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Giordano Bruno Cavagna
(n. 1921 - m.1966)
Metaf. class. e metaf. cristiana

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  • Prot. 1 - 50
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[pag.8 F1]

due metodiche fosse assoluta e onnicomprensiva, dovrebbe verificarsi una univocità totale di tutte le dottrine che fanno di sé altrettanti corpi articolantesi attorno a una delle due metodiche come attorno a scheletro, e non dovrebbe darsi la liceità per nessuna dottrina di assumere come corpo o come membra del proprio corpo o il corpo o alcuni organi di dottrine che hanno lo scheletro opposto al suo; ma dogmatismo assoluto, esclusione dell’opposizione bene e male, determinazione totale dell’uomo da parte del principio, ingiustificabilità dell’errore, essenzialità ontica di tutto il naturale pensato come rappresentazione o come teoria delle rappresentazioni, annullamento dell’individuo al cospetto del tutto, invalidazione dell’individuale nelle relazioni coll’individuale, onticità, in una parola, di tutto il fenomenico, sono organi e corpo di dottrine che hanno indifferentemente a loro struttura interna  o l’una o l’altra delle due metodiche formali, mentre dottrine che s’organizzano o intorno al primato dell’uomo nella natura o intorno al primato assegnato al naturale ad altro da ciò che pare essenziale all’uomo, finiscono per identificarsi nel contrapporre l’ontico al fenomenico, per accettare l’errore come un escluso e non come un comunque reale, per opporre al di là di ogni coincidenza il male al bene, per negare alla mente umana l’attributo dogmatico di una qualsivoglia delle sue nozioni, o rappresentative o interpretative di rappresentazioni. Ma quando dati due concetti, A e B, e dichiaratili al contempo principi e contraddittori, essi si presentano tali che le loro determinazioni, che sono poi conseguenze, a1, a2, a3,...an, b1, b2, b3,... bn, sono in modo che solo contingentemente possono essere denotate ciascuna dal loro principio e insieme indifferentemente possono ritrovarsi come connotanti sia insieme alle loro cogeneri sia mescolate ad alcune o a tutte le eterogenee, si deve concludere o che i due concetti non sono contraddittori o che i due concetti non sono principi se non relativamente; ma le due metodiche, che sono state dichiarate principi e insieme opposti, rendono lecita l’illazione di determinazioni o note opposte che indifferentemente possono connotare e quindi dedursi o dall’una o dall’altra metodica; quindi o le due metodiche

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non sono contraddittorie o le due metodiche, nella loro contraddittorietà, non sono principi e sono determinazioni diverse di un medesimo principio altro ed eterogeneo, sotto un certo punto di vista, da esse; ma le due metodiche sono contraddittorie; non resta se non che esse non possano essere principio e che esse stesse e le loro determinazioni che le possono connotare divengano intelligibili se si risale a un principio nuovo, le cui possibili contraddittorietà spiegheranno il contraddittorio, l’opposizione, che pervade le determinazioni delle metodiche stesse. D’altra parte, il risalire a un principio che stia al di sopra di ciascuno dei due metodi comporta da un lato l’aggiungere un nuovo concetto ai precedenti coi quali si persisteva a voler determinare nella sua struttura e a voler risolvere il problema - essendo i concetti accettati la nozione in principio la nozione di uno dei fenomeni come primo nel fenomenico ((del metodo di)) la nozione di illazione dal principio ((del metodo di)) connotazione del primo nel fenomenico e di tutti i fenomenici, essendo il concetto sovraggiunto la nozione del principio del metodo -, dall’altro il ritrovare un’omogeneità di genere entro l’opposizione dei due metodi:questo suona che l’eterogeneità od opposizione dei metodi toccherà tutti i momenti o punti di vista che si vogliano, ad eccezione del fondamento dei metodi stessi che è la loro generalità o essenzialità. E’ certo che ora il discorso è divenuto di molto più complesso, e il numero delle relazioni tra i concetti con cui esso deve fare i conti notevolmente elevato al punto da destare in me preoccupazione grave di riuscire a far chiaro e nel mio pensiero e nel pensiero di altri. La chiarezza si fa con l’elencare i concetti: nozione della necessaria mediazione del principio, nozione del principio stesso, nozione dei fenomeni, nozione dell’ordine dei fenomeni nel processo deduttivo dal principio - nozione che è l’equivalente di quella del primato che il momento umano o il momento non umano hanno in tale ordine -, nozione che la connotazione del primo nell’essere è funzione della connotazione del primo nel fenomeno, nozione dell’eterogeneità dei due primati, nozione dell’eterogeneità delle due funzioni, nozione delle ragioni sufficienti della funzione, dell’eterogeneità dei primati, dell’eterogeneità delle connotazioni dei due primi nell’essere e nel fenomeno,

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e, infine, fondamentale, nozione della conoscibilità del primo nell’essere in funzione del fenomenico in generale; questa nozione già abbiam detto essere di diritto, in nome di ragioni sufficienti che la rendono intelligibile; questa nozione dovrà dimostrarsi essere principio dei due metodi, non già in quel che di eterogeneo sono e hanno l’uno dall’altro, ma in quel che di omogeneo hanno; che se la dimostrazione sarà possibile e sarà data, verrà offerta la ragione non solo del limite della loro eterogeneità, ma anche di una loro duplice derivazione; dalle ragioni della loro eterogeneità da un lato, dalle ragioni della loro applicazione dall’altro; sicché le due metodiche, quella del primato dell’umano sopra il non-umano nel fenomenico, e quella del primato contrario, sarò dimostrato non essere prime né nell’ordine logico-formale né nell’ordine funzionale, non essere prime nell’ordine logico-formale perché a loro principio debbono elevare le ragioni sufficienti della loro eterogeneità e del loro diritto di essere ciascuno nella sua sfera eterogenea dall’altra, non essere prime nell’ordine  funzionale perché, essendo principi di  interpretazione di tutte le cose e quindi strumenti di un divenire che è arricchimento del capitale del noto ed è attività del pensiero, dipendono da una modalità generica di interpretazione del noto in funzione del principio, o piuttosto dell’enunciato metafisico primo che è connotazione o conoscenza del principio, modalità che nulla ha che fare con l’eterogeneità delle due modalità. Si deve dunque dimostrare che due sono i principi di ciascuna metodica, la ragion sufficiente del suo essere la quale rende il metodo eterogeneo dall’altro possibile, la ragion sufficiente del suo usufrutto la quale rende il metodo omogeneo all’altro possibile: duplice, allora, potrebbe e dovrebbe essere il mio discorso, ponendosi questo come raziocinio della prima e come raziocinio della seconda ragion sufficiente; e qui si rivela l’utilità di questa mia analisi: lo sdoppiamento dei principi dei due metodi non consente soltanto di risolvere la questione se il principio formale della metafisica pura debba essere o il rapporto tra il principio ontico e il fenomenico in genere o il rapporto tra il principio ontico e una certa sfera fenomenica, così come vogliono

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gli idealisti sedicenti umanisti, ma rivela anche una complicazione o complessità là dove questi indicavano la più pura delle semplicità, ossia la presenza di una dualità di ragioni sufficienti, ragion sufficiente di questo o di quello dei due principi formali suddetti, ragion sufficiente per la duplice possibile scelta tra questa o quella sfera di reale che dovrebbe essere determinazione funzionale di conoscenza del principio nell’essere; la dualità delle ragioni non è apparente ma reale, non è riducibile non essendo le due ragioni né reciproche né inquadrabili in rapporto consequenziario, non è semplificabile tramite una loro unificazione in un unico e univoco problema perché la questione della predicabilità del concetto del primo ontico con nozioni del fenomenico in genere è altra assolutamente dalla questione della predicabilità del concetto del primo ontico con nozioni di questa o di quella delle due sfere in cui il fenomenico dovrebbe spaccarsi. Ma la medesima analisi è utile anche perché sdoppiando quel che si voleva semplice permette di affrontare quel problema di una contraddittorietà del fenomenico che dovrebbe essere ragione funzionale della contraddittorietà della connotazione del principio ontico e dei metodi di connotazione di questo, che è il punto di partenza di certe metafisiche: si tratterrebbe di vedere il reale fondamento e quindi il reale essere di siffatta contraddizione, con un discorso che non potrebbe ricondursi al principio ontico e alla conoscenza di questo, perché il problema che a questo si connette per primo non è quello della contraddittorietà dei metodi bensì quello della sua predicabilità con nozione fenomeniche in genere, bensì  dovrebbe rricondursi al fenomenico stesso da cui ha preso le mosse. Poiché questa mia analisi non riguarda la domanda della validità del contraddittorio che dovrebbe affettare una predicazione del principio ontico in funzione di una contraddittorietà insuperabile del fenomenico, ma riguarda solo la contraddittorietà affettante la connotazione del concetto di primo ontico in funzione di una contraddittorietà del rapporto tra fenomeno e principio metafisico, e il primato che




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