Luigi Guanella: Opere edite e inedite
Luigi Guanella
Scritti pubblicistici
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Parte prima Articoli de La Divina Provvidenza

1895

51. Particolari dell'incendio nel giorno d'Ognisanti.acapo.Anno IV, n. I, dicembre 1895, pp. 314-318

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Particolari dell’incendio nel giorno d’Ognisanti
Anno IV, n. I, dicembre 1895, pp. 314-318. Presentato al processo.
Il venerando nostro d‹on› Giorgio Steinhauser che nel mondo d’Europa e più ancora in quello delle Americhe ebbe affrontati più volte impavido i pericoli e le minaccie di morte, - 203 -egli non ismentì il suo rigore di fede e di fortezza d’innanzi all’altare del Santo dei santi. Stava celebrando in canto la santa Messa, quando voci improvvise di gemiti e poi le grida di dolore si fanno sentire nell’ampiezza della chiesa, e insieme l’odore e poi l’onda di fumo e poi voci che indicano il serpeggiare delle fiamme nei locali annessi alla chiesa stessa.
Il nostro d‹on› Giorgio rimase quasi solo al santo altare e compié con tutta la presenza di spirito il santo Sacrificio. Tosto di poi levò dal santo tabernacolo il Sacramento augustissimo e fuori di chiesa, giù per scale, attraversò la folla [315] di popolo che già s’accalcava e venne a riporre in salvo nei locali più lontani dell’incendio i sacrosanti misteri, entro un armadio in una stanza a pian terreno. Vi allogò in custodia ed in adorazione due suore e poi s’affrettò al luogo del disastro per incoraggiare i cuori di chi maggiormente soffriva.
I nostri malati - Erano dei ciechi ed infermi che sotto i propri letti già sentivano il crepitare delle fiamme. Questi furono strappati con violenza e trasportati nelle case di buoni vicini. In questo una povera inferma svenne e parve morire e le fu amministrata l’Estrema Unzione, ma grazie al cielo si riebbe.
I nostri orfanelli - Gli orfanini dagli anni 3 ai 10 riempivano l’aria intorno di pianti pietosissimi: l’egregio ispettore di publica sicurezza, il cavaliere Pirogalli, sempre pieno di attenzione per la Piccola Casa, li fece accompagnare in città, dove sua ecc‹ellenza› il sig‹nor› prefetto li rincorò con un generoso pranzo. Taluni dei più grandicelli accorsero pieni di ardore, ma scorto l’infuriare delle fiamme ne concepirono altissimo spavento e via fuggendo in pianto riparavano presso qualche loro parente. Due fra essi fecero il cammino a piedi fino a Milano, spinti continuamente dal panico concepito alla vista delle prime fiamme.
I sacerdoti e gli studenti della Piccola Casa - Ricordo con sentimento di pietà una pecorina che al mattino, trovato morto il proprio agnello, belava pietosamente. Messa fuori al pascolo ritornava all’ovile e scorto quell’agnello, che più non si moveva, ritornava innanzi e indietro belando sempre, finché alla fin del giorno si tacque.
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Così questi nostri, vedendo perire il frutto di tante loro fatiche, correvano innanzi ed indietro in doloroso pianto. Salivano le scale e su pei tetti e poi giù, sconfortati di potere troppo poco contro quei vortici di fiamme. Due di essi sentivano mancarsi il pavimento sotto ai piedi, e giù precipitando si salvarono attraverso le fiamme.
Le fiamme irrompevano minacciose per una porticina laterale della chiesa; la chiesa era divenuta un lago di tetro fumo e le fiamme venivano voraci alla volta di essa nel sottofondo dell’orchestra. La chiesa si voleva salva ad ogni costo ed allora si moltiplicarono i lai e si raddoppiarono gli sforzi. Bruciata la porta, gli si opponeva altra e poi altra, e poi coltri di lana bagnate e poi altre porte per rinchiudere le fiamme, finché venne in aiuto un poderoso getto d’acqua Garrè 66 per opera dei pompieri. Quest’acqua scendeva copiosa a mitigare il furore delle fiamme. Così ad ogni costo di gemiti, di preghiere, di lavoro, di scottature perfino, si ebbe scampata da manifesto incendio la propria rocca, il tempio santo del Signore.
Le suore della Piccola Casa - Queste, dato sfogo al primo spavento, rientrarono presto nelle vie della preghiera, della rassegnazione e della operosità. Si abbracciavano ai santi altari ma non vi trovarono Gesù sacramentato, che era passato alla vicina chiesa di sant’Orsola. La chiesa era un lago di fumo: presto si apprestarono le scale, si spezzarono i vetri delle finestre; il fumo ne usciva in dense colonne e ricominciava nella chiesa un po’ di luce. Fu chi, trasportata dal fervore e dall’ansia, tolse l’immagine del santo Volto e con questa più volte in più luoghi benediceva alle fiamme con santa fede, perché almeno risparmiassero l’edificio santo. Le più di esse poterono dar sfogo al pianto, alcuna rimaneva come impietrita e correva qua e portata dalle angustie dell’animo. Tutte guardavano alla chiesa, quasi per dire: « Perire noi, ma non la casa del Signore ». Tante preghiere furono ascoltate e la chiesa fu salva quasi per miracolo.
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Il direttore stava per celebrare nella nostra chiesa di sant’Ambrogio ad Nemus a Milano, quando ricevette il seguente telegramma: « Grande incendio nella Piccola Casa venga subito ». Celebrò e spiegò al popolo il senso di quelle parole che si leggevano nel Vangelo: « Beati pauperes spiritu » 67, e si affrettò a Como. [316] Erano le 11½. Un lento fumo si elevava al disopra ed all’interno della Piccola Casa. Visto da lungi, il tetto della chiesa pareva salvo: ne sia lodato Iddio. Nel cortile e lungo l’ortaglia si vide poi una grande esposizione delle panche della chiesa e d’ogni corredo della casa, poiché tutto e più che non sarebbe convenuto fu precipitato giù dalle scale e fuori dalle finestre.
Il direttore fecesi a confortare gli uni e gli altri, a porgere soavi ringraziamenti ai generosi che avevano potuto domare l’incendio, indi perché anche piovigginava affrettò a restituire le masserizie in luogo di riparo. La sera gl’istituti delle Infermiere 68 e delle Dorotee e più famiglie benevoli offrirono alloggio per molti ricoverati. Per alcuni se ne approfittò. I più preferirono prendere un po’ di riposo come che sia nella Piccola Casa, sinché all’indomani furono in parte inviati a Milano. All’avemaria ci raccogliemmo nella chiesa per ascoltare altre parole di conforto e ringraziare il Signore con il canto del Te Deum, perché evidentemente ci aveva preservati da peggiore sciagura.
L’indomani - I nostri studenti ed operai per più notti si davano la muta a vegliare sul luogo dell’incendio ed intorno. A mezzanotte sprigionarono dalle macerie vive fiamme che misero in allarme. Si accorse ed in breve le fiamme furono spente.
I giornali cittadini, misurata l’estensione del danno, tolsero a favorire sottoscrizioni, le quali furono ricevute nella casa con immensa gratitudine e come un grande ristoro morale ed economico. I beneficati non hanno misura in ripetere: « Quanto buoni i comaschi e quanto amano la Piccola Casa!... ». Vi fu un - 206 -contrasto spiacevole: per alcune notti un drapello di scioperati cantavano rime di minaccia e godevano del mal capitato. Si tolse a custodire la casa per molte notti, e poco o tanto le grida e le minaccie si ripetevano. Certo l’eco di quelle voci risuona sinistramente sia che siano suono di gradassi, ovvero minaccie di malintenzionati.
La Piccola Casa continua la via sua e confida in Colui che tutto può e prega per tutti.
I nostri benefattori - Rimarrebbe a dire della generosità e dell’eroismo con cui molti e molti si adoperarono nell’estinzione dell’incendio: se ne è parlato in parte nei giornali cittadini, e per altra parte si dirà a suo luogo. Per ora ci limitiamo a dire che la nostra gratitudine è grande perché tutte le classi di cittadini hanno dimostrato il loro vivo compatimento e sono venuti in opportuno aiuto. I giornali di ogni colore fermarono lo sguardo sopra il disastroso avvenimento e furono concordi nel dare mostre splendide di carità e di umanità. Professiamo la gratitudine e l’ammirazione nostra in ispecie ai ven‹erandi› parr‹oci› e sac‹erdoti› confratelli, i quali con l’offerta della mano esposero gli affetti del cuore aggiungendo parole attinte alla fede ed alla carità di Gesù Cristo.
Per unico saggio saranno contenti i nostri lettori che produciamo la lettera seguente.
Carissimo d‹on› Luigi
La notizia sparsa in un baleno dell’incendio sviluppatosi in codesta Piccola Casa rattristò profondamente il nostro cuore. Qual cuore v’è che non si senta intenerire udendo che tanti orfanelli raccolti dalla strada, alloggiati, vestiti, nutriti e allevati nel santo timor di Dio sono quasi all’istante gettati sul lastrico, essendo loro abbrucciata e casa e abiti? Ma noi di Pianello Lario abbiamo altre, sì, altre ragioni per sentire vivissimo l’infortunio toccato. Noi siamo stretti alla Piccola Casa con vincoli di gratitudine, di parentela e di amicizia. Si tratta del danno della Piccola Casa che versò per anni ed anni le sue fatiche a vantaggio delle anime. Sì, si tratta della Piccola Casa che ci beneficò con favori speciali, mantenendo con suo evidente sacrificio le suore tra noi che fanno il gran bene alla gioventù, [317] assistono - 207 -ammalati, ricevono vecchi cadenti e abbandonati. Fu invero sentito fortemente qui il disastro imprevisto, e molti per eccessivo affetto si andavano domandando: « Perché, o Dio, perché permettete tali cose? Perché ciò nell’ora in cui i tuoi fedeli, raccolti nel tempio, ti pregavano? ». Il perché a Dio delle sue permissioni non si domanda. Perché il santo Giobbe, sostegno degli orfanelli, uomo che faceva ogni giorno sacrificio a Dio, perché il Signore permise che in un sol fossero bruciate le biade di lui, rapiti i numerosi armenti, crollate le case e uccisi tutti i suoi figli? Per provare la pazienza di lui. Qui pure Dio intende mettere alla prova la fede e la pazienza dei ricoverati della Piccola Casa. Il popolo di Pianello ben pensò di attestare con nobile esempio l’affetto suo, oggi stesso 3 novembre. Alla porta della chiesa offerì la cospicua somma di L. 60, oltre indumenti e generi alimentari, per provedere alle più urgenti necessità. Accolga, carissimo don› Luigi, l’offerta e dica ai ricoverati della Piccola Casa che preghino e sperino. In Domino.
Affezion‹atissimo› amico
sac‹erdote› Michele Giudici
Altri confratelli ben molti e amici benevoli, sospettata benanco la causa misteriosa dell’incendio, concordi inviarono parole di conforto riflettendo che de malo bonum, che nell’avvenuto si vide certa una prova che il Signore permise, che intanto convien essere tutti per uno mentre Dio è per tutti. Le parole accompagnarono con cospicua offerta che in totale a suo tempo noteremo a comune edificazione.
La parte di costruzione incendiata era assicurata benché per una somma assai piccola, e per quanto onestamente le spettava la ditta assicuratrice La Venezia corrispose. Il sig‹nor› ingegn‹ere› Enrico Rossetti volle per noi, con squisita cortesia, eseguire lavori di perizia del danno in concorso del sig‹nor› ingegnere Giussani, funzionario della Venezia, e così ottenne l’indennizzo in L. 2600, che non è poco aiuto nelle attuali strettezze.
Siamo riconoscenti al sig‹nor› cav‹aliere› Pirogalli che, non contento di appoggiare la domanda al regio Ministero per la sollecita remozione della polveriera, telegrafò in via d’urgenza perché tolto più increscioso indugio si provveda alla sicurezza dei - 208 -cittadini, come da pezza è nel desiderio della intiera popolazione non che delle autorità civili e militari. S’odono ancor tratto tratto, e nottetempo, insulti, minaccie, e si vedono atti indecorosi di gente che non solo noi, ma le autorità cerchiamo di scoprire.
Perché poveri e perché inermi, per questo stesso i nostri ricoverati sono forti della fiducia e della protezione della divina Providenza. Valga in conferma la seguente lettera che in data del giorno susseguente 69 allo incendio indirizzavano le ricoverate dell’ospizio di Pianello Lario.
Rev‹erendo› direttore
Al primo sentire dell’incendio avvenuto ci siamo veramente spaventate e rattristate, perché noi qui non sapendo la cosa precisa andavamo pensando male peggiore: cioè che fosse bruciata tutta la casa e tutta la roba. Ma dopo ricevuto la sua, ci sentimmo racconsolate alquanto benché tutta la roba sia perduta. Tutto il paese ne restò compreso e tutti compiangevano l’accaduto, e lo mostrarono anche in affetto porgendo volontieri il loro obolo dopo l’invito del reverendo curato. Il più che ci rattristò fu al pensare che ciò fosse avvenuto per una grave offesa fatta a Dio, il che sarebbe il male maggiore. Domenica giorno 3, verso sera, il signor› curato venne qui nella nostra cappella e tenne un discorso sopra l’uniformità al divino volere dicendo che ogni cosa che succede è perché Dio lo vuole e permette, e raccomandandoci di stare unite al Signore ci lasciò in una soave rassegnazione. Da parte nostra procureremo di unirci intimamente a Dio, di schivare anche ogni lieve offesa di lui e di prendere maggior affetto alla nostra Piccola Casa, che Iddio nella sua sapienza e bontà vuol provare con qualche tribolazione. [318] Per ultima parte noi auguriamo a tutti la pace e la rassegnazione di chi la confidenza sua ripone nelle mani di Colui che tutto può e facciamo voti che nella società cessino certi atti che severamente sono giudicati da ogni ragionevole classe di persone.
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Alle molte espressioni di fede e di affetto dei sacerdoti e di tutti i benefattori nostri, la Piccola Casa pensa d’inaugurare in tempo non lontano una dimostrazione di fede e di riconoscenza mediante un programma che spera di poter dare nella volta ventura. Intanto porgiamo un album con il ritratto del veneratissimo nostro vescovo mons‹ignor› Teodoro Valfrè 70, il quale mentre benedice a tutti, benedice in questo momento e in modo particolare ai benefattori della Piccola Casa.




p. 204
66
Cfr. nota 63 a p. 200.


p. 205
67
Mt 5, 23.


68
Riferimento alle Suore infermiere dell’Addolorata, presenti nel vicino ospedale Valduce.


p. 208
69
Come risulta dal testo, la lettera fu scritta posteriormente a domenica 3 novembre 1895.


p. 209
70
Riferimento a un fascicolo, 8 p., con il ritratto fotografico del vescovo in copertina e l’Albo degli offerenti per i danneggiati dall’incendio della Piccola Casa della divina Provvidenza.


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