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Giordano Bruno Cavagna (n. 1921 - m.1966) Metaf. class. e metaf. cristiana IntraText CT - Lettura del testo |
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[pag 440 (285 F1 /2)] o specie infima o genere sommo che sia, non ha a suo principio null'altro che se stesso e ha per sé una sola condizione di ontità, l'autocoscienza e l'attenzione che gioca su di esso, anche nella seconda l'intelligibile ha a suo principio null'altro che se stesso e tutt'al più avrà la sua ontità condizionata dal fatto che è pensato da un'autocoscienza che coincide con tutte le cose o dal fatto che è momento di un'autocoscienza da cui procedono esso e tutte le cose; siccome nella prima relazione unico suo servizio è quello di originare dell'intelligibilità, almeno quella di condizione umana che è costituita dalle dialettiche, anche nella seconda esplica un solo servizio, quello di generare dell'intelligibilità, che sarà un certo modo assunto da quelle cose che altrimenti non avrebbero intelligibilità; che se per caso l'intelligibile di condizione umana vien svuotato di ogni materia qualitativa e ridotto o a un rapporto o a quello strano concetto di rapporto che è la somiglianza, le cose non cambiano perché siffatto rapporto vien ritrovato a principio e causa degli identici rapporti che si ritrovano in quelle cose che altrimenti non vi giacerebbero, o siffatta somiglianza, trovata nelle cose che la forniscono alle dialettiche e che attraverso essa entrano nelle dialettiche, quando la si voglia ben approfondire, finisce per diventare l'effetto di un qualcosa che è suo principio e causa e che coincide con la somiglianza o con un suo modo tout court; e così vien tradotta nella totalità delle cose l'intelligibilità di tipo umano con il suo corteo di molteplicità organizzata in unità, di rapporti fra parte e parte dei molteplici, di relazioni, da genere a specie o da specie a genere o da cogenere a cogenere, fra molteplici; ma i modi di costante incompletezza e di instabile permanenza delle dialettiche di condizione umana, insieme alla loro insufficienza a fondare un'unificazione dei dialettizzati che promani da esse e non da un'unità che le trascende, se da un lato rimanda a una sfera di dialettiche autocoscienti compiuta e stabilmente inalterata la quale ha la sua base in una serie di intelligibili unitari o semplici e l'un l'altro irrelati, dall'altro avvia nell'una o nell'altra di queste direzioni, o a attribuire ontità solo ad essa e a lasciare all'altra sfera dialettica il solo titolo di limite, nel qual caso vengono cassate tutte le liceità di interpretazione dell'intelligibile che si danno muovendo da essa, ossia la riduzione dell'ontico in genere a intelligibile, l'immanenza inautocosciente di intelligibilità in qualcosa che non sia o non si manifesti immediatamente tale, la coincidenza dell'ontico in genere con un ontico che sia insieme intelligibilità e qualcosa d'altro da questa o con un ontico che sia intelligibilità e che si contrapponga a qualcosa d'altro da questa, o ad attribuire ontità in sé a siffatto limite;ma in questo caso si devono fare i conti con un duplice modo dell'intelligibilità, quello dialettico e quello unitario e si deve vedere se all'uno spetti tutto ciò che è dell'altro e viceversa, se i rapporti della totalità delle cose con l'intelligibile sian da costruirsi tra quella e il primo o tra quella e il secondo, se l'autosussistenza originarietà funzionalità di principio del primo sia anche del secondo o se per caso le diverse modalità di ontità del secondo non trascinino seco l'esclusione da esso di tutti questi caratteri e quindi non comportino un differente rapporto di esso con la totalità delle cose [pag 441 (285 F2 /3)] e un diverso servizio di esso entro la totalità delle cose; si tratta qui di scegliere tra il ridurre l'intelligibilità ai modi che sono delle condizioni umane, con la conseguenza che cade qualunque tentativo si faccia per utilizzare siffatta intelligbilità, incompiuta, imperfetta, aleatoria, diveniente o come ontico totale o come momento dell'ontico, e il bipartire l'intelligibilità fra un ontico che ha quei modi e che è nostro e un altro ontico che a lato di questi modi ne giustappone altri; ma, in questo caso, la dialettica fra l'intelligibile in sé e il tutto delle cose non avrà il diritto di assumere a sua forma quella che gli proviene dalle dialettiche di condizione umana, e il rapporto tra cose e intelligibili in sé solo in parte avrà la liceità di coincidere con quello tra degli effetti, che non son altro che accettazioni di un travaso di intelligibilità, e una causa che non è altro che la condizione e l'effetto di siffatto travaso: il guardare al mondo, come fanno un Platone, un Aristotele, un Kant, un Hegel, un Hume, uno Stuart Mill, i quali da punti di vista e con modalità diverse, fanno delle cose un miscuglio di intelligibilità e di ontici che attendono di riceverla e che la ricevono, significa prendere quel che è proprio dell'intelligibilità di condizione umana e travasarlo nell'intelligibilità in sé, di cui si è posta l'ontità, il che sarebbe lecito se tra le due intelligibilità ci fosse quell'identità che è presunta, ma la cui ontità non è né di fatto né di diritto, tant'è vero che, una volta ammessa l'ontità in sé di intelligibili, non solo la si deve sdoppiare nelle due zone degli intelligibili semplici e irrelati e degli intelligibili dialettizzati e quindi si deve stabilire quale delle due entri come componente del tutto, ma si è anche tenuti o a non giustificare la prima zona se si fa componente del tutto la seconda o a spiegare come nel tutto si diano quei rapporti tra note e connotazioni e quindi fra strutture intelligibili se si immette nel tutto solo la prima o a chiarire come sia questo tutto se vi si immettono tutt'e due; e si badi che la questione non investe solo la struttura dell'ontico tutto, ma anche il servizio che vi fa l'intelligibile: resi identici i due intelligibili, quello di condizione umana e l'altro in sé, il mondo diventa un tutto con tensione all'intelligibilità, sotto tutti i punti di vista da cui lo si guardi, anche quello morale, come dimostrano le etiche pagane e kantiano-romantiche, ma se i due intelligibili si riconoscono per quel che sono, ossia degli equivalenti e non degli identici, la tensione all'intelligibilità che sarebbe di tutte le cose diviene difficile o impossibile a conservarsi dal momento che quella sua condizione che è l'intelligibile in sé cessa di esser ragione sufficiente di generarla e di generare quella sua meta che è l'intelligibilità, almeno come noi ce la rappresentiamo, in quanto, se non altro, se ammette di correlarsi con altri intelligibili in sé, perde l'unità causatrice, se conserva questa non si correla più con intelligibili; insomma, se si pone un'intelligibilità in sé, qualsivogliano siano i suoi modi, e io non riesco a vedere come si riesca ad espungerla, diventa molto difficile far coincidere con essa la totalità delle cose, la quale per lo meno dovrebbe sdoppiarsi in due ontità a modalità distinte, e diventa illecito pensare il rapporto fra l'intelligibilità in sé e il resto del reale secondo la stessa forma con cui noi dialettizziamo [pag 442 (285 F3 /4)] un intelligibile con la sfera dialettica di cui fa parte; io non so se mai acquisterà autocoscienza di condizione umana un ontico che sia teoria di siffatto rapporto, so però che differenti materiali da quelli sinora usati debbono entrarvi come biffe; di qui il terzo carattere dell'intelligibilità in sé come concetto problematico di una sfera di intelligibili di autocoscienza divina, il suo correlarsi alla totalità del reale secondo una relazione e con un servizio differenti, almeno in parte, da quelli che l'intelligibile ha nella sfera delle nostre dialettiche; d) si consideri un intelligibile in quanto materia o biffa di una dialettica o in quanto principio di materie e forme di dialettiche altre da quella che l'utilizzano direttamente come biffa, ossia come soggetto di un giudizio che ne renda autocoscienti i rapporti formali con altri intelligibili che non sono note della sua comprensione o come soggetto di giudizi che gli predichino sue denotanti o come fondamento di giudizi che assumano sue denotanti a soggetto: si è soliti dire che la condizione di validità di queste dialettiche è l'immutabilità dell'intelligibile; il che è vero purché per condizione non s'intenda qualche modalità che dal di fuori o in estraneità alla sua connotazione agisca su questa costringendola a modificarsi, ma il modo ontico stesso, immediatamente dato, di ciascuna denotante e di ciascun rapporto fra le note, modo che fa tutt'uno colla loro essenza qualitativa e colle loro funzioni; ma anche così definita, l'immutabilità dell'intelligibile non sembra la vera o almeno la prima condizione dell'intelligibilità di una dialettica, dal momento che l'intelligibile gode della liceità di modificarsi con l'unica conseguenza di raddoppiare o moltiplicare le dialettiche che su di esso vivono; la denotante formale di un intelligibile dalla cui ontità deriva la validità delle dialettiche è anzitutto l'unicità: gli Eleati fondarono la necessità di questo attributo sull'impossibilità che nell'intelligibile immanga del non-essere e quindi sull'illiceità di esso a ripetersi, a variare, ad entrare in rapporti spaziali, con un'inferenza che serve più a contrapporre l'intelligibile al fenomenico che a coglierne l'essenza, da un lato perché l'aspazialità degli intelligibili, cui gli Eleati arrivano col ridurli tutti ad uno, pare dipendere dall'indifferenza di tali ontici al rapporto spaziale ossia dall'assoluta indipendenza reciproca, alla quale non sfuggono i dati sensoriali che sono quel che sono non solo in sé ma anche in funzione del rapporto spaziale in cui entrano, dell'essenza qualitativa loro dal rapporto spaziale in cui entrano, e non dall'impossibilità di entrare in un qualsivoglia rapporto spaziale, e perché un'impossibilità assoluta di variazione o di ripetizione, almeno entro le dialettiche di condizione umana, manca, dall'altro perché la ragione prima, quella dell'assenza di non-essere, ammesso che ciò abbia una qualche materia entro le nostre dialettiche ossia un qualche significato, non vale per un'intelligibilità fatta di dialettiche; la stessa necessità è stata posta da Aristotele sotto la garanzia del principio di non contraddizione, quantunque anche questa giurisdizione acquista il suo valore più se si fa del principio un modo costante delle dialettiche che un principio costituzionale esterno alle dialettiche e dall'esterno gravante su di esse; è lecito affermare che basta l'osservazione delle dialettiche, la loro per dir così fenomenologia,
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