Luigi Guanella: Opere edite e inedite
Luigi Guanella
Regolamento S. d. C. - 1910
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REGOLAMENTO DEI SERVI DELLA CARITÀ (1910)

Parte PRIMA

Capo VIII. DELLA VIRTÙ E DEL VOTO DI POVERTÀ

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§ I. In che consiste la povertà

§ II. Pregi della povertà religiosa

1277

§ III. Gradi della povertà religiosa

1278

§ IV. Provvidenza

1279
[- 1277 -]

Capo VIII.

DELLA VIRTÙ E DEL VOTO DI POVERTÀ

 

<< <   > >>§ I.

In che consiste la povertà

 

[88]Consiste nel distacco totale dalle cose e dalle persone insieme, che non abbiano intima relazione cogl'interessi e con la indole della congregazione.

Bisogna che l'amore verso il Signore sia tale da preferirsi a qualunque cosa o creatura.

Bisogna anche che l'amore alla congregazione sia tale da far rinunziare per essa ad ogni affetto di cosa o di persona umana.

Un fuscello minimo farebbe male all'occhio e sarebbe dispiacevole anche all'occhio della congregazione un affetto anche piccolo di preferenza o di attacco meno che decoroso.

Però un religioso, prima di emettere i suoi voti, deve disporre delle sue sostanze come meglio[89] il Signore gli suggerisce.

 Sarà bene che disponga per testamento, intestando chi meglio crede, anche la congregazione, verso della quale può avere doveri di giustizia e di carità o di amendue le citate virtù.

Dovrà cedere l'amministrazione di detti beni a chi meglio crede, se vuole anche alla congregazione, se questa interrogata accetti.

Non lasci intrigo di cause o inviluppo di difficoltà, affinché, entrato nella pratica dei voti religiosi, in quella possa camminare senza intoppo.

<< <   > >>§ II.

Pregi della povertà religiosa

 

I pregi si desumono dalla dottrina di Gesù Cristo, dagli esempi di Gesù Cristo, dalla pratica dei santi, dalla stessa - 1278 -ragione aiutata dalla fede.

Il primo passo alla vita di perfezione è il distacco dalle cose terrene, distacco necessario per amare Iddio di vero cuore, per vivere in pace con se stessi e in carità col prossimo.

Colla pratica della povertà il religioso si acquista il tesoro del paradiso, perché è di fede la promessa: «Beati i poveri di spirito, perché di essi è il regno de' cieli»27.

<< <   > >>§ III.

Gradi della povertà religiosa

 

[90]Il primo grado di povertà è di quelli che rinunciano al mondo, alla famiglia, ai comodi della vita, alle proprie ricchezze per essere ammessi al voto della povertà religiosa.

Chi fa questo di buon animo fa già assai, perché entra nel sentiero privilegiato dei Consigli evangelici, sentiero che, più diritto e spedito, incammina all'amicizia intima con Dio ed all'acquisto del paradiso beato.

Il secondo grado di povertà religiosa è di quelli che, oltre aver lasciato ogni cosa, incontrano con fortezza i disagi della povertà.

Un esempio pratico in questo sarebbe di quei Servi della Carità, che sono mandati in modo evangelico sine sacculo, sine pera, sine calceamentis28 per una fondazione di casa, per ministero o per disimpegno dei propri uffici.

In tali casi lo spirito di sacrificio è messo alla prova e sarà da Dio coronato.

Il terzo grado di povertà mira più alto ancora ed è proprio di quelli i quali, non contenti dei disagi della povertà come si è detto, ne vanno in traccia di maggiori, quasi tesoro di paradiso.

Nel caso pratico i Servi della Carità,[91] che sono molto osservanti, cercano per sé il posto ultimo alla mensa, nelle vestimenta, nel dormire e simili.

I fortunati si sentono di far poco anche quando fanno assai e più desiderano di sentirsi umiliare, quanto più praticano di virtù.- 1279 -

<< <   > >>§ IV.

Provvidenza

 

Vivere in molta povertà e affidarsi completamente alla divina Provvidenza è virtù di alta perfezione.

Ma nessuno deve credere di essere chiamato a sì alta virtù senza l'aiuto speciale della divina grazia e senza una diligente cooperazione da parte propria.

L'aiuto della divina grazia si dimostrerà palese nella persona dei superiori e nell'indirizzo della Regola in quel grado che è possibile all'umana fragilità.

La cooperazione umana si vedrà più facilmente nella pratica della povertà e nell'indirizzo generale ad essa dei membri dell'istituto.

Farebbe troppo male chi, sentendosi chiamato alla stretta osservanza della povertà, non si confidasse in tutto e pienamente nella divina Provvidenza.

Ma farebbe ugualmente male colui il quale, reputandosi falsamente chiamato ad esercitare virtùalta,[92] pretendesse di affidarne l'incarico alla divina Provvidenza e di riceverne a comodo suo provvedimenti sempre opportuni.

Sono cadute delle Opere intiere e grandiose anche per questo difetto di presunzione.

La diffidenza nel primo caso sarebbe difetto pericoloso; la presunzione nel secondo caso sarebbe difetto non meno esiziale.

Amendue i difetti sono a scansare sia in un corpo di congregazione già costituito, sia dai membri individuali della congregazione stessa.

La divina Provvidenza è la madre naturale e carissima dei suoi figli, ma questa madre divina è padrona di assegnare anche una o più persone umane incaricate di eseguire gli uffici della divina Provvidenza e allora bisogna attenervisi.

Abbiamo l'esempio del venerabile Cottolengo, il quale si limita a pregare e confidare in Dio; abbiamo anche l'esempio del venerabile don Bosco, il quale prega e nel medesimo tempo suona la tromba, recluta i milioni dei suoi Cooperatori salesiani, perché gli vengano in aiuto alle molte Opere che ha sparso ormai in tutte le regioni del mondo.

L'arcivescovo Davide Riccardi29 di Torino nel primo Congresso salesiano di Bologna - 1280 -concludeva: «Segua il Cottolengo il suo spirito, il Bosco il suo parimente.

Guai se il Cottolengo seguisse lo spirito di don Bosco e don Bosco quello del Cottolengo!».

Questo è[93] ammonimento grave ai Servi della Carità, i quali per quanto si vede dovranno con molta sommissione ed umiltà continuare il proprio cammino nella via di mezzo tra l'uno e l'altro dei due indicati metodi.

Tengano però sempre presente i Servi della Carità che l'Opera nostra è nata e cresciuta con visibile aiuto della Provvidenza, che non sarà per mancare mai, purché non tralignino dallo scopo ad essi prefisso.

 Ricordino che quel Dio, che veste i gigli del campo di abito quale mai indossò Salomone, non sarà mai per lasciare mancare alcuna cosa a chi lavora unicamente per lui e per la maggior gloria del suo nome.





p. 1278
27 Mt 5, 3.



28 Lc 22, 35.



p. 1279
29 La seguente raccomandazione fu fatta da monsignor Riccardi († 1897) durante il Congresso salesiano di Bologna, tenutosi dal 23 al 25 aprile 1895. Abbiamo rettificato il testo originale, nel quale l'A. aveva attribuito l'affermazione al cardinale Domenico Svampa (1851-1907), che al tempo del congresso era arcivescovo di Bologna.



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