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Giordano Bruno Cavagna
(n. 1921 - m.1966)
Metaf. class. e metaf. cristiana

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sposta a siffatto problema, il mio discorso rinuncia a farsi duplice e a risolvere entrambe le problematiche delle due ragioni sufficienti delle due metodiche, si limita a investire una sola ragion sufficiente, quella del principio funzionale implicito ed omogeneo in entrambe le metodiche. Di questa argomentazione momento indiretto è stata la dimostrazione dell’assurdità e impensabilità del primato del problema, e correlativa soluzione, della connotazione del concetto di principio metafisico per questa o quella delle due opposte modalità della natura, siffatto primato comportando l’unità univocità inerenza in esso di ragioni sufficienti di un unico genere e insieme l’inferibilità di determinazione che, une ed univoche di diritto, ma contraddittorie e ambigue di fatto, rimandano al loro principio, la metodica, come a qualcosa almeno di bivalente nel suo concetto e quindi di dipendente da un’ulteriore serie di ragioni sufficienti, le quali a loro volta riguardano da un lato la funzionalità della metodica, dall’altro la relazione di predicabilità tra l’ignoto primo ontico e le note rappresentazioni fenomeniche e quindi stabiliscono il primato di questo rapporto come problema supremo dalla cui soluzione dipende la determinazione di tutti gli altri - il modo di concepire il rapporto di predicazione tra le concezioni fenomeniche e la connotazione della nozione di primo ontico entro il giudizio primo metafisico determina l’uso a tale fine di qualsivoglia tra le classi del fenomenico che, una volta divisa la natura in sfere eterogenee, venga assunta come fonte prima di conoscenza del primo metafisico, e quindi condiziona le modalità funzionali di qualsivoglia delle due metodiche sia stata assunta per altre ragioni sufficienti come la sola capace di illuminarci nell’interpretazione metafisica e naturale delle cose. Con ciò l’argomentazione esige il suo momento diretto.

Principio della dimostrazione diretta del primato della predicabilità del concetto di primo nell’essere con nozioni fenomeniche in genere sulla predicabilità del medesimo concetto con queste e non quelle delle nozioni fenomeniche, e quindi del primato del problema della quantità e non della qualità del fenomenico noto da assumere di diritto e di fatto a predicato di un concetto primo metafisico, è la condizione già data della mediazione in genere tra enunciato primo metafisico ed enunciati metafisici secondi. Se è vero che da qualsivoglia fenomeno si pretenda

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muovere per inferire la connotazione del loro concetto da uno stato di conoscibilità che dia in congruenza reciproca le illazioni dalla nozione del primo metafisico e dalle rappresentazioni intuitive del fenomeno stesso, si impone pur sempre che già il primo metafisico sia stato determinato nel supremo dei giudizi metafisici, è altrettanto vero che tale determinazione non solo è avvenuta attraverso una connotazione sfruttante nozioni del fenomenico assunto, ma si è verificata pure in ottemperanza con i canoni generali di una connotazione in genere del concetto in genere di un primo metafisico, e che questi canoni sono altrettanti modi eretti a regole dopo esser stati trascelti, in nome di questo o quel principio formale, di questo o quel metodo metafisico generale, entro il numero totale dei modi di conoscere umani in generale. Sicché la mediazione tra il fenomeno da interpretarsi alla luce delle conoscenze metafisiche e il soggetto umano interpretante è in realtà duplice, fondata com’è su due ordini di nozioni medie, quelle di metodica metafisica in generale, che sono le più vicine al pensiero analizzante e le più lontane dal concetto che attende luce, e quelle di metafisica in atto, che sono le più lontane da quello e le più vicine a questo e quindi la sorgente diretta della sua illuminazione; ma appunto per questo il processo del pensiero non è dal fenomeno ignorato scelto per essere conosciuto al fenomeno scelto e reso noto per interpretazione induttivo-metafisica o analitico-deduttiva attraverso il primo nell’essere, ma è dalla medesima linea di partenza al medesimo traguardo tramite un metodo di portata metafisica e la conoscenza del primo nell’essere ottenuta per applicazione del metodo. La determinazione del metodo dipende molto meno di quel che si afferma e molto meno di quel che pare immediatamente evidente dal qualitativo ed essenziale alla sfera assunta tra quelle in cui si è o voluto o potuto frangere il fenomenico. Si ammetta infatti che la natura sia ambigua e contraddittoria essendo le sue connotazioni essenziali due, quella di essere per determinismo causale, e quella di essere per indeterminismo libertario, in primo luogo si tratta di vedere se la scissione del fenomenico sia bipartizione di sfere o astrazione di elementi, il primo modo di scissione essendo una dicotomia del totale fenomenico in fenomeni, il secondo modo essendo una dicotomia di un fenomeno complesso in componenti semplici ed elementari,

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il primo modo di scissione consentendo la coesistenza di due eterogenei fenomenici e quindi non sovrapponendo e contrapponendo l’ideale al reale, il secondo modo di scissione rendendo inintelligibile l’esistenza di un complesso al di fuori e al di là della composizione dei semplici elementari e con ciò sovrapponendo e contrapponendo l’ideale al reale; in secondo luogo nessuna decisione in merito alla scelta può essere presa se prima non si sia deciso che cosa ci sia di metafisico nel fenomenico, o in termini più intelligibili che cosa del fenomenico si manifesti tale da richiedere l’appello a qualcosa d’altro dal fenomenico e perciò da potersi assumere come degno e congruente segno del metafisico e, in conseguenza, sufficiente e idonea nota di una connotazione del primo nell’essere; può sembrare che la prima decisione condizioni la seconda, che cioè sia la scoperta di un attributo essenziale della natura e la sua eterogeneità da altro attributo a portare necessariamente il pensiero a connotare secondo un modo solo della natura il concetto di primo ontico, sicché la cernita del segno di portata metafisica entro il fenomenico sarebbe una pura conseguenza di tale scoperta e sarebbe implicitamente contenuta in essa; ma c’è da chiedersi se la dualizzazione della natura sia conseguenza di un metodo generale dell’utilizzazione del fenomenico a fini di conoscenza metafisica, o non lo sia di un caso particolare di un metodo veramente generale, se cioè sia lo stabilire ciò che di essenziale c’è nella natura e quindi di utilizzabile a connotazione del primo metafisico sia il prodotto primo delle analisi che in generale si fanno su tutto il fenomenico in genere

per fissare i modi generici della sua utilizzazione a tali fini, oppure se queste analisi non menino ad altro risultato ancor più generale, e precisamente a quanto e non a quale del fenomenico sia atto a tale uso. La situazione non è identica nei due casi e non si tratta di un giuoco di parole: infatti lo stabilire il quanto non determina il quale in sé, ma determina sempre il quale in generale e l’uso che dei vari quali può essere fatto in metafisica, ma non viceversa, perché essendo un quale naturale o univoco e in questo caso coincidendo col quanto o ambiguo-equivoco e in questo caso non coincidendo col quanto, si avrà la possibilità di una illazione del quanto naturale da predicare del primo ontico solo in una identità sua col quale; ma l’identità del quale

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e del quanto non sarà mai offerta dal fenomenico intuito, o almeno non mi pare che necessariamente lo sia, e soltanto una deduzione dal primo giudizio metafisico può porla. Un’analisi razionale del fenomenico conduce almeno a un’ambiguità costante del naturale e quindi a uno squilibrio estensivo fra quantità e qualità del fenomenico. E allora, di fronte a una situazione qualitativa del naturale, almeno di portata duale, la decisione se utilizzare uno solo dei due modi, e quale, e perché, e la connessa decisione delle condizioni in cui lasciare, nei confronti del primo ontico, il quale estromesso, e insieme la decisione contraria di assumerli entrambi a connotare il concetto del primo metafisico con il connesso problema di armonizzarlo secondo una o altra spiegazione della loro unità scavalcante la loro opposizione, non possono essere certo fornite se non da un previo criterio circa il quanto che del fenomenico in genere si può usare come predicato nel giudizio metafisico primo. Quando Fichte e quando Hegel dichiarano la qualità spirituale-ideale del fenomenico nota metafisica per eccellenza, non estromettono dalla connotazione del principio l’opposto qualitativo del naturale-determinato; con ciò hanno deciso già del quanto si debba e si possa a diritto predicare del concetto di primo ontico, con una differenza però tra i due che il quanto del primo è infinito e quindi indefinito e perciò puramente possibile, mentre il quanto del secondo è finito e determinato e quindi in atto; ma un quanto, possibile per infinità non in atto, è di diritto, rispetto a ciò che di esso di fatto è dato e di diritto è dabile, un quanto mai totale e sempre parziale, il che tradotto in termini logici suona che del fenomenico non tutto può penetrare nel predicato del primo giudizio metafisico nel quale quindi la nozione del soggetto resterà un conoscibile permanentemente non conosciuto, ossia un noto per utilizzazione parziale del quanto fenomenico; non altrettanto si dice del secondo. Ma se la questione del quale fenomenico è condizionata dalla soluzione della questione del quanto, il primo problema della metafisica pura deve allora ricevere la seguente postazione: il giudizio che ha a suo soggetto




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