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Giordano Bruno Cavagna
(n. 1921 - m.1966)
Metaf. class. e metaf. cristiana

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  • Prot. 252 - 301 F2
    • 263-64
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[pag 371 (263 F4 /264 F1)]

un'immagine impoverita e deforme di esso; ma sento anche pesare su di me i millenni di un certo modo di guardare alle cose entro il quale ha il suo trono di privilegiato questo pensiero assoluto e in sé, e avverto che la loro presenza è ragione non piccola e non ultima della ripugnanza e dell'accusa; è certo che l'esclusione dall'autocoscienza di una sua accidentalità o di una sua contingenza rimanda alla sua coessenzialità con l'intelligibile autocosciente, perché un'autocoscienza che non sia conseguenza necessaria di una ragione altra dall'intero ontico cui si sovraggiunge o per la quale non si ritrovi nessun ontico autocosciente che ne sia ragione deve necessariamente far tutt'uno con il complesso della materia e della forma di ciò in cui la si ritrova, ed è certo che questa coessenzialità finisce per escludere gli ontici autocoscienti di conoscenza, di rappresentazione, di sapere, di pensiero, di soggetto, di oggetto ecc. con cui siamo soliti dialettizzare la sfera degli ontici autocoscienti in generale; ma io credo che un approfondimento di questa coessenzialità riesca ad annullare la ripugnanza dell'indifferenza tra autocosciente e autocosciente e a privare dell'impoverimento e della deformazione l'immagine di una sfera di autocoscienti vuota di un pensiero ontico in sé; quando si parla di coessenzialità dell'autocoscienza con l'intelligibile, si deve muovere dall'essenza dell'intelligibile autocosciente: entro di essa siamo soliti distinguere una materia da una forma; le cose sono facili se si tratta di definire o descrivere la forma, lo sono meno per la definizione o descrizione della materia, perché, quando si dice che la forma è un certo rapporto tra due ontici variabili che è apodittico e che, mentre è in sé quel che è, simultaneamente riveste ciascuno dei due ontici di una funzione nei confronti dell'altro, facendo dell'uno ciò il cui modo di essere pone necessariamente il modo di essere dell'altro e facendo di questo ciò il cui modo di essere pone necessariamente il modo di essere del primo, secondo un vincolo che è detto di dipendenza funzionale, vincolo che solo in apparenza o meglio solo in rapporto a certi punti di vista da cui si guarda a certe variabili è tale per cui l'uno degli ontici, l'indipendente funzionale, è dichiarato agente, ossia fonte e principio di ontità e di modi ontici per sé e per l'altro, mentre l'altro, il dipendente funzionale, è dichiarato paziente, ossia traente dall'altro la propria ontità e i propri modi ontici, ma che di fatto, e relativamente alle dialettiche riguardate da se stesse ((stesso)) come da unico punto di vista legittimo, ignora questa distinzione in quanto l'indipendente funzionale acquista questo modo ontico della funzionalità solo relativamente al suo correlato da cui, per ciò, riceve la necessità di un suo modo ontico e rispetto a questo si fa dipendente funzionale del proprio dipendente funzionale, quando dunque si parla di questo ontico autocosciente che è la forma, pare che nulla si opponga alla sua pensabilità, ossia alla sua ontità autocosciente incondizionata dall'autocoscienza di qualsivoglia altro ontico autocosciente; se invece si dice che la materia è ciò che dei due ontici accoglie la forma, ossia è quelle modalità ontiche dei due autocoscienti le quali entrando nel rapporto della forma si vedono giustapposte come ulteriori denotanti le rispettive funzioni che ciascuno esplica nei confronti dell'altro, pare che la pensabilità della materia




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