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Giordano Bruno Cavagna
(n. 1921 - m.1966)
Metaf. class. e metaf. cristiana

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  • Prot. 252 - 301 F2
    • 262
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da cui si leverebbe per aggiunta di autocoscienza, perché evidentemente quella sua funzione di forma deve accompagnarsi a un'unità causatrice che, comunque ci se la raffiguri, dev'essere quella di un indecomponibile e quindi di un semplice, e insieme quella di un irrelato da tutte le altre forme, mentre questa sua ontità di psichico inautocosciente esclude quegli spostamenti d'attenzione, costituenti le dialettiche e dirompenti gli intelligibili nelle rispettive denotanti, senza le quali un ontico intelligibile non è né disarticolato né relato e quindi è un semplice indecomponibile e un assoluto irrelato; fin qui nessuna opposizione al nuovo punto di vista; questo, poi, sostiene che il sovraggiungersi dell'autocoscienza all'intelligibile inautocosciente lo lasci quel che è in quanto inautocosciente e insieme lo correli a un secondo intelligibile che è sua parte o suo tutto e che insieme è altro da esso; evidentemente questa denuncia di aspetti generali dell'autocoscienza ha presente quella particolare dialettica che è la supposizione di un giudizio universale categorico e nella quale due intelligibili distinti e diversi sono dialettizzati sul fondamento di una certa loro identità o piuttosto di un certo loro comune appartenere a un unico ontico autocosciente; si vuole allora che, poiché l'intelligibile in sé ha un certo modo ontico, l'unità semplice e irrelata, la quale tutt'al più è principio di ontità di unità identiche e mai ha il diritto di farsi principio di modi ontici differenti, quali sono quelli di una duplicazione dello stesso intelligibile in qualcosa che è esso e insieme è altro da esso, questo modo ontico sotto cui l'intelligibile si dà quando si fa autocosciente non abbia a sua ragione l'essenza dell'intelligibile, ma l'autocoscienza, la quale, data l'eterogeneità dei suoi prodotti da quelli dell'essenza dell'intelligibile, dev'essere eterogenea da questa; è da dirsi, anzitutto, che l'aspetto rilevato dal nuovo punto di vista, di una duplicazione dell'intelligibile in autocosciente in sé e in autocosciente altro da sé, pur essendo in un certo rapporto quantitativo con sé, non è comune di tutte le dialettiche in genere e neppure di tutte quelle che son supposizioni di quel giudizio: ad esempio, tutte le dialettiche che sono da più denotanti di più comprensioni all'univocità della funzione che tutte esplicano nelle rispettive comprensioni non rimarranno certo ciascuna a una duplicazione di un intelligibile, che, se fosse rimasto inautocosciente, sarebbe stato sempre e soltanto unico, in quanto sono predicazioni non tanto di intelligibili, che in quanto denotanti vedono la loro ontità inautocosciente in sé farsi problematica, quanto di intelligibili che in sé dovrebbero darsi con quella relatezza reciproca che l'ontità inautocosciente in sé, assoluta com'è, non tollera; ma si conceda che tali dialettiche siano effetti secondari, o, se si vuole, ontici meramente soggettivi che nulla hanno che fare con l'ontico in sé e che traggono origine solo dall'indefinita attività dialettica della sfera degli intelligibili autocoscienti, e si ammetta, con ciò, che le uniche dialettiche, alle quali ci si deve rifare per intendere la natura dell'autocoscienza, non siano né quelle né quante altre muovono da un intelligibile autocosciente che sia di diritto e di fatto simmetrico di un ontico inautocosciente; queste dialettiche, allora, sono solo quelle


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che nel giudizio corrispondente o hanno a soggetto una specie infima e a predicato una sua denotante o hanno a soggetto una denotante di specie infima e a predicato una denotante della denotante o hanno a soggetto una denotante di specie infima e a predicato la funzione formale che il soggetto esplica nella comprensione in generale cui appartiene o hanno a soggetto una denotante di specie infima e a predicato la funzione formale che il soggetto esplica nei confronti di una o altre denotanti della stessa comprensione cui appartiene: son questi i rapporti di parte a tutto o di tutto a parte o di parte a parte con cui l'intelligibile che è duplicato e altro dall'intelligibile in sé si lega a questo; poiché tutti i casi considerati all'infuori del primo sono conseguenze di questo, che sarebbe anche lecito trattare come secondari e soggettivi rispetto ad esso, converrà esaminare solo il primo: qui noi avremmo due intelligibili autocoscienti che sono la stessa cosa e che insieme sono differenziati l'uno dall'altro, sicché si avrebbe il diritto di dire che quel che è uno è diventato due e lo è diventato non per sé ma per l'autocoscienza che ha aggiunto alla propria essenza; ora, le cose non stanno così: in primo luogo, quel soggetto del giudizio categorico che è una specie infima o che ha a sua supposizione l'intelligibile autocosciente di una specie infima, è sì un in sé, se per in sé s'intende il fatto che la sua comprensione è la ragione prima ed unica di tutti gli spostamenti d'attenzione che hanno a prima biffa la sua totalità o a seconda biffa una o più delle note in cui la totalità s'è disarticolata; ma se per in sé s'intende o l'assolutezza della comprensione, in quanto liceità di esser autocosciente indipendentemente dal farsi biffa di una qualsivoglia dialettica, o l'unità semplice che si attribuisce allo stesso intelligibile in quanto inautocosciente, l'in sé diventa un falso e un privo di ontità, in quanto da un lato la comprensione dev'essere dialetticamente relazionata almeno con se stessa pena la sua esclusione dall'autocoscienza, dall'altro è dialetticamente correlata con se stessa o con una o più delle sue denotanti in forza di una disarticolazione che l'investe al momento stesso della correlazione dialettica pena l'esclusione dall'autocoscienza della dialettica e quindi della comprensione stessa; dunque, l'in sé dell'intelligibile autocosciente, soggetto del giudizio, non ha nulla che fare con l'in sé dell'ontico simmetrico inautocosciente; in secondo luogo, consideriamo l'alterità che dovrebbe distinguere l'intelligibile autocosciente, soggetto, dall'altro, che gli è predicato, e che sussisterebbe con alterità, nonostante il suo rapporto da parte a tutto col primo, solo grazie a un'autocoscienza del primo che non ha niente che fare con la sua essenza: se si vuole che questa alterità stia nel fatto che l'intelligibile soggetto è semplice e unitario e insieme disarticolato in modo che una sua componente ne venga separata senza che il tutto che la perde o cessi di essere quello che è o fuoriesca dall'autocoscienza, ci si lascia sfuggire che l'intelligibile soggetto accoglie la predicazione della sua denotante alla condizione di venir simultaneamente disarticolato almeno rispetto a tale nota e quindi di perdere quell'unità semplice che, se avesse conservato, gli avrebbe tolto la liceità dell'intelligibilità: nel giudizio categorico l'intelligibile soggetto è già un disarticolato e un molteplice di più componenti il quale conserva la sua unità,




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