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Giordano Bruno Cavagna
(n. 1921 - m.1966)
Metaf. class. e metaf. cristiana

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  • Prot. 252 - 301 F2
    • 265
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che nessuna analisi geometrizzante ha la liceità di isolare in un ontico autocosciente con una materia e una forma propria e qualitativamente altre da quelle delle altre biffe, né quei dati che sfuggono ai principi di ragione perché o offendono il principio di identità o non offrono nessuna denotante che sia ragione sufficiente dell'apoditticità del rapporto dialettico in cui entrano come biffe, né quei dati che debbono sì esser geometrizzati dalle dialettiche in ontici autocoscienti loro biffe, ma che non albergheranno mai una materia che li faccia biffe di una dialettica che li correli alle denotanti dell'intelligibilità, è evidente che l'obiezione ha sott'occhio sia l'apparente inettitudine della ragione a inserire nel quadro delle dialettiche che è pretesa unificazione equivalente all'unità, un ontico autocosciente qualitativamente  determinato ed eterogeneo dagli altri che sia il simmetrico di ciò che l'unificazione ha perduto, ossia il qualitativo unitario che è il modo ontico di ogni unità sintetica, sia l'apparente inettitudine delle sensazioni e delle percezioni ad assumere nella propria materia quei modi di intelligibilità e di permanenza costante che unici consentirebbero di farne degli intelligibili biffabili legittimamente con l'intelligibile in esse((esso??)) immanenti((e)) inautocoscienti((e)) e unici fornirebbero ragione dell'accettazione dell'intelligibilità che è poi la stessa immanenza inautocosciente dell'intelligibile, inettitudine che si associa all'impossibilità delle dialettiche di distinguere nettamente nella materia una biffa che sia intelligibile immanente inautocosciente  entro il sensoriale intuito da una biffa che sia sensazione o percezione con immanenza inautocosciente dell'intelligibile, e all'impossibilità delle stesse dialettiche di conservare all'intelligibile l'unità e la semplicità che gli competono come attributi apodittici e condizionatori della sua intelligibilità e insieme di farlo biffa con le sue denotanti e con le sensazioni e percezioni in cui deve immanere con inautocoscienza, sia l'impossibilità delle dialettiche di liberare l'intuito in genere, che pur deve entrare come biffa di nessi intelligibili, dalla contraddittorietà o per simultaneità, qual è quella del movimento rilevata dagli argomenti di Zenone, o per successione, qual è quella del divenire direttamente rilevata dal ripudio parmenideo e platonico di questo mondo e indirettamente sottolineata dalla logica hegeliana, la quale si limita ad imporre come apodittico di diritto quanto è inintelligibile di fatto; consideriamo questi vari aspetti: quando si parla di inettitudine della sfera delle dialettiche ad albergare un intelligibile, si è tenuti ad evitare un'ambiguità, di scambiare l'impossibilità assoluta di tale sfera a porre un certo autocosciente a biffa di una qualsiasi dialettica, o per vacuità totale dell'autocosciente, quale, ad es., il concetto di causa della causa prima, o per antinomia dell'autocosciente, quale, ad es., il concetto di sirena omerica, con l'illiceità ad assumere a biffa un intelligibile autocosciente con forma e funzioni e rapporti dialettici ben definiti e apodittici ma con materia o zero o variabile; se noi chiamiamo il primo autocosciente un concetto falso o apparente e il secondo un concetto problematico, come quello che rispetto alle sue denotanti materiali gode di liceità e non di apoditticità dialettica, la nozione del qualitativo che è il modo ontico dell'uno sintetico da unificarsi alle altre componenti


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le cui dialettiche rendono la loro unificazione equivalente all'unità sintetica, è un concetto che non è impossibile, cioè né falso né apparente per la ragione, ma è o un intelligibile materialmente e formalmente denotato al pari degli altri, come avviene per certe unificazioni storiche o tecniche ad esempio, o è un concetto problematico, nel qual caso esso si sovraggiunge agli altri del complesso dialettico unificatore a completarne l'equivalenza con l'unità, sia pur restando vuoto nella sua materia e perciò attendendo il proprio completamento materiale o apodittico o ipotetico, ma sempre ottemperando a tutte le condizioni dialettiche data la determinatezza e apoditticità della sua forma: se si vuole, si giustappone come un'incognita, che sia variabile dipendente, la quale è zero rispetto alla sua definizione quantitativa, ma non rispetto ai rapporti che la connettono alle altre variabili in connessione funzionale con essa; quanto all'insufficienza di certe rappresentazioni che pur entrano nella sfera dialettica a rivestire tutti gli aspetti formali dell'intelligibilità, se per esse s'intendono le sensazioni e le percezioni abbiam già visto che un'inintelligibilità loro assoluta non è del tutto ammissibile, sia che si muova da un platonismo o aristotelismo, in cui in ogni intuito c'è pur sempre il riflesso di un intelligibile, sia che si muova, e a maggior ragione, da un empirismo o puro o mascherato, pel quale l'insufficienza del rapporto intelligibile in sé a fondare l'intelligibilità immanente nel fenomenico rimanda a un intervento sussidiario degli stessi intuiti i quali collaborano col rapporto, e lo debbono fare, onde nell'intendimento insorga un autocosciente che sia o sia trattato per intelligibile; e questo intervento si dà alla condizione che nell'intuito si rinvengano alcuni degli aspetti che son fondamento di intelligibilità; che se poi a questi aspetti manca quello essenziale di note immanenti che sian ragioni sufficienti apodittiche garanti dell'apoditticità di tutti gli altri fondamenti dell'intelligibilità dell'intuito, è ancora la cagione che rileva siffatta assenza, abbassando al rango di concetto problematico sia l'intuito che è introdotto nelle dialettiche intelligibile((i)), sia il nesso dialettico con cui la materia dell'intuito è correlata, come ragione, alle altre note formali che si sovraggiungono alla materia come denotazioni di intelligibilità, sia i nessi di tutte le dialettiche che hanno a biffa l'intuito in quanto già problematicamente dialettizzato con sé come da ragione a conseguente di intelligibilità; il che è poi quel che fa la sfera dialettica in Hume e in Stuart Mill; e col far ciò questa sfera completa il quadro delle dialettiche di unificazione fino a renderlo equivalente con l'unità sintetica del fenomenico e lo completa con perfetta aderenza all'uno del fenomenico, che se pervaso di un'intelligibilità inautocosciente manterrà il problematico degli intelligibili, costantemente identico a se stesso, mentre, se vuoto di intelligibilità, rivelerà l'inintelligibilità del problematico la cui esclusione si accompagnerà all'esclusione del complesso dialettico unificatore, rapporto intelligibile compreso; d'altra parte, quell'illiceità pesante sulle dialettiche di offrirsi a biffe intelligibili che siano immanenti inautocoscienti entro l'intuito fenomenico e che salgano all'autocoscienza senza accogliere nessuno degli autocoscienti intuiti, senza cioè assumere nella propria nessuna materia del sensoriale e del percepito,


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 è per essa un dato autocosciente che la ragione pone a biffa della sua unificazione dialettica, sia che accolga l'intelligibilità di tipo platonico o aristotelico, nel qual caso tratta la materia del sensoriale accolta nell'intelligibile come un simmetrico equivalente di un intelligibile costantemente problematico nella materia, sia che si rifaccia all'intelligibilità di tipo empiristico o kantiano, nel qual caso, o esplicitamente ossia con completa presa di contatto di sé su se stessa, o implicitamente ossia con una dialettica che si lascia sfuggire alcune delle componenti che pur sono autocoscienti, trasferisce necessariamente qualche aspetto dell'intelligibilità del rapporto intelligibile alla materia fenomenica onde sfuggire al rischio di svuotarsi di qualsiasi contenuto, compreso quello della descrizione di se stessa e onde conservare a sé un sia pur minimo diritto di costruirsi secondo dialettiche legittime ed intelligibili; se poi l'insieme delle dialettiche sembra smarrire l'unità e la semplicità dell'intelligibile che pretendono ritradurre nella loro unificazione, si deve riprendere quanto sopra si è detto, anzitutto che l'unificazione dialettica pone sempre sé ad equivalente e non a identico di un intelligibile inautocosciente in sé, in secondo luogo che l'equivalenza è sempre conseguita con l'inserzione dialettica di nuove biffe, che sono anche concetti problematici, ma che mirano sempre a riempire quei vuoti che priverebbero l'unificazione della sua pretesa equivalenza con l'uno in sé;e grazie appunto a questo articolare, sul nucleo centrale delle dialettiche di unificazione, di concetti o apodittici o problematici che inseriscono nell'unificazione quel qualitativo dell'uno che, o a causa della sua disarticolazione o a causa della cecità delle dialettiche nei suoi confronti, mai è materia di un intelligibile apodittico, la sfera dialettica si offre l'intelligibile autocosciente come l'asintoto dell'intelligibile simmetrico inautocosciente, cioè come qualcosa che è altro da questo per la molteplicità disarticolata in discontinuità geometrica che permette le dialettiche stesse, e come qualcosa che, arricchendosi via via di nuovi autocoscienti, sia pur problematici, tende a superare la discrezione geometrica con l'unificazione dialettica e con l'accoglimento di un numero sempre maggiore di denotanti qualitative, alcune delle quali addizionano all'unificazione quel qualitativo che è uno nell'unità sintetica e con ciò la rendono atta a dialettizzarsi con quegli intuiti fenomenici autocoscienti entro cui l'intelligibile dovrebbe giacere inautocosciente; e, infine consideriamo quel che consegue o ai discorsi di Zenone che dall'antinomia del movimento inferiscono l'inintelligibilità del movimento in quanto contraddittorio per simultaneità come quello il cui concetto deve ricevere simultaneamente due denotazioni che hanno tutti i crismi della contraddizione, o ai discorsi di Parmenide e di Hegel, i quali dalla contradittorietà del diveniente inferiscono l'inintelligibilità del divenire in genere in quanto contraddittorio per successione come quello il cui concetto deve ricevere diacronicamente denotazioni che a livello del fenomenico sono e hanno ontità e quindi non sono contraddittorie, ma a livello dell'intendimento debbono essere ricondotte ai principi di identità e di ragione, per la loro forma di denotanti di un preteso intelligibile, e insieme li offendono sicché ricevono anch'esse tutti i crismi della contraddizione;




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