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§ I Gli infermi avanti la ragione e la fede
§ II. Ciò che devono fare i superiori
1304§ III. Ciò che deve fare l'infermo
1306§ IV. Cure spirituali agli infermi
1307Capo XV.
DEGLI INFERMI
Gli infermi avanti la ragione e la fede
[136]Gli infermi, per quanto ne dice la ragione aiutata dalla fede, devono essere la porzione eletta dei superiori e - 1305 -dei membri singoli dell'istituto.
Lo dice la ragione: i membri dell'istituto hanno dato un addio perpetuo alla famiglia, al mondo, alle proprie comodità per servire il Signore nella virtù e nei voti di povertà, castità ed ubbidienza, a favore dell'istituto che pure hanno scelto in luogo di padre e di superiore proprio.
Tra l'istituto ed i singoli membri dello stesso è intervenuto un vero contratto bilaterale, per il quale gli individui consacrano le proprie forze alla conservazione e all'aumento dell'istituto e questo si è obbligato a provvedere ai bisogni corporali e spirituali dei membri, sempre, ma specialmente[137] nel momento del bisogno.
Il bisogno grave ed urgente è principalmente nelle circostanze di malattie e nel pericolo stesso di morte.
Parimente i membri si sono congiunti per costituire l'istituto, per trovare nell'aiuto vicendevole un appoggio nel cammino della virtù, un vincolo di amore fraterno, una forza di virtù di carità, per avere non solo il pane materiale della vita, ma per assicurarsi quello che è l'amore fraterno di verace dilezione.
Si aggiunga quello che più chiaramente ne suggerisce la fede intorno ai figli dell'istituto, i quali, prima che di questo, sono figli di Dio e vere membra di Gesù Cristo; e così la ragione aiutata dalla fede convincerà ciascun servo della Carità a starne sempre congiunto col sacro vincolo della religione, ad aiutarsi efficacemente nel momento grave del dolore, ossia nei casi di malattia.
Ciò che devono fare i superiori
Si raccomanda ai superiori di ogni casa o almeno delle case principali che tengano disposto un locale atto per servire di infermeria in favore dei Servi della Carità che cadono ammalati.
[138]Il superiore deve prendersi cura dello stato dell'ammalato, tosto che si prevede essere il confratello caduto in qualche malattia grave o pericolosa.
Allora per quanto è possibile deve assegnare un infermiere pieno di bontà, intelligente e pratico, perché possa efficacemente esercitare l'opera importante di misericoria verso il confratello.- 1306 -
Il superiore deve porre attenzione intorno alla scelta dei cibi che meglio possono conferire all'ammalato; deve porre attenzione alle medicine che possano tornare più giovevoli, in provvedere all'osservanza dei seguenti criteri: il primo è quello di usare agli ammalati le cure necessarie e di sostenerne le spese convenienti a seconda della malattia e come lo permettono le forze e l'indirizzo dell'istituto; il secondo è di adoperare cure anche maggiori, quando si preveda che certamente saranno per giovare.
Il terzo criterio è di mostrarsi e di essere confratello di sincera carità, disposto sempre ad esibire i servigi della propria intelligenza e la buona volontà di cuore.
Con questo deve poter levare dalla mente dell'infermo qualunque tentazione di rincrescimento di aver lasciato per amor di Dio la famiglia e le sostanze proprie, la tentazione e il sospetto che il superiore o i fratelli siano per[139] essere increscevoli per i disagi che la malattia offre loro a sostenere.
I Servi della Carità sono i figli della divina Provvidenza ed è appunto nel caso di malattia, o di difficoltà qualsiasi, che devono mostrare la loro confidenza nel comune Padre celeste, il quale pasce buoni e cattivi e per i suoi buoni figli e servi tiene in pronto la promessa di speciale dilezione e parimente pronto il soccorso.
Il malato servo della Carità deve fare il malato e deve cercare di essere un buon ammalato.
Un buon ammalato, da buon cristiano e da fervido religioso, comincia col rassegnarsi.
Per ottenere il dono di una più perfetta rassegnazione e quindi il sollievo di una coscienza sempre più sicura e tranquilla, ben presto si munisce del sacramento di Confessione e più volte di quello della santa Comunione e intanto prega e fa pregare.
Questo è rimedio efficace per una guarigione più pronta e sicura.
Poi un buon ammalato si affida al suo medico, perché è scritto che bisogna ubbidire al medico[140] per causa della - 1307 -malattia48; quando uno è ammalato, generalmente parlando, non ha intelletto capace per distinguere da sé i rimedi, non ha volontà efficace per aiutarsi: ha proprio bisogno del medico.
Parimente un buon ammalato ubbidisce al suo infermiere, per il bisogno e anche meglio per lume di fede e per merito di virtù.
In questo senso è detto che il primo medico di noi siamo noi stessi; cioè l'ammalato molte volte non sente il proprio bisogno di cibo, di bevanda e di riposo ed allora si affida al consiglio dei sapienti, alla utile esperienza dei pratici in argomento.
Il servo della Carità caduto in malattia ha diritto e dovere di conoscere il grado di infermità che lo opprime e il pericolo più o meno prossimo di morte.
Ne ha il diritto e il dovere e, in sì grave causa, non può essere illuso da veruno, pena la colpa in chi, per imprudenza o per leggerezza o per sentimento malinteso di carità, adoperi ingegno per nascondere all'infermo il pericolo in cui si trova.
Questo disordine non è tollerabile nemmeno tra i secolari del mondo, sarebbe da condannare fra persone religiose, le quali mediante la professione dei voti hanno promesso di rinunciare al mondo ed a sé e sono pronti a vivere in ogni giorno come se ogni giorno dovessero morire.
Cure spirituali agli infermi
[141]Le cure spirituali devono soprattutto precedere, ma trattandosi di religiosi, la carità vuole che si pensi molto bene del loro stato di coscienza, che per tutta la vita abbiano provveduto alla loro salute eterna, che siano in grado tuttavia di provvedervi.
Però con parola dolce ed energica è bene che si persuadano a ricevere spesse volte i santi Sacramenti, tenore l'indirizzo della Regola dei Servi della Carità; è bene che i confratelli con visite brevi, quasi come apparizioni di angelo, - 1308 -li vengano ad esortare a pazienza e rassegnazione Sovrattutto sarà bene antivenire i loro desideri circa la scelta di qualche confessore straordinario che si creda essere di loro soddisfazione.
Il superiore sarà pur bene che dia all'infermiere dei suggerimenti utili, perché al momento di ricevere i santi Sacramenti non si disturbi l'ammalato col pretesto di qualsiasi servigio utile.
Se l'ammalato avesse ancora da compiere il suo testamento, tosto si provveda il permesso dal superiore generale e, in mancanza di esso, dal superiore locale Nella casa ove trovasi l'infermo si ordinino pubbliche e private preghiere a favore dell'infermo stesso.
Verun confratello deve sentire affatto di quello straordinario dolore, di quella confusione di pensieri, di quel disordine di affetti di cuore, che[142] troppo spesso si avvera in casi consimili nelle case e nelle persone dei secolari.
Questo sarebbe indizio di poca fede, che poco edificherebbe e potrebbe anche disturbare la virtù di confidenza nell'ammalato.
Nemmeno però è da mostrare certi segni di freddezza e quasi di indifferenza, che possono far credere segni di noncuranza pei confratelli medesimi.
Anche questo è eccesso da schivare.
La carità dei confratelli è carità più di effetto che di affetto e, per questo medesimo, è carità verace.
Quando l'ammalato presenta pericolo di vita, allora non bisogna ritardare il sacramento dell'Estrema Unzione, che ben si sa essere anche medicina corporale.
L'ammalato non deve prendere la medicina per guarire quando ormai è moribondo, per non pretendere da Dio un miracolo straordinario di grazia.
E poi pio costume nell'istituto che, quando il confratello è ormai vicino a morte, il sacerdote assistente reciti e replichi divotamente le preghiere della Chiesa, che i confratelli, accesi i lumi, aperto lo sportello del santo ciborio, preghino con fervore davanti al divin Sacramento.