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Giordano Bruno Cavagna (n. 1921 - m.1966) Metaf. class. e metaf. cristiana IntraText CT - Lettura del testo |
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[pag.13 F 1] assumere a soggetto il concetto di un oggetto che in qualcosa si diversificasse dalla natura stessa, il concetto cioè di principio, il quale in tale modo riceveva sì la nota dell’esistenza necessaria del suo oggetto, attraverso, tuttavia, una sua connotazione o conoscenza; la riflessione, d’altra parte, mentre rivela esser condizione necessaria del nostro pensare l’impossibilità di effettuare una predicazione vera di un concetto che non sia connotato dalla necessità dell’esistenza del suo oggetto, rende noto che la nota dell’esistenza necessaria dell’oggetto non è mai a priori rispetto al possesso di quella sua, almeno parziale, connotazione che ce ne offre l’intelligibilità: la simultaneità cronologica delle due connotazioni depone a favore del primato della connotazione cognitiva e per nulla del primato della connotazione esistenziale; aggiungerò ancora che le prove dell’esistenza di Dio solo in apparenza argomentano il primato del giudizio di esistenza del primo nell’essere, sia perché in sé sono connotazioni di intelligibilità del principio, sia perché in sé e per sé non sono fatti mentali primi, ma risposte ad obiezioni, e quindi fatti secondi, le quali, come implicitamente lascia intendere Duns Scoto quando le confuta nella loro parte argomentativa, che corrodono col forse esistenziale non un principio in genere ma questo o quel principio in particolare, e con ciò non intaccano né la conoscenza prima del principio né la soluzione data alla questione del diritto a conoscerne questa o quella “quantità, ma soltanto una certa sua connotazione qualitativa che vien per terza dopo la predicazione delle conoscenze che solo mediatamente è lecito attribuire al concetto di natura e immediatamente è doveroso riferire al concetto di primo nell’essere, e dopo la connotazione del predicato del giudizio primo metafisico mediante la coestensività o meno col noto naturale -. Il metodo che deve adottarsi per giungere alla soluzione del problema della”quantità” di fenomenico predicabile esige un suo discorso, storico e puro: l’analisi di tutti i metodi che le metafisiche determinate hanno, ciascuna il proprio, assunto per affermare o negare la coestensione del predicato del primo enunciato metafisico e del noto fenomenico, può manifestare una liceità di classificazione e quindi dar luogo a una ripartizione classificatoria e, poi, all’enunciazione di categorie metodiche, oppure può mettere in luce una sorta di storicità di cui [pag.13 F2] metafisiche determinate e metodi sarebbero pregne, e, con ciò, una nota di eterogeneità insuperabile negatrice di classi, di categorie, di razionalizzazione formale; l’analisi dei processi naturali obbligati del pensiero umano può offrire l’esistenza di una univoca correlazione fra l’oggetto cui il discorso deve pervenire e che è l’enunciato primo metafisico e un certo fra tutti siffatti processi, col che soddisferebbe quell’esigenza di purezza che la ragione deve accogliere, oppure può vedersi costretta a concludere che tale correlazione non è mai in sé ma sempre a sua volta correlata, ossia in funzione, con un mobile atteggiamento psichico, col che l’esigenza di purezza cercherebbe invano la propria soddisfazione. Le due analisi, tuttavia, riguardano la ragion sufficiente sia di una certa soluzione adottata da questa e respinta da quella delle metafisiche determinate, e al tempo stesso la ragion sufficiente di una possibile soluzione, privilegiata perché unica ad essere in congruenza con la sola ragion sufficiente che fondi sul diritto la sua pretesa: toccano, dunque, il problema nella sua soluzione storicamente determinata o nella sua solubilità veridica e congruente col reale gnoseologico dell’umanità empirica. Tuttavia, non hanno nulla che fare con la solubilità in generale della medesima questione la quale può essere definita, indipendentemente da entrambe le analisi, con il semplice sussidio della postazione dei termini formali del problema, e quindi fuor da ogni correlazione con questa o quella determinazione materiale, e per la quale il mio presente discorso intende unicamente valere. Un sistema di concetti che offra una ragion sufficiente alle sue pretese di valere per rappresentazione simmetrica, totale o parziale qui non ha importanza, del reale è tenuto ora a dare positività alle sue componenti, facendone conoscenze verificabili per esperienza o per sperimento, in atto o meramente possibile, del reale naturale o conoscenze che ricavano verificazione dalla loro funzione logica di uniche e univoche ragioni sufficienti delle conoscenze empiriche o esperimentabili, ora a dare completezza compatta a se stesso tramite una connessione completa e continua tra la nozione prima che è la suprema delle ragioni sufficienti ed è costituita dal concetto dell’ente primo nell’essere e le nozioni ultime che sono [pag 13 F3] le conoscenze traenti la ragione del proprio essere e del proprio modo di essere da tutto fuor che da se stesse e che sono la rappresentazione per connotazione universale e necessaria dei fenomeni immediatamente intuiti: entro tale concatenazione la conoscenza dipende per la sua materia da un discorso che muova dal passo, per la sua forma da un discorso che cali dall’alto, sicché le nozioni ultime costituiscono la sorgente della connotazione di qualsivoglia altra nozione collegata, mentre le nozioni altre dalle ultime, tutte le nozioni generiche, offrono la fonte dell’intelligibilità, ossia dell’interpretazione di ogni connotazione; il qualitativo in generale promana dal livello infimo, il valore, come primato e come ordinamento secondo subordinazione gerarchica entro le componenti, del qualitativo è posto dal grado supremo, dalla nozione prima metafisica; i modi del mondo sono in funzione del mondo stesso, quel che essi sono è in funzione del principio del mondo. La determinazione del concetto del principio è quindi ragione di se stesso e solo limitatamente dipende dal materiale connotante che sale dai concetti fenomenici primi; di siffatta determinazione è lecito stabilire una struttura formale che determina in generale i suoi modi essenziali indipendentemente dalle rappresentazioni qualificative che solo in apparenza sono la ragion sufficiente dell’eterogeneità e dell’interrelatività dei modi elementari componenti. La forma della determinazione in genere del concetto di primo nell’essere è l’effetto di una soluzione di tre problemi reciprocamente subordinati e impostati secondo il primo essere formale dei loro rispettivi elementi. Il primo problema, della quantificazione generica o assoluta o formale del concetto di primo nell’essere, ha tre elementi, la nozione dell’esistenza di un primo ontico, la nozione della necessità della sua conoscenza che è equivalente alla nozione dell’attualità della sua ignoranza qualificativa entro il pensiero in atto, la nozione di un rapporto che deve instaurarsi, mediatamente, tra la nozione del principio metafisico in quanto connotata dall’unica nota dell’esistenza del suo oggetto in sé e la nozione del nostro conoscere connotata dalla sua legislazione e dagli elementi che sotto di questa si piegano e che sono le rappresentazioni di tutte le classi denotate dal naturale: quest’ultima nozione che si pone come il nucleo problematico dell’intera questione mena a divaricazione di solubilità, o ponendosi la restante connotazione del concetto problematico come totalmente conoscibile e quindi conosciuta in atto [pag.13 F4] dal pensiero, o ponendosi la medesima connotazione come ineluttabilmente conoscibile almeno in parte e quindi staticamente ignorata in tale parte dal pensiero; la scelta di uno dei due corni non dipende dal predicato che verrà assunto nel giudizio metafisico primo a qualificare il concetto metafisico primo e solo in parte dipende da un processo induttivo che muovendo dalle nozioni infime fenomeniche si levi a offrire ragioni o a negarle per la tesi di adeguazione del conoscibile al reale primo metafisico; la presa di partito invece per l’una o per l’altra soluzione determina in tutto l’elaborazione del predicato scelto a qualificare il concetto di primo ontico, e insieme provoca l’insorgere di una molteplicità di nuove nozioni che sono da inferirsi dalle infime fenomeniche, modifica cioè in parole povere la conoscenza che ci diamo del principio e il quadro riproduttivo che ci offriamo della natura e, s’intende, di tutto ciò che è nella natura, uomo e pensiero umani compresi; la stessa presa di partito è in funzione di un’esigenza che è sì in generale psicologica, nel senso che tocca e pervade tutte le funzioni ((finzioni??)) di cui la coscienza è capace, ma la cui sorgente, come, se pur anche con analisi congruente coi modi dell’analizzato, ha dimostrato Kant, non c’è bisogno di andarla a cercare fuor della legislazione imperante sul conoscere umano, in una presenza metafisica, e, con ciò, non evita il rischio di trovare per sé una ragion sufficiente di quel concetto primo metafisico qualificato di cui essa stessa deve essere ragion sufficiente, coincidendo il modo dell’esigenza con la necessità di dedurre l’interpretazione delle nozioni fenomeniche infime dalla nozione metafisica suprema qualificata e quindi con la subordinazione funzionale della completezza dell’interpretazione all’onnicomprensività della qualificazione; quel che di psicologico e di non deducibile dalla legislazione regolante il conoscere c’è nell’esigenza quantificatrice è l’energia che la pervade, energia o tensione psichica il cui grado consente o nega, in funzione della sua altezza, la adesione alle condizioni materiali su cui la legislazione si applica, le quali riescono o falliscono nel contrapporre la forza della loro reale modalità alle pretese dell’esigenza; si tratta cioè di erigere a canone metodico
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