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Giordano Bruno Cavagna
(n. 1921 - m.1966)
Metaf. class. e metaf. cristiana

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  • Prot. 252 - 301 F2
    • 289
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[pag 453 (289 F1 /2)]

che l'una biffa esercita sull'altra è quella della sostituzione che nulla ha che fare coll'ontità e con le modalità ontiche del sostituito, l'inversione è una liceità e non una condizione necessaria dello spostamento d'attenzione il quale, se è legittimo quando della seconda biffa fa la prima e viceversa per rilevare l'identità del nuovo rapporto reso autocosciente dall'inversione col precedente rapporto, è altrettanto legittimo quando della seconda biffa fa la prima ma nei confronti di un terzo ontico il quale entri come biffa in un rapporto di identità o equivalenza o similarità qualitativa e quindi di sostituibilità con la seconda, rapporto che gode della stessa proprietà commutativa del primo e che sia per questa proprietà sia per le ragioni su cui questa proprietà si fonda è in grado di instaurarsi fra il nuovo autocosciente e quello che era prima biffa del primo spostamento d'attenzione, il che stabilisce la proprietà transitiva del rapporto; poiché lo spostamento d'attenzione cade sotto la costrizione di ripetere se stesso e il rapporto che esso fa autocosciente e che conserva le sue proprietà tante volte quante si danno ontici autocoscienti la cui identità o equivalenza o similarità con le precedenti biffe sia rilevata da una concentrazione d'attenzione, gli ontici che entrano come biffe in questo gioco di salti d'attenzione son destinati a vedere il loro numero crescere e, anzi, porsi all'infinito, purchè l'enumerazione, dopo l'ultima biffa datasi autocosciente, si faccia per estrapolazione e riguardi ontici autocoscienti e spostamento d'attenzione fra essi meramente problematici; che se chiamiamo necessità il carattere di coazione con cui la denotante di autocoscienza si vincola a questo qualitativo la cui ontità e le cui modalità ontiche non sono da altro che o da esso o da un qualche altro ontico che sia autocosciente e che sia tale da porre la sua ontità nello stesso momento in cui pone la propria, lo spostamento d'attenzione col rapporto di sostituibilità che esso fa autocosciente godono di necessità come quelli che traggono la propria ontità dall'unità di autocoscienza e di qualitativo di ciascuna coppia di biffe, il cui mero darsi nell'ontità autocosciente pone l'autocoscienza e il qualitativo di entrambi, e se necessità e intelligibilità si accettano per convertibili, lo spostamento d'attenzione, il suo rapporto, le stesse biffe in quanto però biffe, si fanno intelligibili; che se agli spostamenti d'attenzione instauranti un rapporto di sostituibilità in una successione di ontici autocoscienti, limitatamente almeno a una porzione della loro qualificazione, si attribuisce la funzione dell'unificazione degli ontici, non nel modo del precedente spostamento che col suo rapporto riduceva a unità, inscindibile almeno fin che il rapporto da esso instaurato è accolto per tale, le sue due biffe e le privava di assolutezza e di unità e indipendenza proprie, ma in un altro, quello di annullare la loro ontità assoluta e discreta, sia pure solo relativamente a quel che di ciascuna ha di identico o di equivalente o di simile all'altra, in forza e in conseguenza della sostituibilità reciproca che è lecita sempre e soltanto rispetto a quel che le accomuna e le fa biffe dl rapporto, e quindi dell'indifferenza derivante dalla sostituibilità e consenziente di ignorare la loro molteplicità a favore dell'ontità di una sola di esse sempre e soltanto rispetto alle funzioni e compiti


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[pag 454 (289 F2 /3)]

o valore e dignità che a quel qualcosa di identico o di equivalente o di simile si assegna, al complesso dei successivi unificati da quello spostamento è lecito assegnare il nome di classe o di insieme come segno di siffatta unità e di ciò che ne è ragione; in tal modo, con una serie di spostamenti d'attenzione che sono problematici quando si estendono all'infinito e che generano nell'autocoscienza l'unità di molteplici sostituibili e indifferenti la quale è una classe pure problematica quand'è estesa all'infinito per estrapolazione, la dottrina delle classi come insiemi ha distinto le dialettiche a livello intuitivo e inintelligibile dalle dialettiche a livello intelligibile, procedendo poi a unificarle col fare delle prime ontici autocoscienti che hanno la liceità di farsi biffe delle seconde; quanto dell'antica teoria degli intelligibili fondati sulla categoria di sostanza torni a galla in questo modo, lascio ad altro momento di individuare sotto il trasparente velo; quel che qui mi interessa è di sottolineare, almeno in certi punti, che le operazioni a cui la dottrina pretende di ridurre l'intelligibilità, sono un po' più numerose di quelle ammesse: anzitutto, si dichiara che le dialettiche intelligibili hanno a loro fondamento il rilievo dato a certe porzioni di identico o di equivalente o, se si vuole questo termine, di simile che è ripetuto entro il qualitativo di ciascuna biffa di una classe, rilievo che è necessario perché qualitativo o innalzante all'autocoscienza un qualitativo sotto l'azione ineluttabile del tutto qualitativo che si dà con autocoscienza e che chiamiamo biffa, e si aggiunge che tale necessità non è da intendersi come l'effetto di qualcosa di inautocosciente immanente entro il tutto qualitativo al fine di costringerlo, per dir così, ad accompagnare costantemente la sua totalità a quella porzione, col che si elide la distinzione di una necessità che è dato immediato unito ad autocosciente dalla necessità che è lo stesso dato con la stessa autocoscienza ma arricchito di una ragione o, se si vuole, garanzia con l'effetto di assicurare alla classe una continuità o aumento numerico di biffe oltre quelle finora date; con ciò una classe è quello che è, cioè una successione, unitaria per il tipo suddescritto di unità, che è autocosciente e apodittica limitatamente al numero fisso degli ontici finora in essa conclassati, che ha la liceità di essere infinita ossia di avere un numero infinito di biffe purchè queste, cogli spostamenti d'attenzione che esigono per farsi biffe, s'aggiungono alle altre come dei problematici a degli apodittici, e la cui liceità o illiceità di vedere le proprie biffe aumentare con l'aggiunta di altre apodittiche non sono predeterminate o predate da nessun ontico autocosciente; ora, che le cose stiano veramente così, è se non altro da analizzarsi un po' più profondamente, se non altro perché quella nozione di identità o di equivalenza o di similarità che costituisce la qualità o materia del rapporto reso autocosciente dallo spostamento d'attenzione, a ben guardarsi risulta molto meno semplice e immediata di quanto la si voglia far apparire: infatti essa, neppure se la classe ha sue biffe tanti segni tipografici fissati su uno stesso e inalterato tipo di carta, con lo stesso inchiostro, da una macchina che con moto costantemente identico fa scendere una matrice inalterabile, o tanti animali partoriti, nello steso modo e con identici


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[pag 455 (289 F3 /4)]

e in identico rapporto reciproco i più microscopici dei componenti di ciascuno, da madri di una stessa famiglia, ha la liceità di esser pensata, ossia predicata, con la totale e perfetta coincidenza fra sé e il tutto di ciascuna biffa, e neppure se la si riduce a mera somiglianza, gode della stessa liceità, con la conseguenza che lo spostamento presuppone una distinzione di ciascuna biffa in due porzioni, quella che è ragione della liceità della sostituzione e quindi del rapporto e quella che giace al difuori della prima e ne è eterogenea; e allora si pone la questione del rapporto fra le due e insieme la questione della natura e del modo ontico dell'una e dell'altra, natura e modo che per la dottrina sono presupposti come identici in quanto unità di qualitativo e di autocosciente, ma poi vengono di fatto e di diritto eterogeneizzati in forza dello stesso postulato dell'infinità numerica, anche se in parte problematica, della classe in genere e delle operazioni e trattamenti che unici sono consentiti nei confronti della classe in genere in quanto a biffe di numero infinito e alcuni dei quali sono assunti come fondamenti di modalità da valere per tutta la classe in tutte le sue parti, apodittiche e problematiche, e di operazioni da compiere per validificare le pretese che la classe leva da tutte le sue parti, apodittiche e problematiche; e, se in forza di questo postulato cade la distinzione fra classi con intelligibilità e che sono all'infinito in quanto scaturite dall'aggiunta di una porzione, infinita in una direzione, di problematici alla porzione, finita, degli apodittici, e classi con intelligibilità che sono finite come quelle che hanno i membri apodittici e quindi di numero finito, senza illiceità è vero, ma anche senza liceità di arricchirli di addendi nuovi tranne che non siano autocoscienti e apodittici quanto i precedenti, in quanto tutto quel che vale e che s'opera su di una classe con intelligibilità è inferito da una classe formalmente omogenea e infinita, se cioè quella dottrina delle classi come insiemi postula che la serie finita dei punti A B C D E F...N che sono i macroscopici elementi del segmento A-Z sia identica, per quel che essa pretende di avere come modalità ontiche e di consentire come operazioni  da compiersi su di essa a qualsivoglia fine, ossia con qualsivoglia risultato, ma in particolare col risultato di una verifica di quel che essa pretende di essere in generale ossia classe di autocoscienti, identificabili o equivalenziabili o simili relativamente alla loro modalità di punti o a quel qualitativo che li fa punti, alla serie finita dei punti A...N prolungata coi punti microscopici O....Z ((O..-..Z??)) pure autocoscienti sia pur col medio di uno strumento, o alla serie infinita dei punti A...Z ((A-...Z??)) prolungata coi punti Z....∞ ((segno matematico di infinito)) invisibili ossia inautocoscienti ma ontici problematicamente autocoscienti data la continuità e quindi suddivisibilità all'infinito di un segmento, se tutto ciò è, il postulato non è immediato, ma conclusione di una serie di operazioni, che son dialettiche, precedenti, e precisamente l'assunzione all'autocoscienza di un membro conclassario, il punto A, la distinzione in esso di due porzioni, quella il cui rilievo o autocoscienza non è principio di nessuna dialettica intelligibile o unificazione di molti autocoscienti in classe,




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