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Giordano Bruno Cavagna (n. 1921 - m.1966) Metaf. class. e metaf. cristiana IntraText CT - Lettura del testo |
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[pag 565 sostitutiva di 365 identica a 375 (575) -(323 F1 /2) 565] che chiamiamo percezione e immanenza di quei certi intuiti e delle loro dialettificazioni nell'unificazione, autocoscienza coessenziale ai primi spostamenti d'attenzione, autocoscienza della sostituibilità reciproca di due a piacere o degli aggregati di intuiti o dei gruppi delle loro dialettificazioni, autocoscienza coessenziale ai secondi spostamenti d'attenzione, autocoscienza della sostituibilità reciproca fra due a piacere delle molte unificazioni-percezioni, autocoscienza coessenziale ai terzi spostamenti; d'altra parte, l'autocoscienza di queste tre serie di dialettiche e delle porzioni materiali-formali è simultanea concentrazione d'attenzione e simultaneo spostamento d'attenzione dall'una serie all'altra, e fa tutt'uno con le dialettiche che assumono a biffe ciascuna dialettica di ciascuna serie e la cui autocoscienza ad essa coessenziale è sì principio dell'autocoscienza del rapporto dà ragione a conseguenza che da una dialettica della prima serie porta a una della seconda purché molti spostamenti d'attenzione si diano fra molti gruppi d'intuiti e con ciò all'attenzione sia lecito spostarsi dall'un intuito all'altro e dall'una dialettica all'altra prima e poi dall'un gruppo di intuiti all'altro e dall'un gruppo di dialettiche all'altro secondo una forma che è insieme autocoscienza della loro reciproca sostituibilità a due a due, ma non è principio dell'autocoscienza di un rapporto di ragione a conseguenza da una dialettica della seconda serie a una della terza perchè, già lo si è visto, il sistemarsi di aggregati di intuiti e di gruppi di dialettiche in unificazioni rispettivamente sulla base di una loro reciproca sostituibilità non consente affatto all'attenzione di spostarsi ad analoga sistemazione delle percezioni con concomitante e coessenziale autocoscienza della sostituibilità dell'una percezione con qualsivoglia delle altre; è qui pronta contro di noi un'obiezione: il nostro discorso che si arroga il vanto di aderire senza pregiudizi con tanta vigile onestà all'ontità autocosciente delle nostre dialettiche da evitare il rischio di introdurre nel loro gioco momenti che siano meramente problematici come lo sarebbero quella dialettica fra aggregato di intuiti e gruppo di loro dialettiche e l'altra dialettica di ragione tra questa e quella di unificazione per sostituibilità di molte percezioni se venissero presi come dati immediati, in realtà ha i suoi bravi presupposti che tutti tratti dal più bello degli empirismi, se non negano ontici autocoscienti che siano intelligibili, almeno pretendono che i discorsi o serie di dialettiche in successione di condizione umana procedano come se siffatti intelligibili fossero da raggiungersi muovendo dal puro piano dell'esperienza e non intervenissero nei giochi del conoscere se non dopo esser saliti all'autocoscienza lungo siffatta strada, quasi che fosse lecita l'ontità di dialettiche fra intuiti, di dialettiche di sostituibilità, di unificazioni che son percezioni e che sono tra percezioni in quanto sostituibili senza nessun'azione di un'intelligibilità in generale; e così questi nostri ragionamenti, dopo aver ben precisato la propria intenzione di tenersi lontani da qualsiasi presa di posizione in campo gnoseologico e anche metafisico, hanno alle proprie radici alcune nozioni che sono altrettante precisazioni intorno all'esistenza di intelligibili, alla strada per farli autocoscienti, alla loro azione su di noi, tanto più poi che, mentre siamo impegnati a delimitare il contenuto [pag 366 (323 F2 /3)] di una legge di ragione entro una certa dottrina logica, ci serviamo di queste nozioni che son ben fuori da queste dottrine; mi pare che le mie parole fin qui abbian mostrato almeno indirettamente qualche mio punto di vista che non incorre in queste accuse: se è vero che sto cercando di trovare l'esatta portata del principio di identità dentro una dottrina all'Aristotele, è pure vero che, poiché tale principio, almeno nella sua connotazione se non nella sua funzione entro l'economia generale di un'intelligibilità, dev'essere universale e da accettarsi per tale anche da quella dottrina, non offendo nessuno se mi sforzo di ritrovare sue denotanti che valgano per una qualsivoglia intelligibilità e che quindi anche quella dottrina, sia pure con la sue descrizione dell'intelligibilità, deve accettare; se è vero che per il mio fine di darmi idee sicure sulla conoscenza del metafisico, cerco di prendere contatto con gli autocoscienti che sono ontici entro il complesso delle dialettiche di condizione umana e che per questo opero una costante distinzione fra le componenti problematiche e quelle ontiche, è pure vero che una certa presa di posizione ho dovuto prendere nei confronti dell'intelligibilità in generale, anzitutto stabilendone l'ontità almeno relativamente a certune tra le forme delle dialettiche di condizione umana come condizione di una validità in genere di un nostro discorrere in genere in quanto una volta negata o resa problematica l'intelligibilità formale nessun discorso umano ha più diritto di esser fatto con le pretese con cui è fatto, poi ammettendo che, anche se non è data l'ontità di autocoscienti, altri da quelli meramente formali, i quali verifichino gli attributi di intelligibilità di questi, la sfera delle dialettiche di condizione umana coinvolge autocoscienti non formali, assegna loro sia gli attributi dell'intelligibilità sia le modalità conseguenze legislazioni che da tali attributi conseguono, e, qualora associ a siffatta sua porzione trattata come ripiena di intelligibilità l'autocoscienza dell'esclusione di una ragione confermante la legittimità dell'attribuzione, assume la porzione almeno come correlata asintoticamente a quella sua porzione meramente formale che è tenuta a investire di intelligibilità legittima previa la pena di privare se stessa di qualsivoglia valore; infine, una volta esentatomi sia pure temporaneamente dal compito di dimostrare se il rapporto tra la porzione delle dialettiche con a forma e materia degli autocoscienti che son dei meri formali, alla quale dogmaticamente la sfera delle dialettiche dalla sua condizione umana è costretta ad attribuire intelligibilità, e la porzione delle dialettiche, con a forma e materia degli autocoscienti che sono altri da dei meri formali, alla quale viene predicata intelligibilità o con autocoscienza dell'apoditticità della predicazione o con autocoscienza della sua mera problematicità, sia di asintoto o di coincidenza, e con ciò una volta limitatomi a far mia l'autocoscienza dell'immanenza entro la sfera delle dialettiche di condizione umana di una porzione in cui son dialettiche con a forma e materia dei non formali e che è trattata come intelligibile, ho eliso l'innatezza degli intelligibili tanto formali-trascendentali alla Kant che qualitativi alla Platone sia per questo motivo che di altri autocoscienti che siano legittimamente intelligibili non ne ritroviamo in noi all'infuori di quelli formali, la cui innatezza o la cui acquisizione non fan molta differenza [pag 567 ex 367 (323 F3 /4) 567] agli effetti dell'autocoscienza di intelligibili non formali, sia perché ad escluderla non mi portavano gli argomenti di Locke o di altri, ma l'osservazione che delle due l'una, o si eterogeneizza in assoluta discrezione e discontinuità l'intelligibile e l'empirico-sensoriale, e allora si giustificano certe incongruenze tra l'applicazione degli intelligibili innati al fenomenico, ma si contravviene, se non o all'istanza dell'unità della sfera dell'autocoscienza la quale avrebbe la liceità di essere una mera pretesa di condizione umana e un problematico inferito non da una sua peculiare apoditticità ma da uno dei modi di questa condizione, o alla pretesa di un'estensività del sapere come denotante apodittica di un conoscere in generale la cui ragione nulla vieta che sia un certo nostro bisogno o modo di vedere le cose, all'apodittico dato di fatto che la sfera delle dialettiche di condizione umana è tenuta a valersi degli intelligibili come di punti di vista da cui muovere per generare un orientamento entro l'empiricità senza il quale questa non si fa esperienza, con la conseguenza che o questa si fa esperienza e per farsi tale ha bisogno di intelligibili o di autocoscienti da trattarsi come intelligibili i quali però non sono quelli innati o per conoscere i quali, identici a quelli innati, l'inneità di questi non è strumento sufficiente, o questa si fa esperienza ma con intelligibili propri alla cui conoscenza l'inneità degli altri è inutile, o si omogeneizza entro certi limiti l'ordine degli intelligibili con l'insieme empirico-sensoriale stabilendo fra i due una sorta di unità per continuità del primo da parte del secondo che ne è una qualsivoglia modalità, e allora si soddisfano tutte le istanze che trovan risposta da tale unità, ma non si spiega come mai, nonostante l'uguaglianza fra gli intelligibili in sé che sono innati e gli stessi intelligibili in quanto immanenti con inautocoscienza entro l'empirico ci siano quelle illiceità a coincidere immediatamente che son rivelate dalla quantità notevole dei tentativi a tradurre l'empirico in esperienza mediante la presa di coscienza entro di essi di intelligibili che tardano un bel po' a identificarsi con quelli innati; e per gli stessi motivi mi è parso doveroso escludere un'acquisizione all'autocoscienza degli intelligibili per la quale l'empirico fa da mero sussidiario, perché qui alle aporie dell'inneismo son da aggiungersi quella dell'ingiustificazione di un'incostanza o equivocità di quest'azione strumentale dell'empirico evocatrice di molti autocoscienti eterogenei che dovrebbero essere tutti degli intelligibili e che non hanno il diritto di esserlo non tanto per la loro molteplicità impossibile per l'unicità dell'empirico cui si riferiscono quanto perché questa stessa loro molteplicità dipende da una certa variazione dell'elaborazione dell'empirico o del punto di vista da cui è trattato l'empirico il quale per tal modo da sussidiario di una genesi assoluta dell'intelligibile si fa principio di questa genesi, e quella della necessaria esclusione di un intervento attivo dell'empirico o di un'azione attiva sull'empirico, la cui sola autocoscienza dovrebbe essere ragione sufficiente e insieme passiva del'entrata in azione dei meccanismi generatori all'autocoscienza dell'intelligibile, esclusione che è contraddetta dall'autocoscienza della modalità problematica che necessariamente investe l'autocosciente che pretenda entrare con un empirico nel rapporto di ontico intelligibile insorto di per sé all'autocosciente
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