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Giordano Bruno Cavagna (n. 1921 - m.1966) Metaf. class. e metaf. cristiana IntraText CT - Lettura del testo |
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[pag 337 (253 F2 /3)] sotto le dialettiche dell'intendimento è la conseguenza, se non il principio, della loro intelligibilità; che, se per un'applicazione puntuale del trascendentalismo kantiano, si vuole che siffatta sussunzione sia soltanto apparente nel senso che ad ogni esperienza corrisponda un intervento attivo della categoria operante simultaneamente nell'intendimento e nell'esperienza e con ciò generante tante dialettiche intelligibili quanti sono i suoi simmetrici interventi in ogni fase empirica, delle due l'una o le sensazioni rapportate ad ogni intervento sono sempre altre da quelle rapportate in interventi antecedenti e successivi, nel qual caso le dialettiche intellettive sono identiche nel rapporto non nella materia rapportata e perciò sono inette ad unificare l'esperienza se non relativamente alla sua fase loro simmetrica e si hanno tanti giudizi intellettivi con a soggetto un ontico che è irripetibile in quella funzione e con quello stesso predicato in altri giudizi intellettivi, o le sensazioni rapportate in questo intervento sono identiche o in tutto o in parte a quelle rapportate negli interventi precedenti o successivi, e allora, se non è dato il diritto di attribuire una permanenza dell'intelligibile intellettivo nell'intendimento e di concepire come una sussunzione il suo rapporto col fenomenico, è tuttavia data la liceità di identificare tutte quelle dialettiche e insieme tutti i giudizi intellettivi corrispondenti e quindi di raccoglierli in una classe di identici che è al tempo stesso la classe dei corrispondenti empirici, con una dialettica i cui risultati sono gli stessi di quelli di una permanenza di un unico intelligibile e di una sussunzione ad esso di più empirici; è lecito rilevare che la conclusione cui siamo pervenuti intorno alla necessità di una identità, o totale o parziale, del sensoriale in quanto condizione dell'autocoscienza di un intelligibile, è la conseguenza di un discorso che ha avuto a suo principio diretto non la struttura e le modalità assegnate all'intelligibile in generale da un empirismo o da un kantismo, ma la conseguenza che da tale assegnazione deriva al rapporto fra intelligibile e fenomenico, la cui distinzione si riduce non necessariamente all'inferenza del primo e alla originalità del secondo, e necessariamente al rapporto di ragione che s'instaura entro il fenomenico stesso e alla permanenza dell'intelligibile altra dal divenire del fenomenico e costitutiva della sfera dell'intelligibile e del linguaggio; sarebbe quindi dato escludere tale condizionamento purché si riuscisse a dimostrare che esso non è l'unica ragion sufficiente gravante sulla liceità dell'intelligibile in quanto autocosciente, essendo consentito di sottoporre questa liceità ad altre ragioni che nulla hanno a che fare con l'identità delle sensazioni, tanto più che, essendo questa, nei presupposti empiristici, impossibile come modalità costante del sensoriale ed essendo tutt'al più una sua liceità, sarebbe più opportuno parlare di una somiglianza dei sensoriali come condizione o ragione della liceità dell'intelligibile; ora, io credo che ai medesimi risultati si giunga partendo dall'essenza di un intelligibile in un empirismo, cioè affrontando direttamente le condizioni assegnate da un empirismo all'intelligibile: sia questo un ontico auto-cosciente che deriva il suo attributo di intelligibilità non dall'essenza universale e necessaria che lo costituisce, [pag 338 (253 F 3 /4)] ma dalla concessione degli attributi di universalità e necessità e dalla sussunzione, che di esso si fa, in nome di questi, sotto certe dialettiche che chiamiamo leggi di ragione, concessione e sussunzione aventi a loro ragione ontici la cui autocoscienza ne rivela una materia altra da quella degli intelligibili e da quella delle leggi di ragione; siano questi ontici l'abitudine e la credenza di Hume: ma, se l'abitudine rimanda alla ripetizione di un'associazione di successione nel tempo, si chiede se questa ripetizione sia qualcosa d'altro da una conservazione nell'autocoscienza di una molteplicità di siffatte associazioni, da una dialettica fra le molte associazioni conservate, da una identificazione o, se si vuole equazione, di ciascuna associazione conservata e dialettizzata con ogni altra associazione dello stesso gruppo e se questo equazionare dei distinti sia lecito per una mera identità del rapporto immanente in ogni distinto, o se non sia necessario per l'equazione che attraverso lo spostamento d'attenzione dall'una all'altra associazione entro le dialettizzate non venga rilevata a lato di quell'identità anche una equivalenza delle biffe di ciascuna associazione non solo nella loro reciproca relazione di antecedente e di succedente che in funzione dell'associazione, ma anche nella loro materia o ontità di autocoscienti che son sensazioni, sia poi quest'ultima equazione o un'identificazione o una assimilazione, ammesso che questo concetto di somiglianza sia qualcosa di più di una parola; infatti, se l'abitudine è lo scattare inautocosciente di un meccanismo inautocosciente, la causa di questo scatto è tutta quella dialettica di identificazioni che Hume chiama ripetizione e per la quale non basta una successione di associazioni che siano identiche solo nella forma ossia nella loro materia di nessi rapportanti, in quanto si potrà dire che la successione di “m” a “n”, di “o” a “p”, di “q” a “r”, sono ripetizioni della successione di “a” a “b”, se è data di “m, n, t,...a, b”, che sono sensazioni, un'autocoscienza tale che consenta di trattare ciascun autocosciente come un equivalente al suo corrispondente biunivoco entro ciascuna associazione e quindi come un sostituibile ad esso, non solo per il generico modo ontico di tutti di essere degli intuiti, ma anche per qualcosa, che io preferisco chiamare identità almeno parziale, ma che concedo si chiami anche somiglianza, il quale è un modo della materia o modo ontico particolare entro il generico sensoriale; e se l'intelligibile della causalità del calore e dell'attrito è l'effetto ultimo di una serie di dialettiche il cui principio è una ripetizione di successive associazioni di un calore succedente a un attrito, la ripetizione a sua volta è una dialettica di identificazione delle successive associazioni in ciascuna delle quali non è lecito che nella funzione di antecedente diacronico meramente intuitivo o se si vuole associato e nella funzione di successivo diacronico pure meramente intuitivo o se si vuole associato si ritrovino sensazioni qualsivogliano, ma rispettivamente sensazioni o gruppi di sensazioni che costituiscono la classe degli attriti e sensazioni o gruppi di sensazioni che costituiscono la classe dei calori, il che presuppone una dialettica delle singole biffe sensoriali dialettizzate l'una l'altra in funzione della funzione associativa ma indipendentemente da essa e dialettizzate in forza di una loro legittima conclassificazione
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