienza di condizione umana, purché o siano concomitante di un'autocoscienza che diremo divina che le fa altre da quelle di condizione umana, o non abbiano ontità per l'unità indifferenziata e la irrelatezza degli intelligibili -specie infime che in esse entrano mediata- o immediatamente come biffe, vale per tutti gli altri ontici psichici la cui inautocoscienza o è la concomitante di una loro ontità altra da quella che hanno se con autocoscienza di condizione umana o è addirittura illegittima per l'impossibilità di porla fuori dal rapporto col pensiero per il quale è; tutti gli ontici psichici ritraggono queso loro attributo non semplicemente dalla modalità ontica che [pag 247 (225 F3 /4)] acquistano con l'autocoscienza, ma soprattutto da questo che debbon esser pensate porzioni o prodotti del pensiero di condizione umana, divenendo in tal modo l'essenza che è ragione della loro classe, coessenziale al pensiero, sicché vien meno l'eterogeneità assoluta che l'autocoscienza dovrebbe rilevare e l'eterogeneità posta dall'autocoscienza dovrebbe ridursi alla distinzione o fra il rappresentante e il rappresentato o fra l'attivo e il passivo o fra ciò che è in sé e questo stesso "ciò" in quanto riflettentesi su di sé al fine di prender contatto con sé e di instaurare un rapporto fra sé e sé o fra ciò che è in sé con sé e per sé e ciò che è in altro con altro e per altro; ma le aporie che viziano ciascuno di questi rapporti eterogenei tolgono verità e validità formali alle dialettiche con cui coincidono e le privano di intelligibilità: il rapporto rappresentante-rappresentato dovrebbe essere da un ontico che è esclusivo tendere ad assumere qualcosa in un rapporto tale con sé stesso che l'ontità e i modi ontici dell'assunto siano in sé e per sé e insieme in altro e per altro, a un ontico che è esclusivo porsi della sua ontità e dei suoi modi ontici in altro e per altro senza che questa sua modalità si differenzi formalmente e materialmente in nulla dall'in sé e per sé della sua ontità e dei suoi modi ontici, il qual rapporto sarebbe intelligibilmente legittimo se il primo estremo sussistesse senza l'apodittico suo sdoppiarsi a sua volta in un rappresentante e in un rappresentato in mutuo rapporto identico a quello in cui entra, senza cioè la necessità per il pensante di avere autocoscienza di sé come rappresentante, il che porta da un lato alla scomparsa di un'eterogeneità assoluta dei due anche sotto questo punto, dall'altro a un processo all'infinito perché il rapporto da pensiero a pensiero come da rappresentante in genere a rappresentato in genere presuppone analogo sdoppiamento della prima biffa in un rapporto fra un rappresentante e il rappresentante in generale in quanto rappresentazione o rappresentato del rappresentante in genere, cioè fra questo e quel suo correlato che è il rappresentante che sarà a sua volta rapporto fra un rappresentante e il rappresentato di ciò che si rappresenta il rappresentante un rappresentante in generale, e così via, e se il secondo estremo non dovesse a sua volta conservarsi autocosciente anche nel suo entrare in rapporto, in quanto rappresentato, col rappresentante, ossia mantenere un'autocoscienza di sé sia nella sua materia-forma sia nella sua funzione di rappresentato, il che pure elide l'eterogeneità sua dal rappresentante e porta a un processo all'infinito; lo stesso discorso vale anche per il rapporto fra attività e passività di cui sarebbe segno e principio l'autocoscienza, nel quale la biffa dell'attività è tale alla condizione di albergare in sé della passività e precisamente quel tanto di passivo che è dato sia dall'identità materiale che è fra essa e la biffa della passività sia dal fatto che quelle qualsivogliano modificazioni che l'attività esercita sul passivo e di cui l'autocoscienza del passivo è segno, sono alla condizione che l'attività si faccia essa stessa con autocoscienza e quindi eserciti su di sé le stesse modificazioni, donde il processo all'infinito che investe anche da questo punto di vista l'estremo dell'attività, e nel quale la biffa della passività conserva queste sue funzioni
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