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REGOLAMENTO DELLE FIGLIE DI SANTA MARIA DELLA PROVVIDENZA (1911) Capitolo XXVI IN TEMPO DI MALATTIA E NEL MOMENTO DI MORTE |
IN TEMPO DI MALATTIA E NEL MOMENTO DI MORTE
[193]In tempo di malattia è da procurare che l'ammalata sia buona, che buona sia l'infermiera, che buono sia pur anche il medico.
1. Buona l'ammalata: per essere buona, deve essere pronta alla rassegnazione e mettere in pace il proprio cuore.
Non è - 644 -a dire quanto la pace dell'anima conferisca al benessere ed alla guarigione del corpo.
Non è per niente che si dice essere i fastidi una lima sorda che lacera la salute del corpo.
La inferma deve essere buona nello star persuasa che, quando è ammalata, bisogna fare e stare da ammalata.
Se si tiene alla Regola, potrà in più breve termine rifarsi.
L'ammalata per essere buona deve essere obbediente agli ordini del medico e della infermiera, obbediente ai propri superiori.
Anche qui rifletta che più vale la obbedienza che il sacrificio.
Sia obbediente in assumere il cibo e in seguire le astinenze prescritte, obbediente in stare al riposo conveniente di mente e di corpo; si rassegni ad assumere quelle medicine e quel regime di vita che le è prescritto;[194] benché sul regime di vita molto deve cedere anche alle inclinazioni proprie, perché il primo medico di noi stessi siamo noi stessi.
E come no? L'istinto suggerisce agli animali un regime di dieta o di cibo di certe erbe a loro note e come non deve sapere e potere l'uomo distinguere quello che gli possa giovare o nuocere? Il primo medico di noi siamo noi stessi, nel senso che lo stomaco deve sentirselo l'ammalato, quando e fino a qual punto e quali cibi debba assumere e da quali astenersene; quando più gli giovi il riposo che l'esercizio del passeggiare; molto bisogna concedere ai bisogni ed alle inclinazioni proprie.
Il medico stesso, avanti prescrivere medicine, interroga l'ammalato sulle sue disposizioni.
2. In secondo luogo si richiede una buona infermiera.
Per quanto si può, lasciate alla povera ammalata quel poco di libertà che le è necessaria per scegliersi la infermiera che più le aggrada.
Non è poco aversi al fianco una sorella che le sia davvero sorella e quasi madre.
[195]Non è a pretendere che l'ammalata sia di tale perfezione da essere contenta di qualunque infermiera, magari anche antipatica e meno atta a conoscere ed a curare i bisogni della povera malata.
In questo la superiora deve mettere diligenza massima, se si tratta di - 646 -suora la quale sia molto virtuosa.
Una suora, che molto profitta nella perfezione, le par più virtuoso tacere che parlare, e allora come bambina inerte si abbandona alla discrezione della infermiera.
Allora la infermiera deve essere oculata e attenta e aver cuore e mente di madre per conoscere e soccorrere ai bisogni della ammalata consorella.
Non è buona regola mutare la infermiera.
La povera ammalata, specialmente se sottile di coscienza, chissà quanti atti di virtù ha dovuto esercitare per vincere le ripugnanze che la verecondia e il decoro richiedono.
Poveretta l'ammalata, se più e più volte la sottopongono a questa specie di carneficina del proprio pudore! Costa tanto guadagnarsi il cuore di una consorella; chi ha trovato l'amico, dice il proverbio, ha trovato il tesoro proprio90; non le levate il tesoro, non mutatela senza gran ragione con altro tesoro forse eguale; almeno interrogate con delicati modi l'animo della sofferente.
[196]Per la cura di un'ammalata si richiede una buona infermiera.
La infermiera è buona, quando ha tutto il suo cuore sui bisogni della inferma e che penetra i bisogni anche più intimi.
E più buona quando è abbastanza istruita nella cura degli infermi in genere e che già ne abbia una pratica ragionevole.
Più buona è l'infermiera, quando per di più sappia mostrarsi così ilare di modi, così piamente amena, che la sua vista e compagnia abbia da tener sollevato il cuore e l'animo dell'ammalata.
Pertanto l'infermiera deve guardarsi di non esagerare il male, dicendolo grande quando lo è meno; sia schietta per essere creduta ed amata.
Né tampoco dica piccolo- 648 - e leggero il male, quando certamente è grave e sarà lungo.
Una falsa misura di prudenza non riesce a fare buona prova.
L'infermiera deve pur sapere di tempo in tempo suggerire un buon pensierino di conforto spirituale; ma di questo vi dirò più innanzi.
La buona infermiera ricordi che ad ogni momento all'ammalata fa bene un cucchiaio di bevanda, un sorso di cibo.
Se voi restate lungi col pretesto che[197] ella suoni il campanello per chiamarvi, soffrirà troppo per non darvi incomodo, per non parere troppo debole di virtù ed esservi quasi occasione di ammirazione o di scandalo.
Potrete lasciar l'ammalata quando non è certamente grave, ma non così quando sia divenuta grave davvero.
Spesso una infermiera attenta e di zelo guarisce un ammalato che diversamente sarebbe certamente morto; per lo meno una buona infermiera può prolungare di parecchio la vita e sollevarne sensibilmente le pene.
3. Ed or veniamo al medico. Medico buono è colui che conosce la malattia; importante è conoscere il male, le sue cause, le sue origini, perché di poi è più facile porgerne il rimedio. E quando voi vi avvedete che il medico certamente ha conosciuto il genere di malattia, per lo più è inutile ricorrere al consulto di altri medici; sarebbe cosa contraria al voto di povertà che vi lega a Dio; sarebbe cosa pressoché inutile.
Più buono è il medico quando, senza ambagi, sa applicare i rimedi e invero li applica con franchezza di esperienza, con coscienza di medico esemplare; ottimo poi è il medico quando alle doti suaccennate sa congiungere tutta quella delicatezza di modi e quella[198] prudenza di discorso che è tanto- 650 - necessaria e non mai abbastanza raccomandata.
La povera inferma pochi conoscono quante ansie deve sostenere per sottostare alle cure mediche; almeno le siano alleggerite tante pene di spirito che deve sostenere.
Di fianco al medico sta la infermiera, ne riceve le ordinazioni, le eseguisce con accuratezza, benché in suo cuore sia cosciente che poco o nulla faranno quelle prescrizioni; sarà un atto di obbedienza al Signore che dice: «Onora il medico per causa della necessità»91; sarà poi di più un atto di ossequio al buon medico che prodiga le sue cure.
Scansate le visite che prevedete invece poco men che inutili; se non è ragionevole motivo, non incomodate il medico, perché sarebbe poco buon esempio di virtù in una religiosa di perfezione.
Nondimeno la religiosa inferma avverta bene una cosa: il decoro non sta tanto nel corpo, come e soprattutto nell'animo, che dopo tutto mundis nihil immundum92: perché scandalizzarsi di cosa che per sé non è male, che anzi può esser meritoria non poco, mentre al decoro della virtù tende a congiungere il fervore del martirio?
[199]In questo luogo può tornare utile ricordare che una religiosa, specialmente se giovinetta, per un pudore male inteso, nasconde sue indisposizioni e le tiene seppellite finché non più potendo reggere le manifesta, ma quando più non è rimedio utile a prestarsi.
Bello è morire martire di carità e di sangue; non è conveniente né è lodevole per sé morire martore93, benché facendolo con retta intenzione il premio non sarà per mancare da parte del Signore.
In punto di morte, ossia quando la malattia è probabilmente grave, le consorelle dicano alla inferma che applicheranno- 652 - di tempo in tempo la santa Comunione e l'ammalata faccia altrettanto, affinché in tutto e sempre si compia il divino volere.
Inutile ripetere qui che le consorelle pregano e desiderano all'ammalata diletta i conforti maggiori possibili, sovrattutto nell'intimo dell'anima.
Domandi l'inferma e le daranno ben volentieri l'uno o l'altro dei confessori od ordinario o straordinario, comunque ella desideri.
Le facciano noto che per la comunità non è incomodo, ma conforto vivo, farle portare dal sacerdote la santa Comunione come il suo cuore desidera.
Si ricordino[200] i privilegi che accordò Pio X ai non digiuni per ricevere tuttavia la santa Comunione.
Le visite del sacerdote sieno brevi e fervorose come le visite di un angelo.
La visita del sacerdote sia sempre preceduta dalla suora che ne avvisi qualche minuto prima l'ammalata.
Quando l'inferma è agli ultimi stadi, si moltiplichino le preghiere e lo sappia l'ammalata, affinché la sua rassegnazione si faccia perfetta.
Non si mostrino le sorelle inquiete, confuse, senza parole nei casi gravi di malattia: è il momento nel quale devono mostrare la loro fede e la fermezza di buon proposito comune in saper tollerare e soffrire con Gesù Cristo e per Gesù Cristo.
Quando omai l'inferma è per entrare nell'agonia, le consorelle, piuttosto che affollarsi intorno al letto, si raccolgano in chiesa dinanzi al Santissimo Sacramento e preghino per l'anima della morente.
Non si permetta che le orfanelle o persone troppo timide o paurose assistano all'agonia della morente.
Perché permettere o pretendere un atto che potrebbe lasciare conseguenze di soverchio scoraggiamento? [201]Quando il divin Salvatore era per entrare nella grotta dell'agonia, disse ai tre discepoli: «Voi sostate a qualche distanza qui nell'orto di Getsemani...», ben prevedendo che non sarebbero stati tanto virtuosi e forti da assistere all'agonia di sangue del proprio maestro e salvatore.
Giova tenere le finestre socchiuse, perché la troppa luce non ferisca il volto della paziente; poche sorelle e le più coraggiose e illuminate assistano all'agonia e ripetano qualche buon pensiero di rassegnazione e di speranza, quando a precedere non è presente il sacerdote.
Vicino al transito della- 654 - consorella, si suonino i tocchi dell'agonia e tutta la casa si riunisca perché reciti le estreme preghiere.
Quando poi la consorella ha emesso l'ultimo anelito ed è morta omai, non si usino segni di alto lamento, non sospiri, non pianti, lasciando questo ai poveri pagani, i quali non hanno speranza.
Ma voi, che siete le figlie della fede, volgete l'occhio là e pensate come la Chiesa, la quale chiama giorno di natale quello della morte, perché i giusti chiudono gli occhi alla terra per aprirli nel bel paradiso.
Il corpo della defunta non è tosto a comporre; la scienza medica avverte che vi possono essere delle morti apparenti[202] e non tuttavia reali.
In vista di che La santa Chiesa permette e suggerisce che, non avendosi potuto prima, si possa ancor per parecchi minuti di poi conferire tanto il sacramento dell'Assoluzione, quanto quello dell'Estrema Unzione, benché sotto condizione se è ancor viva la persona.
Le Figlie di santa Maria della Provvidenza hanno il pio costume di comporre con rispetto il corpo delle consorelle defunte e di rivestirle del miglior abito festivo della propria professione religiosa.
Sì; sia questo un altro tributo di fede e di venerazione al benedetto corpo della consorella vergine.
Tosto vi fate alla chiesa; applicate per lei le preghiere proprie della giornata, il sacro rosario da requiem94, sovrattutto sollecitate la celebrazione della santa Messa in suffragio alla defunta e le consorelle, almeno per tre mattine, applicano la santa Comunione e hanno poi sempre presente l'anima delle care consorelle, perché con ogni loro atto buono sieno appoggiate al trono della divina misericordia.