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Giordano Bruno Cavagna
(n. 1921 - m.1966)
Metaf. class. e metaf. cristiana

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  • Prot. 201 - 251
    • 251
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nessuno dei quali è intelligibile ad eccezione dell'ultimo finché non è sostituito da un altro, ed essendo quindi lecita per esso una intelligibilità, sia pur problematica, essenziale dell'intelligibile, mentre il secondo deve identificare quegli attributi di inintelligibilità con la necessità in cui l'intelligibile si trova di disporsi in una serie diacronica di complessi ciascuno dei quali è intelligibile per quegli attributi di intelligibilità a parte subiecti e a parte obiecti eterogenei ab obiecto intelligibili, ciascuno dei quali è equipollente e formalmente equivalente a un qualsivoglia degli altri, ciascuno dei quali esprimenti la costanza di più ripetizioni in un divenire dialettico e insieme l'impossibilità di essa a permanere tale, essendo quindi per esso l'inintelligibilità dell'intelligibile la necessità di una successione di complessi intelligibili ciascuno destinato a restar tale anche se sostituito da un successivo e a restare inintelligibile in quanto costantemente inetto a porsi come ultimo, ed essendo per esso impossibile una intelligibilità essenziale o problematica dell'intelligibile, III) che la scienza induttivo sperimentale ha la liceità di scegliere fra l'una o l'altra delle logiche dell'inferenza dell'intelligibile dal fenomenico, e di patire le conseguenze che da questa o da quella derivano; resta il dubbio, che un empirismo accolga oltre ai giudizi ipotetici anche i categorici, ma contro di esso stanno l'argomento diretto che, se non Hume, almeno Stuart Mill ne pone la presenza fra gli intelligibili quando esemplifica la serie delle ragioni sufficienti del rapporto di simmetria fra intelligibile e fenomenico proprio con un giudizio categorico, e l'argomento indiretto che, se l'empirismo fa sua l'intelligibilità secondo l'interpretazione tradizionale, lasciandole la forma e svuotandola della materia, la cui intelligibilità non è più dalla comprensione dei dialettizzati ma da altro, deve anche far sua quella dialettica intelligibile che è del sillogismo categorico, oltre che dell'ipotetico, e quindi del giudizio categorico, oltre che dell'ipotetico, e deve attribuire alla giustapposizione simultanea degli ontici fenomenici una spartizione in percezioni per aggregazione in gruppi unitari, di cui varrrebbe a ragion sufficiente la ripetizione di un certo numero di associazioni per contiguità nello spazio; ora, quando si parla di una spartizione dell'ontico autocosciente nelle due sfere dell'intelligibile e del fenomenico entro dottrine empiristiche o che quale quella kantiana si rifanno, con aggiunte che non son poi tanto rivoluzionarie, all'empirismo, l'eterogeneità delle due ricava la sua ragione di fatto dall'osservazione che uno stesso rapporto dialettico tra intuiti sensoriali, ad esempio quello di successione, è disgiunto nell'autocoscienza con cui si dà da una costanza e uniformità di certe modalità formali e va unito a modalità formali che son di due comprensioni eterogenee, essendo


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l'una l'autocoscienza della liceità propria del rapporto di variare, essendo l'altra l'illiceità dello stesso di modificarsi: come implicitamente e a giusta ragione osserva Kant nella sua critica alla teoria dell'abitudine ragione del rapporto causale, questa autocoscienza di illiceità dev'essere assunta in generale come necessità e insieme come un ontico autocosciente originario, il che d'altra parte neppure Hume nega se pone a sua origine non solo l'abitudine ma soprattutto la credenza, il cui scattare che dev'essere ritenuto inautocosciente traduce l'autocoscienza del rapporto dialettico in autocoscienza di una sua immodificabilità; il fatto che la sfera delle dialettiche di condizione umana abbia la liceità di istituire rapporti dialettici altri da quelli dell'intuito e di fare dei due la negazione l'uno dell'altro, cioè di sottoporre le dialettiche dell'intuito alle dialettiche che chiamiamo di negazione, o con la sussunzione di una certa quantità delle prime a una certa loro ragione che ne fa una classe e con l'esclusione della legittima sussunzione sotto questa ragione di una di esse in quanto priva di una denotante della ragione la quale, appartenendo a un'altra dialettica, che è stata affermata di autocoscienza lecita nell'intuito ma non si è data con questa autocoscienza, dà a questa dialettica la liceità di sostituire l'esclusa nella legittima sussunzione, o con la mera esclusione della dialettica data con autocoscienza nell'intuito senza sostituzione ad essa di altra dialettica, più semplicemente il fatto che entro le dialettiche autocoscienti  si dia la porzione dell'immaginazione [[Nota a matita dell'autore:” controbbiettare al concetto di immaginazione negli scritti di Logica di Murri Augusto”]] capace di o negare in generale qualsivoglia dialettica con autocoscienza di necessità o di contraddirla con una dialettica immanente entro le sue stesse condizioni ma con modalità altre se non contrarie, nulla dice della relatività di questa necessità e non la spoglia affatto di quegli attributi di autocoscienza e di ontità per l'autocoscienza che essa ha in generale, e, se razionalisti ed empiristi se ne son serviti un giorno per opporre una materia di ragione a una materia di fatti secondo una distinzione che il tempo si è poi preoccupato di annullare attraverso l'autocoscienza di una dialettica fra l'immaginativo e la materia di ragione identica a quella fra l'immaginativo e la materia di fatti, la validità e i poteri che a tali dialettiche di negazione o di contraddizione si attribuiscono sarebbero veramente tali anzitutto se fosse stato ben analizzato l'immaginativa in generale nella sua natura di problematico e fossero state ben rilevate le denotazioni della problematicità entro la dialettica di condizione umana in generale, il che non pare sia stato fatto ancora, in secondo luogo se si fosse dimostrato che tale rapporto di ragione, che si pretende di instaurare fra immaginativo ed autocosciente nella o dalla intuizione e che fa del primo il principio di invalidità del secondo, è esso stesso ontico e legittimo, essendo al contrario ontico e legittimo il viceversa, essere l'autocosciente nella o dalla intuizione principio di invalidità dell'immaginativo, tanto più che una accettazione alla Parmenide di quel rapporto di ragione, a parte che non lascia fuori dal suo raggio d'azione nessuna delle dialettiche autocoscienti necessarie, neppure il pincipio di identità, essendo sempre lecito inferire da esso un universo,


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, in cui il principio di non contraddizione non abbia vigore, o problematico od ontico, come il mondo delle meraviglie di Alice, non esime chi lo accetti né dalla sottrazione di fatto ad esso delle dialettiche autocoscienti e necessarie affermate nell'intuito e dall'intuito o affermate fuori da esso e non da esso né dalle dialettiche preposte ((??proposte??)) acronicamente o diacronicamente come principi di questa necessità;ma l'ineluttabile spartizione delle dialettiche fra intuiti in intelligibili e non, pone la questione del rapporto in cui dovrebbero esser poste le due sfere: i razionalisti, e quindi anche Kant per quella sua fondamentale adesione al razionalismo, scindono recisamente due complessi di dialettiche, quelle fra ontici autocoscienti intelligibili e quelle fra ontici autocoscienti fenomenici, alcune delle quali son da sussumersi sotto le prime; non è da tener qui conto della obiezione, mossa a questa scissione, che, quando l'attenzione vuole offrire a suo termine d'applicazione un intelligibile non riesce a darsi se non un autocosciente fenomenico con in più certi caratteri, sicché delle tre l'una o siffatti intelligibili in sé non esistono se non come pretesa di trattare i fenomenici per altro da quel che sono e di fatto e di diritto sono dei fenomenici della cui fenomenicità è data la piena autocoscienza o siffatti intelligibili sono dei fenomenici che grazie a quei certi caratteri di intelligibilità e grazie alla forza suppositiva delle parole vengon predicati come ontici autocoscienti intelligibili in sé per una sorta di trasfigurazione o di misconoscenza o sono degli ontici autocoscienti dotati di una materia e di una forma loro propria e altra da quella dei fenomenici ma godenti di autocoscienza solo pel medio del rapporto di supposizione in cui entrano con le parole, e non se ne tien conto perché essa o si fonda sul presupposto assiomatico che un ontico autocosciente è tale alla condizione che nella sua materia e nella sua forma si dia sempre all'attenzione con certi modi quali si danno nella materia e nella forma degli autocoscienti intuiti fenomenici sì da godere della liceità di essere con un'immagine che formalmente deve ripetere quella dei fenomenici, cioè che o esso è rappresentabile indipendentemente da una dialettica e da una parola come lo sono le rappresentazioni fenomeniche ed è autocosciente o esso non patisce tale rappresentazione e allora è inautocosciente e non ha ontità, nel qual caso deve dare dimostrazione del presupposto in quel qualsivoglia modo voglia o riesca ad argomentarlo, oppure, dopo aver ammesso che una è l'autocoscienza delle intuizioni fenomeniche, con la sua indipendenza dalla rapportazione e dalla parola e altra è l'autocoscienza degli intelligibili che è solo o per l'una o per l'altra, e allora finisce per diventare una petizione di principio, cosa che Kant pare ben rilevare quando, definendo il noumeno come la problematicità di un autocosciente che sia intuizione di un intelligibile, rileva la liceità di un autocosciente, sia pur problematico, che abbia la liceità di darsi all'autocoscienza così come si danno i fenomeni, come un'immagine immediata che è senza entrare in rapporto o senza esser supposizione di una parola, e con ciò accetta la sua esistenza, anche se poi finisce per negarla a una autocoscienza di condizione umana, contraddicendo a quella sua distinzione dell'intelligibile dal fenomenico di cui la duplice attività sussuntrice delle categorie sono argomento;




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