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Giordano Bruno Cavagna (n. 1921 - m.1966) Metaf. class. e metaf. cristiana IntraText CT - Lettura del testo |
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[pag 249 (226 F1/2)] del primo, a parte il fatto che o si fa della riflessione un per così dire riflesso meccanico di tipo fisiologico per cui il darsi dell'ontico psichico è principio automatico del suo accompagnarsi alla riflessione su di sé e quindi alla propria autocoscienza, nel qual caso o l'autocoscienza l'ontico psichico la va a prendere fuori di sé, da un pensiero, giacché non è concepibile che la prenda da altro con il quale coincide e insieme si distingue, o la prende da sé stesso in quanto inautocosciente e autocosciente insieme, o la riflessione è posta come l'effetto di un avvertire l'ontità dello psichico inautocosciente, e di un decidere di investirlo di autocoscienza, e ((??o??)) in questo caso o il pensiero è altro dal suo ontico, che non si sa di quale ontità goda che sia atta ad entrare in rapporto col pensiero fonte di autocoscienza per sollecitarlo a cederla allo psichico per renderlo tale, o il pensiero coincide con esso, e allora si ricade nella contraddizione di uno psichico inautocosciente e di uno psichico autocosciente aggravata dalla contraddizione che l'inautocosciente dovrebbe per presupposto esser tale e insieme autocosciente per aver avvertenza di se stesso e dotarsi di autocoscienza e attraverso questa di riflessione; infine l'autocoscienza come rapporto fra ciò che è in sé con sé e per sé e ciò che è in altro con altro e per altro o muove dal presupposto di un'identità dei due che pone in equazione le materie e di una diversità dei due che è solo delle forme, nel caso che pretenda di non essere da un pensiero, o, nel caso opposto per cui si pone come un modo essenziale del pensiero, presuppone una diversità dei due che è materiale e formale come quella che pone i due in rapporto di tutto a parte sotto il punto di vista materiale e in rapporto di autoontico e di eteroontico sotto il punto di vista formale: nel primo caso l'aggiunta dell'autocoscienza farebbe esistere un ontico che è in sé con sé e per sé anche come un in altro con altro per altro come quello che alle modalità ontiche della sua prima forma aggiunge modalità che si danno solo in quanto si dà la seconda ontità, sicché non si avrebbe un pensiero, ma solo un duplice stato di ontità di uno stesso ontico; ma allora delle due l'una o i due stati ontici sono di fatto e di diritto distinti perché l'uno ha modalità che mancano all'altro, nel senso ad esempio che un sentimento affettivo è in un modo se è in sé e in un altro se è in altro, e allora non è dato parlare di un unico ontico ma tutt'al più di un'equazione fra un ontico e una porzione dell'altro, o i due stati ontici sono di fatto e di diritto tali da non porre in disequazione l'ontico che essi affettano, nel senso che quel sentimento che è secondo il modo dell'in sé è in equazione col sentimento che è secondo il modo dell'in altro, e allora la differenza è meramente verbale ed è in un gioco di parole che si risolve quel rapporto con cui si è fatta coincidere l'autocoscienza; nel secondo caso si dovrebbe parlare di un pensiero che è in sé e di un autocosciente che è nel pensiero da cui mutua l'autocoscienza, e dovrebbe esser data all'intuizione immediata o concentrazione d'attenzione una dialettica in atto fra il pensiero e un autocosciente determinato della quale la dialettica in genere di quest'autocoscienza in genere sarebbe l'intelligibilità; ma non solo un pensiero che senta sé in sé e altro, per questo suo sentirsi, [pag 250 (226 F3 /4)] dall'autocosciente che sarebbe in sé e quindi indipendente nell'ontità e nei suoi modi ontici non viene intuito, perché esso pensiero sente sé come un tutt'uno coll'autocosciente o se non altro come un condizionato nell'ontità e nei modi ontici dall'ontità e dai modi ontici dell'altro, ma inoltre lo stesso pensiero nell'atto in cui sentisse sé come in sé dovrebbe porre sé con autocoscienza e quindi attribuire in sé la modalità del per altro facendo di sé simmetricamente un in sé e un in altro, un per sé e un per altro; sarebbe dato obiettare a tutti questi discorsi che pretendono rilevare aporie nel concetto di autocoscienza come un accidentale argomentato in questo suo modo dalla costanza e univocità con cui si dà in opposizione alla mutevolezza ed essenziale equivocità dei suoi concomitanti, che essi stessi sono aporetici in quanto pretendono di ritrovare nel concetto una distinguibilità per discrezione delle sue due componenti polarizzate che non è lecita né di fatto né di diritto e perché pretendono di ridurre a polarità di distinti condizionantisi un binomio in cui il condizionamento reciproco impedisce qualsiasi disgiunzione: un autocosciente sarebbe una rappresentazione e questa a sua volta un'unità che nella sua ontità assoluta e nella sua intelligibilità, ossia nella definizione dei suoi modi in quanto predicabili con gli attributi la cui serie costituisce un’ intelligibilità, non è disarticolabile nei due poli che la costituiscono sì che ciascuno dei due sia un ontico autocosciente e intelligibile assolutamente dall'altro, con la conseguenza che sarebbe sempre lecito spostare l'attenzione dall'uno all'altro ontico del binomio particolare e dall’uno all’altro intelligibile del binomio in generale alla condizione che lo spostamento d'attenzione si desse con la solita inversione della direzione e in più con il suo contenuto materiale di rapporto funzionale reciproco delle due biffe, tale però da assumersi inscindibile di diritto e di fatto, ossia in sé e relativamente alle operazioni dialettiche che dallo spostamento muovono come da principio, e sarebbe sempre illecito spostare l'attenzione dall'una all'altra biffa e assumere questo spostamento come principio di conseguenti spostamenti d'attenzione che si diano tra biffe colte immanenti in una e indipendentemente da altri che si diano tra biffe colte immanenti nell'altra senza che tra i due gruppi di spostamenti si dia altra connessione che non sia quella che si dà tra due gruppi di dialettiche che hanno a loro principio una dialettica; questa definizione dell'autocoscienza come rapporto, istituita con piena determinazione da Schopenauer, sarebbe accettabile e con ciò invaliderebbe tutte le nostre pretese a una aporeticità o sua o delle sue conseguenze, se al pensiero di condizione umana fosse mai data una rappresentazione fenomenica siffatta o se chi ha fatto propria tale definizione non avesse poi proceduto da essa con discorsi che la contraddicono: il pensiero di condizione umana ha a che fare con dati di fatto che sono aggregati di ontici di intuizione immediata che esso assume come polarizzati in due complessi componenti relazionati in modo tale che lo spostamento d'attenzione dall'uno all'altro e da questo ((a??)) quello si ponga a necessario e che nello spostamento d'attenzione l'ontità dell'una sia posta come necessariamente condizionata da quella dell'altra e viceversa e i modi ontici dell'una, o almeno quelli dell'una sotto il cui punto di vista la sua ontità
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