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Giordano Bruno Cavagna (n. 1921 - m.1966) Metaf. class. e metaf. cristiana IntraText CT - Lettura del testo |
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[pag.15 F1] ((o??)) alla canonica fenomenica, sia pure con la consapevolezza di quanto di inadeguato essi in tal modo producano, i dati della loro intuizione straordinaria, e con ciò riinnestano gli apporti dell’intuizione non fenomenica entro il grande complesso delle nozioni fenomeniche. Ritorniamo così all’integrità del secondo problema. La questione di quante delle nozioni fenomeniche debbano connotare il predicato e in tal modo entrare nell’inerenza del soggetto di giudizio metafisico primo non a caso insorge nel nostro pensiero. Se la conoscenza del primo nell’essere dipende in generale dal diritto che ci concediamo di rappresentarcelo attraverso nozioni fenomeniche in genere e in particolare dal canone che ci prefissiamo di muovere dall’accettazione o dal ripudio dell’equivalenza tra la connotazione del suo concetto e i suoi modi nell’essere, la domanda che è a principio del canone coinvolge implicitamente l’altra della quantità di noto fenomenico che dovrà essere utilizzata a costituire la rappresentazione del primo nell’essere, vale a dire a connotarne il concetto: in verità, non si ha analogo rapporto di condizionamento univoco tra le due rispettive soluzioni. Infatti, una volta che ci si debba anzitutto preoccupare della conoscibilità in genere del principio metafisico, la postazione formale della questione fondamentale interessa il rapporto cognitivo che intercorre tra un complesso di conosciuti e un ignoto e riguarda la liceità, data o tolta a quello, di esaurire entro il pensiero quel che questo è in sé nel reale, ma la somma delle conoscenze da utilizzarsi è un quadro di rappresentazioni fenomeniche che non lascia fuor di sé nessuna delle possibili rappresentazioni che il pensiero può offrirsi, le quali son tutte o mediatamente o immediatamente da classificarsi nell’ordine fenomenico; anche l’unica delle nozioni fenomeniche che pare sottrarsi a questa condizione, la nota dell’esistenza in sé del primo ontico, non sfugge alla natura generale del noto, in quanto essa è inferita, secondo uno o altro modo o necessità di elaborazione dalla complessiva regione del fenomenico noto o soltanto da un suo angolo, essendo siffatta esistenza o il risultato di una testimonianza che pure si è data secondo la lingua del fenomenico o il solo strumento concepibile dal pensiero per offrire ragioni sufficienti ad attributi naturali di cui non si vede come sia dato fare ragion sufficiente [pag.15 F2] la natura stessa o la conclusione delimitatrice o traguardatrice di un discorso cui il carattere di processo all’infinito toglierebbe altrimenti la natura e l’essenza di raziocinio. E’ naturale allora, una volta che risulta evidente che nessuna risposta può esser data a un’interrogativa qualsivoglia intorno alla connotabilità del concetto metafisico primo senza il ricorso a un fenomenico in generale, che, se il primo di tutti i possibili interrogativi di questo genere è quello del quanto sia lecito conoscere del primo metafisico al pensiero nella sua situazione umana, immediatamente ci si debba chiedere quanto del fenomenico in generale possa essere assunto a connotarne il concetto. Per più considerazioni che a questo punto si debbono fare sembrerebbe che questa dipendenza immediata non sia legittima e che tra i due problemi s’inserisca in realtà l’altro dei tre problemi metafisici fondamentali, quello della qualificazione generica ed assoluta del primo ontico. In primo luogo, l’evidente indipendenza delle relative due soluzioni, la prima delle quali, come determinazione della quantificazione generica ed assoluta del concetto metafisico primo, non definisce affatto la seconda, quella della sua quantificazione particolare e relativa, sarebbe argomento di una dipendenza tutt’al più mediata delle due questioni: l’equivalenza totale del conoscibile e del conosciuto riguardo alla connotazione del concetto metafisico primo non provoca per nulla l’assunzione dell’intero quadro fenomenico a materia di tale connotazione - che ciò possa risultare alla superficie incongruente, non posso negare, perché sembra che non si riesca a capire come, date le immagini di due reali, l’una delle quali promana dall’altra in uno o altro modo di inferenza, e data la completa connotazione di entrambe, quella del principio da conoscersi integralmente per definizione, e quella della natura conosciuta totalmente di diritto o assiomatico o postulativo, sia concesso escludere dalla prima qualche nota che è necessaria della seconda, il che è quanto capita a una metafisica determinata di tipo parmenideo; ma tale incongruenza non è in funzione di un’offesa recata alla dipendenza immediata delle due soluzioni, ma di una questione di portata differente che insorge assieme al compito di qualificare un onniconoscibile concetto metafisico primo e al momento [pag.15 F3] di trasferire la problematica dal piano del quantitativo al livello del qualificativo; il che d’altro canto verrebbe ancora a dimostrare che tra il problema della quantificazione generica e quello della quantificazione particolare non c’è comunicazione diretta -; e inoltre, l’illiceità di una connotazione onnirappresentativa del concetto di primo nell’essere non comporta per nulla né l’utilizzazione solamente parziale né l’utilizzazione totale del fenomenico noto ai fini della connotazione metafisica lecita - una metafisica determinata che precluda al pensiero di condizione umana la rappresentazione totale e in atto del primo metafisico, è in grado sia di giustificare la predicazione al concetto di principio ontico di tutto il fenomenico noto, come accade ad esempio in una metafisica di tipo platonico, sia di argomentare l’impredicabilità di certi modi del fenomenico noto alla nozione metafisica prima, come si dà in una metafisica di tipo agostiniano, per la quale viene a riproporsi l’incongruenza già sopra osservata a proposito dell’eleatismo, e per la cui incongruenza è da ripetersi quanto sopra si è detto, e in particolare che la separazione tra le soluzioni delle due problematiche dovrebbe attestare una dipendenza soltanto mediata tra le due problematiche stesse. In secondo luogo, la liceità di un ‘utilizzazione soltanto parziale del fenomenico noto a determinare qualitativamente il primo nell’essere provoca una costante incongruenza tra la rappresentazione del rapporto necessario tra il reale primo e il reale secondo in quanto esistenti, e la rappresentazione del((la)) rapporto necessario tra i due medesimi reali in quanto conosciuti: l’inerenza totale del secondo al primo a livello dell’essere dovrebbe tradursi in un’inerenza totale di quello a questo a livello dell’essere in un certo modo e quindi dell’essere conosciuto nel modo in cui é; la mancata traduzione pone l’incongruenza, e l’incongruenza o è lasciata tale e quale o è risolta con un’inferenza che muove dalla qualificazione del primo metafisico, la quale in tal modo diviene principio del problema della quantificazione particolare e della sua soluzione e si pone come medio tra esso e il problema primo della quantificazione generica. A ben guardare, le due osservazioni [pag. 15 F4] ed altre che si possono fare, non sono determinanti: anzitutto, l’incongruenza tra la qualificazione, qualsivoglia essa sia, del principio ontico e la quantificazione particolare limitata, ossia l’utilizzazione parziale del noto fenomenico e connotante il concetto metafisico primo, è in funzione non della soluzione del problema della qualificazione metafisica in genere, ma del rapporto, già dato apriori nella sua totale determinazione di rapporto secondo certi modi, secondo i quali i due esistenti debbono essere pensati: un comunque derivato non è lecito che sia intelligibile se è connotato da note che non hanno il diritto di qualificare il reale da cui il derivato è da inferirsi, tranne nel caso che tali note debbano qualificare necessariamente un altro reale o più altri reali che devono pensarsi complanari e cogeneri del primo, tranne nel caso di una metafisica determinata dualistica o pluralistica; fuor di qua, l’intelligibilità del derivato che mutua il suo essere secondo uno o altro modo di rapporto, da un reale assoluto, ma la cui connotazione non è equivalente alla connotazione del principio e, per dir così, non la copre per eccesso, oltrepassando coi propri limiti i limiti dell’altra, è preda di un’incongruenza la cui ragione quantitativa esclude e oltrepassa la qualificazione determinata di entrambi; si dovrebbe allora concludere nell’inesistenza e falsità di una questione della quantificazione relativa e particolare del primo ontico, dovendo in tutti i casi il quadro totale del noto fenomenico connotarne il concetto con o senza esaustione, il che appunto costituirebbe la sostanza del problema di quantificazione generale. D’altra parte, le obiezioni che si muovono al diritto del problema di utilizzazione metafisica parziale o totale del fenomenico noto ad occupare il secondo grado non sono di natura diversa da quelle che si possono muovere e si muovono contro il diritto che il problema della conoscibilità totale o parziale del primo nell’essere avrebbe ad occupare il primo: si può sempre vedere ((credere??)) che sia la preordinata qualificazione del metafisico primo a definire la sua connotabilità totale o parziale e insieme la coincidenza o inequivalenza dell’estensione del conosciuto metafisico e dell’estensione del conosciuto fenomenico. Ora,
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