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Giordano Bruno Cavagna
(n. 1921 - m.1966)
Metaf. class. e metaf. cristiana

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  • Prot. 252 - 301 F2
    • 275
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[pag 407 (275 F1 /2)]

in quanto, se è necessario che si muova dalle materie per darsi ragione del modo formale e del modo ontico del rapporto, non è lecito prescindere da essa per darsi ragione di quell'unità e di quella funzione unificatrice che sono denotanti categoriali del rapporto, con la conseguenza da un lato che solo la loro immanenza in un uno qualitativo ed essenziale come porzioni, attribuisce ad entrambe il diritto di farsi principi di quei modi del rapporto, dall'altro che, essendo quel qualitativo ed essenziale un uno alla condizione che non sia dirotto in parti, il rimando ad esso delle materie biffe di una dialettica è sia ricavo da esso della funzione reciproca delle due materie e del correlativo rapporto, la cui intelligibilità è ancora una volta dimostrata nel suo modo formale di inferito da altro e non da sé, sia riferimento o a un uno che è biffa di un'altra dialettica e che come tale rimanda all'intelligibilità di una superiore unità rivelata però dal fatto che si è spezzata in parte o a un uno che gode di intelligibilità senz'esser biffe di nessuna forma e che tuttavia rivela la sua intelligibilità per il suo spezzarsi in biffe; ora, dalle due definizioni e dalle quattro conseguenze, derivano ulteriori connotazioni dell'intelligibilità: l'ontico intelligibile è tale quando è disarticolato e unificato e quindi la sua unità di diritto e di fatto, che è il principio della legittima intelligibilità della dialettica e della sua materia e forma, è o un intelligibile problematico, come quello che è nell'autocoscienza con la pretesa fondata di diritto ma mai verificata di fatto di godere di un'unità non scissa in parte e di un certo modo qualitativo che è la sintesi indisgiungibile delle parti, o un intelligibile inautocosciente, come quello che è immanente inautocosciente sotto un aggregato percettivo e rivelantesi attraverso certi modi che son propri sia dell'unità della percezione sia della costanza o ripetizione delle sensazioni dell'aggregato e delle loro relazioni, sicché l'unico intelligibile apodittico e non problematico di una sfera dialettica di condizione umana è sempre e solo una dialettica che pone la propria legittimità a conseguenza di quel concetto problematico e a principio della legittimità della propria forma e della propria materia; per questo non saranno mai date una definizione della forma che ignori totalmente le connotanti della materia, una definizione della materia che ignori totalmente le connotanti della forma, definizioni della forma e della materia che ignorino totalmente le connotanti di una dialettica in genere in quanto unico intelligible unitario dotato di autocoscienza; infatti, se le dottrine che pretendono rimontare al rapporto come all'unico principio dell'intelligibilità delle dialettiche sembrano darsi il diritto di definire la forma indipendentemente dalla materia ma alla condizione di lasciarsi sfuggire il condizionamento di fatto che questa opera su quella e se le dottrine che fan capo solo alla materia per giustificare l'intelligibilità della dialettica sembrano sganciare la definizione della materia dalla forma ma alla condizione di escludere la dipendenza di fatto di quella da questa, quando si muova dalla dialettica come da unica fonte per entrambe, pare che sia giusto rilevare il condizionamento reciproco delle due; tuttavia se le condizioni di un dialettizzare in generale sono di disarticolare un'unità sintetica in porzioni eterogenee e discrete e di ricostruirla con l'unificazione di queste parti


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[pag 408 (275 F2 /3)]

e con l'inserzione entro l'unificato di tutti i componenti che sian sfuggiti a precedenti unificazioni tendendo a rendere l'unificazione via via la più equivalente possibile all'unità o con concetti apodittici  o con concetti problematici, si tratta di vedere se anche per quell'unità che è una dialettica siano consentite operazioni identiche; per un tentativo di cogliere la materia in quanto eterogenea e discreta dalla forma, si deve distinguere fra dialettiche che pretendano di rapportare ontici autocoscienti che son altri dai dati sensoriali, le quali qui ammettiamo in vista del particolare fine, e dialettiche che riconoscano a sé la liceità di rapportare solo o sensoriali o aggregati di sensoriali, ed entro le prime si deve distinguere una dialettica che muova per legittimare il modo dei propri spostamenti d'attenzione dalla struttura dell'ontico di tipo platonico da quella di tipo aristotelico: in una dialettica a base platonica, la materia dovrebbe essere data da due ontici autocoscienti, riproduzioni di due idee, che, come tali, dovrebbero essere ciascuno l'autocoscienza di una continuità unitaria qualitativamente omogenea e indivisa di fatto e di diritto, dalla quale non promana nessun ontico autocosciente altro da essa, come la parte è altra dal tutto, che sia ragione del peculiare rapporto o forma, di parte a tutto o di tutto a parte, che lo vincola all'altro, sicché in un certo senso la ragione della forma dei due intelligibili materie della dialettica dovrebbe essere ricercata fuori da essi e precisamente nella reminiscenza della totale struttura del mondo delle idee con tutte le sue gerarchizzazioni o rapporti di sovra- e di sottoordinazione i quali sono gli unici fondamenti delle forme e insieme sono le uniche forme delle dialettiche; a parte tutte le aporie che qui si trovano e a parte soprattutto l'assenza di una corrispondenza di fatto tra i problematici della teoria e gli apodittici delle effettive nostre dialettiche, resta che la materia è presa per una continuità omogenea che risente molto di quella di cui abbiamo autocoscienza come modo ontico di una sensazione, soprattutto se ci è data isolata da un contesto percettivo; passiamo a una dialettica a base aristotelica: anche qui si deve ammettere che gli ontici che son biffe di dialettiche siano qualcosa d'altro dalle sensazioni, ma per una definizione a sé della materia si deve decidere se muovere dalla specie infima o dalla categoria, e, poiché la specie infima non appena si fa biffa di una dialettica vede la propria unità dirompersi, non resta che rifarsi alla categoria cui ((??mi??)) pare fatale l'assenza di ogni lecita disarticolazione: evidentemente, per cogliere la funzione di materia, nella sua purezza e nella sua genericità, attraverso l'autocoscienza di una categoria, conviene muovere da una dialettica che abbia a biffa una categoria e di cui quindi la categoria dev'essere predicato, cogliere questa categoria nel rapporto di immanenza in cui la dialettica la pone col soggetto e insieme isolarla escludendo dalla sua autocoscienza l'autocoscienza dei rapporti in cui è pensata entro la connotazione del soggetto: quel che resta è un intelligibile autocosciente il cui atto è quel che chiamiamo categoria con la sua specificazione epesegetica e la cui potenza è la serie  di tutte gli intelligibili cui s'accompagna in tutte le connotazioni in cui immane, e quel suo atto, che è il simmetrico autocosciente dell'autocosciente immanente nel pensato divino


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[pag 409 (275 F3 /4)]

e facente tutt'uno con una parte diciamo così di Dio, è ancora da definirsi come un continuo indiviso il cui essere o ontità intelligibile s'identifica con un certo modo o conformazione dell'essere in un'unità per la quale più che di omogeneità, il cui concetto esigerebbe la connotante della qualità, è da parlarsi di indistinzione di parti che la frazionino e per la quale quindi una vaga definizione è fornita solo dal ricorso analogico alla continuità indivisa di una sensazione isolata in cui il generico del sensoriale si fonde indistinto col generico della classe sensoriale stabilita in funzione dell'organo e col modo suo peculiare che la distingue da tutte le altre conclassarie; quanto alle dialettiche a base sensoriale, una definizione della materia in sé è più facile se non da enunciarsi dialetticamente almeno da cogliersi intuitivamente col rimando a quella continuità omogenea di una sensazione isolata; si potrebbe quindi dire che la materia biffa di una dialettica in generale è una continuità indistinta a modalità unica e semplice, se non si opponesse il fatto che questa continuità ha un senso solo se è pensata per dir così con una sua corposità, come una sorta di pieno, se si vuole immateriale e aspaziale, ma con tutte le liceità che il senso comune affibbia al corposo materiale, perché deve poi risultare atta a giustificare il suo esser biffa di un rapporto intelligibile e quindi la sua natura di intelligibile con una certa essenza, con una certa funzione, con una certa attitudine ad agire e patire, tutte cose che quella mera patina di continuità è insufficiente a rendere ontiche non solo per le materie delle dialettiche platoniche e aristoteliche, ma anche per quelle empiristiche o kantiane; d'altra parte, la stessa continuità con quei suoi attributi, una volta ricavata dalla meno disarticolabile delle biffe, diventa attributo costante di tutti gli intelligibili che, in quanto materia, entrino come biffe in una dialettica pur conservandovi un'unità che solo indirettamente rimanda per la propria intelligibilità a una disarticolazione con unificazione dialettica, ossia degli intelligibili predicati, i quali in fondo sono le uniche biffe delle dialettiche la cui unità venga abbastanza mantenuta al di là della rottura operata dalla dialettica; e anche nel caso dei predicati, la mera pellicola del continuo indistinto deve completarsi con una corposità intelligibile per lasciare alla materia tutto quel che essa deve contenere, il che vale anche per le dialettiche a base empiristica; risulta, allora, che la ragione è in grado di dirompere in discreti eterogenei l'unità della dialettica in genere alla condizione di assicurare a uno dei distinti un certo modo ontico di pienezza tridimensionale che non si vede come un aspaziale riesca a possedere e che d'altra parte non si vede come gli si possa sottrarre se l'ente, destinato a sussistere come biffa, deve porsi come un qualcosa da cui deve fuoruscire per disarticolazione una serie di ontici altri da esso, anche per un empirismo le cui dialettiche sono sì riconducibili a dialettiche con a materia dei meri sensoriali, ma alla condizione, almeno per un buon numero di esse, di assumere a materia dei gruppi di sensazioni, che finiscono per essere trattati come dei tridimensionali; se non ho commesso errori nel prendere contatto con le mie dialettiche, io non riesco a definire o descrivere una materia di una dialettica e a non immettere nella definizione o descrizione note




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