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Giordano Bruno Cavagna
(n. 1921 - m.1966)
Metaf. class. e metaf. cristiana

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[pag.25 F1]

di equivalenza della quantità parzialmente indeterminata alla quantità determinata e quindi di predicazione della prima alla seconda e con ciò di dipendenza funzionale della seconda dalla prima, primato non già intellettivo o di intelligibilità, ma di discorsivo ossia di ricerca di intelligibilità, vale a dire il primato di un problema non il primato di una ragion sufficiente [il dichiarare che la proposizione a2 +2ab + b2 = (a + b)2 è prima rispetto alla proposizione (a + b)2 = a2 +2ab + b2 non significa che il predicato (a + b)2 immane nel soggetto come connotazione totalmente dispiegata e tale quindi da trarre da esso esistenza e da dare ad esso intelligibilità piena, ma significa proprio il contrario ossia che il predicato (a + b)2 immane nel soggetto come essenza autosufficiente ma non esplicitata, sì che è esso predicato a dare esistenza al soggetto, così come ogni implicito qualitativo è ragione di esistenza della sua esplicitazione, e a riceverne intelligibilità piena; donde deriva che la sua enunciazione è prima solo alla condizione di essere una questione ossia una tesi che attende argomento e lo riceve dall’argomentazione dimostrante la proposizione reciproca, affermante che (a + b)2 = a2 +2ab +b2 che diviene in tal modo il primo di cui il secondo è semplice inferenza; tant’è vero che la geometria euclidea si dà pena di erigere a teorema soltanto l’enunciato della proposizione (a + b)2 =a2 + 2ab + b2, che è prova della liceità di considerare un qualsivoglia quadrato una giustapposizione per adiacenza di due quadrati, aventi rispettivamente proprio a lato una delle due quantità che sommate danno il lato del quadrato dato, e di due rettangoli aventi a propri lati entrambi le due quantità in cui il lato del quadrato dato si è suddiviso, e destinati a divenir essi pure quadrati nel caso che queste ultime due quantità siano identiche, tralasciando la dimostrazione del reciproco che tutt’al più può argomentare la liceità di considerare quattro spazi quadrangolari godenti di particolari relazioni nei loro rispettivi lati un unico e solo quadrato, e con ciò riducendo il teorema reciproco del teorema fondamentale nulla più che un semplice problema]; la stessa cosa deve ripetersi nel caso dell’equivalenza tra due qualità, per le quali o è data a priori un’identità e in questo caso l’equivalenza non è un discorso ma una tautologia e non dà luogo a nessuna conoscenza, essendo

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allora assolutamente indifferente o il primato dell’un enunciato sul reciproco o il primato opposto o la comprimarietà dei due enunciati, oppure non è lecita a priori un’identità e allora delle tre l’una o l’indagine rivela un’identità, e in questo caso si ritorna alla situazione di cui immediatamente sopra, o l’indagine rivela una dipendenza ontica del primo equivalente (A) al secondo (B), e in questo caso sarà legittimo il primato dell’enunciazione “B è A” sull’enunciato convertito “A è B e non il primato opposto, o l’indagine rivela una dipendenza ontica del secondo equivalente (B) dal primo (A), e allora è unicamente lecito dichiarare “A è B” primo rispetto a “B è A” e non viceversa -. Ora è appunto questa legge dell’equivalenza qualitativa che dobbiamo considerare per mettere in luce il circolo vizioso: per essa, di due proposizioni reciproche che connettano per equivalenza due concetti qualitativamente connotati, si ha indifferenza di primato nel caso che i due concetti risultino apriori assolutamente omogenei, ossia siano di diritto un solo concetto che di fatto è ripetuto o per esigenze discorsive o per una eterogeneità puramente apparente - secondo la formula: [(A=B) → (B= A)] = [(B=A) →(A=B)], in cui B1 (=comprensione di B)=A1 (= comprensione di A) -; si ha differenza di primato nel caso che i due concetti non risultino apriori assolutamente omogenei, ma la loro assoluta omogeneità non possa essere dimostrata affatto o venga dimostrata irreale e impossibile dovendo con ciò continuare a sussistere quella parziale eterogenità che pone l’equivalenza, oppure possa essere affermata ma solo previa dimostrazione - secondo la formula: [(A = B) →(B=A)] ≠ [(B=A) → (A=B)], in cui o [B1 (= comprensione di B) ≠ A1 (=comprensione di A)]o [B1 (=comprensione di B) → = A1 (= comprensione di A)]; nel caso di differenza di primato, il primato spetta alla proposizione enunciante equivalenza il cui soggetto risulti di comprensione maggiore del predicato nella somma di conoscenze dalle quali necessariamente si deve muovere perché nota - secondo la formula: [(A=B) → (B=A)] se [A1 (=comprensione nota di A) > B1 (=comprensione nota di B1)]oppure [(B=A) → (A=B)] se [B1 (=comprensione nota di B) > A1 (=comprensione nota di A)]. Della legge dell’equivalenza qualitativa

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può essere data dimostrazione: muovendo dalle proposizioni o assiomatiche o poste come già dimostrate, che in un rapporto di parte a tutto è il tutto che dà esistenza alla parte e che nel medesimo rapporto la conoscenza del tutto o è data immediatamente o, non è essendo data affatto, vien conseguita con la conoscenza progressiva delle parti costitutive, sì che l’assunzione di un ente come parte di un tutto è lecita solo previa conoscenza della natura dell’ente e conoscenza della sua modalità di esistenza come parte del tutto e con ciò è momento del progresso di conoscenza nel tutto, due enti i cui concetti siano totalmente noti per ipotesi e sempre per ipotesi o abbiano entrambi una connotazione medesima e nella quantità e nella qualità delle note denotanti o possano essere dimostrati dotati di siffatta connotazione, nel caso che per un qualsivoglia debbano essere pensati come due differenti, saranno sempre due identici, ciascuno dei quali ha la sua connotazione coincidente col tutto della connotazione dell’altro, ed è quindi tale da potersi porre come principio di esistenza per l’altro e insieme oggetto di conoscibilità ed intelligibilità ad opera dell’altro; se si chiama principio gnoseologico un enunciato che per l’esistere e l’intelligere non dipenda da nulla fuor che da se stesso, qualora il rapporto di equivalenza tra siffatti due enti debba assumersi a principio è indifferente che questa funzione sia attribuita all’enunciato in cui il secondo è predicato al primo o all’enunciato in cui il primo è predicato al secondo, dovendosi anzi, in nome delle stesse ragioni per le quali i due concetti di diritto polarizzati solo nell’espressione, di fatto polarizzati anche nel discorso, i due enunciati assumersi a complanari ossia dovendosi erigere a principio non un enunciato solo ma entrambi -in formula: da A<B deriva che B1 (=connotazione nota di B)→ A1 (=connotazione ignorata di A) e che A2 (=connotazione di A in quanto esistente ) → B2 (=connotazione di B in quanto esistente); siano dati N ed M, N=A, M=B, N1 =A1 =, M1 = B1, N2 =A2, M2 =B2;sarà che N<M, M1 → N1, N2 → M2; sia o sia dimostrato che N1 =M1; si avrà che N=M, N1 → M1, N2 → M2; sia o sia dimostrato che N1 = M1, ma non che N=M, si avrà che: a) tesi prima è che [(N=M) → (M=N)] perché [(N= M) = (M1 → N1)+  

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(N2 → M2)] e b) che tesi seconda è [(M=N) → (N=M)] perché [(N=M) → (M=N)]; ma N1=M1 e N2=M2, donde [(N1 → M1) = (M1 → N1)] e che [(N2 → M2) = (M2 →N2)], donde che a) = b).- Assunte ancora a principio le stesse proposizioni, due enti i cui concetti siano dati o siano dimostrati di comprensione qualitativamente identica e quantitativamente diversa, potranno essere enunciati equivalenti alla condizione che l’enunciato stabilisca la relazione di inerenza che necessariamente connette il concetto a comprensione minore al concetto a comprensione maggiore, relazione di inerenza che fissa il rapporto di parte a tutto tra i due e quindi la funzione di ragion sufficiente di esistenza che il concetto a comprensione maggiore esplica nei confronti con l’altro e la funzione di ragion sufficiente di intelligibilità che il concetto a comprensione minore esplica nei riguardi del primo; qualora la relazione di equivalenza debba assumersi a principio, l’enunciato reciproco non potrà mai esplicare le funzioni richieste di principio a) perché la relazione di equivalenza nella proposizione convertita modifica i rapporti di inerenza, o assumendo nel predicato una nota soltanto della comprensione del soggetto, la nota cioè dell’esistenza per sé e non per il suo predicato, o attribuendo al predicato una funzione di intelligibilità, ossia di universalità e necessità, che non è quella che il predicato  del primo giudizio, essendo la funzione di intelligibilità nel giudizio convertito di offrire le ragioni dell’universalità e necessità esistenziale del tutto, essendo la funzione di intelligibilità nel giudizio da convertirsi quella di offrire le ragioni dell’universalità e necessità dei modi qualitativi dell’esistenza del tutto, e b) perché i rapporti di inerenza così modificati non possono essere ragione e principio di se stessi e debbono ricercare la loro ragione e il loro principio nei rapporti di inerenza del giudizio da convertirsi - in formula: posti A<B con B1 → A1 e A2 → B2, siano dati N=A, M=B, N1=A1, M1=B1, N2=A2, M2=B2, e siano N3 (=esistenza in sé di N, indipendentemente da M, e quindi N3 → (N2 → M2)], N4 (= universalità e necessità dell’esistenza di N, e quindi N4 →N3), M3 (= universalità e necessità di M1, e




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